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IL CONCETTO DI RISERVE E FONDI DISPONIBILI NEL DIRITTO TRIBUTARIO

La disponibilità in ambito tributario può essere definita come l’attitudine della riserva o del fondo ad essere distribuita ai soci senza dove subire l’imposizione in capo alla

società, oppure ad essere utilizzata per scopi diversi dalla distribuzione senza dover scontare imposta (ad esempio, per l’imputazione a capitale o ad altre riserve del netto, per la copertura di perdite ecc.).

Le poste del patrimonio netto, classificate civilisticamente secondo il criterio dell’origine, sotto il profilo tributario possono essere riclassificate, secondo il criterio della disponiblità, in fondi tassati, fondi dedotti e riserve in sospensione d’imposta. Con tali espressioni si suole indicare la rappresentazione patrimoniale delle variazioni fiscali che devono essere apportate all’utile di bilancio per la determinazione dell’imponibile152.

I “fondi tassati” sono le contropartite patrimoniali, nelle scritture contabili e nel bilancio, di accantonamenti, ammortamenti o perdite non ancora deducibili, fiscalmente, nell’esercizio in cui sono imputati al bilancio153. Corrispondono, cioè, a decrementi di ricchezza, rilevati contabilmente, ma esclusi dalla formazione del reddito di impresa fino a quando non si verifica la condizione di deducibilità richiesta dalla disciplina tributaria. Essi danno luogo a variazioni in aumento nella dichiarazione dei redditi. La presenza di questi fondi in bilancio consente di spiegare più chiaramente la successiva variazione in diminuzione da effettuarsi nella dichiarazione dei redditi relativa

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Crovato F., Lupi R., Il reddito d’mpresa, Milano 2002.

153 Occorre evidenziare che il fondo di ammortamento, così come il fondo svalutazione crediti, rappresentano mere poste rettificative, rispettivamente, dei cespiti patrimoniali e dei crediti, iscritti nell’attivo. Tali fondi, nel bilancio di esercizio, non sono rappresentati, mentre le attività cui si riferiscono sono esposte al netto del loro ammontare. L’importo lordo delle voci di attivo patrimoniale e l’ammontare dei fondi rettificativi sono invece esposti nella nota integrativa. Anche i fondi rettificativi possono qualificarsi come “fondi tassati”, nella misura in cui accolgono costi temporaneamente indeducibili, come avviene per l’ammortamento che eccede quello fiscalmente ammesso in base all’art. 102, comma 2, del TUIR, e per la svalutazione dei crediti eccedente il limite indicato dall’art. 106, comma 1, del TUIR. La svalutazione dei crediti ha la funzione di consentire la deduzione di una perdita probabile su di un’attività che, giuridicamente, permane sino ad un evento estintivo come la rinunzia, la cessione o la prescrizione. L’ammortamento ha la funzione di distribuire nel tempo un costo già sostenuto, diversamente dagli accantonamenti che, invece, svolgono la funzione di anticipare all’esercizio quote di costi destinati a verificarsi in futuro. Mentre, poi, nel caso degli ammortamenti l’evento che è destinato a “conguagliare” tutte le componenti reddituali nel frattempo dedotte è la dismissione del cespite, nel caso degli accantonamenti la vicenda di chiusura può risultare o il verificarsi dell’evento a fronte del quale furono costituiti, o il divenire certo che tale evento non si verificherà. Gli accantonamenti che possono dar luogo a fondi tassati sono tutti quelli rilevati contabilmente ma esclusi dalla formazione del reddito imponibile ai sensi dell’art. 107, comma 4, del TUIR; oppure che sono deducibili solo in parte, come quelli di cui allo stesso art. 107, commi 1, 2, e 3, o deducibili solo nell’esercizio in cui si verifica la condizione di deducibilità, come per gli accantonamenti a fronte di rischi specifici, fiscalmente indeducibile finchè non si realizza la perdita, e la cui sopravvenuta insussistenza genera una sopravvenienza non imponibile perché conseguita a fronte di costi non dedotti. La deduzione potrebbe peraltro riguardare un componente diverso da quello rilevato contabilmente, come nel caso della perdita su crediti in luogo della svalutazione imputata a conto economico e della perdita del bene in luogo dell’accantonamento a fondo rischi imputato a conto economico.

all’esercizio in cui si manifesta la condizione di deducibilità fiscale. Quando questa si verifica, l’utilizzo del fondo non potrà mai dare luogo ad una sopravvenienza attiva. Si tratta di poste contabili assoggettate a imposte e ormai pienamente disponibili per la società dal punto di vista tributario; esse potranno perciò essere riclassificate a riserva disponibile o distribuite alla stregua di utili, senza essere assoggettate a imposizione fiscale, in quanto essa era già avvenuta nell’esercizio in cui i fondi erano stati costituiti. In buona sostanza, i fondi tassati hanno, sotto il profilo dell’imposizione sui redditi della società, natura di riserve e come tali possono essere riclassificati.

Stesso discorso può farsi per i fondi che misurano accantonamenti eccedenti i limiti ammessi in deduzione ai fini della determinazione del reddito imponibile (si pensi, in particolare, agli accantonamenti di cui all’art. 107 del TUIR).

Talvolta, la contropartita patrimoniale di questi costi indeducibili è la eliminazione di una voce dell’attivo patrimoniale, come avviene nel caso di una perdite su crediti portata direttamente a riduzione del credito, stralciato quindi dalla contabilità. In questo caso non si ha un fondo tassato, mentre il valore fiscalmente riconosciuto dell’elemento patrimoniale depennato dalla contabilità resta immutato anche se il valore contabile diminuisce o addirittura sparisce.

Quando il fondo accoglie costi e accantonamenti deducibili si parla di fondi dedotti154, ossia di fondi non liberamente disponibili ai fini fiscali, ma vincolati all’utilizzo per i quali furono costituiti (ad esempio, un fondo svalutazione crediti costituito con accantonamenti fiscalmente dedotti potrà essere utilizzato solo a fronte di perdite su crediti provviste dei requisiti di deducibilità fiscale, ed ogni altro utilizzo ne comporterà l’imponibilità).

I fondi tassati, a differenza di quelli dedotti, rivelano la presenza di disallineamenti tra valori civilistici e valori fiscalmente riconosciuti dei beni cui i fondi stessi attengono, perché il costo fiscalmente ammesso in deduzione è inferiore a quello contabilizzato secondo i corretti principi contabili. Conseguentemente anche il fondo rileva fiscalmente per un valore inferiore, mentre il corrispondente cespite dell’attivo patrimoniale rileva per un valore superiore a quello iscritto in bilancio.

Un fenomeno opposto ai “fondi tassati” si verifica quando la legge consente di escludere da imposizione elementi positivi di reddito o di anticipare il concorso alla formazione del reddito imponibile di determinati componenti negativi, accantonandoli in una posta contabile chiamata “riserva in sospensione d’imposta”.

Si tratta quindi di incrementi di ricchezza venuti ad esistenza secondo le regole che governano la misurazione del reddito d’impresa, ma sottratti all’imposizione fino al verificarsi di quegli accadimenti, normativamente previsti, estintivi del regime di sospensione. Essi danno luogo a variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi, ove sia interessato il conto economico per la loro rilevazione contabile.

A tali poste contabili, invero, non corrispondono debiti o passività future, e quindi esse, dal punto di vista civilistico, vanno annoverate nell’ambito del patrimonio netto. Tali riserve, peraltro, non sono pienamente disponibili dal punto di vista fiscale, soffrendo di limitazioni di varia natura, a seconda di quanto prevede la specifica disposizione fiscale che ne sancisce la “sospensione d’imposta”.

L’imponibilità della riserva può scattare, ad esempio, con qualsiasi utilizzazione del fondo stesso (come per le riserve da condono ex art. 33, comma 9, della legge n. 413 del 1991), oppure con la distribuzione (come tipicamente avviene per le riserve di rivalutazione), o ancora con l’utilizzo diverso dalla copertura di perdite (come per le sopravvenienze attive ex artt. 55, comma 4, del d.P.R. n. 597 del 1975 e 55, comma 3, lett. b) del TUIR ante modifiche apportate dalla l. n. 449/1997). Talvolta sul protrarsi del regime di sospensione sono capaci di incidere anche eventi che interessano gli elementi dell’attivo in relazione ai quali le riserve medesime sono sorte.

In genere, alle riserve in sospensione di imposta fanno riscontro, all’attivo del bilancio, valori fiscalmente riconosciuti a tutti gli effetti. Ad esempio, a fronte delle riserve di rivalutazione monetaria, stanno maggiori valori dei cespiti rivalutati, dotati di pieno riconoscimento fiscale. Non possono invece considerarsi “in sospensione di imposta” gli utili e le riserve costituiti a fronte di maggiori valori dell’attivo di bilancio non aventi rilevanza fiscale. Si pensi alle riserve iscritte a fronte di “rivalutazioni economiche”, plusvalenze iscritte oggi irrilevanti ai fini fiscali. Nel caso in cui, nonostante l’irrilevanza fiscale dei maggiori valori iscritti, venisse costituito un vincolo di sospensione sulla riserva, occorrerebbe stabilire un collegamento tra vicende della

riserva e vicende delle attività, nel senso che la tassazione della riserva dovrebbe comportare un corrispondente incremento del valore fiscalmente riconosciuto delle attività, e al contrario il realizzo della plusvalenza sulle attività dovrebbe determinare il venir meno del vincolo di sospensione della riserva per l’ammontare corrispondente. Spesso le riserve in sospensione di imposta possono beneficiare di un regime di tassazione sostitutiva delle imposte sul reddito, che ha l’effetto di renderle disponibili.

In conclusione la presenza di fondi in sospensione d’imposta o fondi tassati rende talvolta dubbia la stessa individuazione del “patrimonio netto”. Il criterio civilistico di identificazione del patrimonio netto, incentrato sull’esistenza di passività attuali o potenziali, non coincide infatti col criterio fiscale, che include le poste distribuibili senza imposizione per la società.

In altre parole, il patrimonio netto fiscale è più grande di quello civilistico perché comprende anche talune passività (corrispondenti sotto il profilo fiscale ai fondi tassati). Questo principio può considerarsi ancora attuale nonostante l’introduzione del principio di “derivazione rafforzata” dell’imponibile fiscale dal risultato di bilancio ex legge finanziaria per il 2008, e ciò perchè il nuovo sistema “non elimina tutte le possibili divergenze tra i valori civili ed i valori fiscali degli elementi patrimoniali dell'impresa, in quanto anche le vigenti disposizioni fiscali non danno piena rilevanza a tutte le rappresentazioni di bilancio, creando in alcune ipotesi disallineamenti di valore "strutturali" (si pensi ad esempio, agli ammortamenti di beni materiali deducibili nei limiti dei coefficienti tabellari, agli ammortamenti di taluni beni immateriali deducibili solo extracontabilmente, agli accantonamenti al TFR deducibili nei limiti previsti dalle specifiche disposizioni legislative e contrattuali)”155.

8.1 Segue: FATTISPECIE NORMATIVE CHE DANNO LUOGO A RISERVE IN SOSPENSIONE DI IMPOSTA.

In base alle varie leggi che nel tempo si sono succedute sull’ “affrancamento” delle riserve in sospensione di imposta è possibile ricostruire (certamente non in modo esauriente) le fattispecie che possono risultare iscritte nei bilanci delle società.

L’ultima che appare degna di nota attiene alle riserve in sospensione di imposta generate dal regime delle deduzioni extra-contabili.

Prima dell’introduzione di questo regime156 non era possibile dedurre quote di ammortamento o di accantonamento, ammesse in deduzione dalle disposizioni fiscali, che non fossero state preventivamente imputate al conto economico dell’esercizio, o di esercizi anteriori, nei quali la deduzione non fosse stata effettuata per divieto espresso o per la facoltà riconosciuta al contribuente di rinviarla ad esercizi successivi. La ragione di ciò veniva ricondotta alla necessità di non consentire variazioni dirette a ridurre l’imponibile rispetto al risultato civilistico, in modo da impedire l’evidenziazione, e la possibile distribuzione, di utili non preventivamente tassati. Il divieto ostacolava, pertanto, ad esempio, la possibilità di dedurre quote di ammortamento o di accantonamento ammesse in deduzione dalle disposizioni fiscali a fronte dell’imputazione nel bilancio civile di ammortamenti o accantonamenti inferiori157. In altri termini, leggendo in modo combinato l’art. 109, comma 4, e l’art. 83, comma 1, del TUIR, nella versione antecedente alla riforma del 2003, sembrava che tutti i dati che concorrevano a formare l’utile potessero essere rettificati, in aumento o in diminuzione, eccetto i costi che, rispetto all’ammontare emergente dal conto economico, potevano essere rettificati solo in diminuzione ma mai in aumento158.

D’altro canto la normativa civilistica consentiva di effettuare accantonamenti e rettifiche di valore esclusivamente in applicazione di norme tributarie.

Gi ammortamenti, gli accantonamenti e le rettifiche di valore che potevano effettuarsi unicamente in applicazione di disposizioni tributarie, ai sensi dell’art. 2426, comma 2, c.c.159, originavano fondi del passivo aventi natura di fondi dedotti che, come tali, non

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Tale regime è stato introdotto con la riforma fiscale del 2003 (dlgs n. 344 del 2003) e poi eliminato con la legge finanziaria per il 2008 (l. n. 277 del 2007).

157 Così Crovato F., Lupi R., Il reddito d’mpresa, Milano 2002. p. 29. Con l’introduzione del principio di dipendenza rafforzata dell’imponibile fiscale dal risultato del conto economico non è più consentito dedurre costi ammessi fiscalmente in deduzione ma non rilevati nel conto economico (ad esempio se viene contabilizzato un costo per ammortamento inferiore a quello fiscalmente ammesso, la differenza non può essere altrimenti dedotta), a meno che sia previsto espressamente che si possa procedere alla deduzione in dichiarazione (come, ad esempio, per l’ammortamento dell’avviamento).

158 In tal senso Falsitta G., Convergenze e divergenze tra diritto tributario e diritto commerciale nella disciplina del bilancio di esercizio, in Giurisprudenza commerciale, 1980 fasc. 2, pp. 193 – 221.

159 Tali erano considerati, secondo il principio contabile OIC 1: gli ammortamenti eccedenti quanto necessario per ridurre il valore delle immobilizzazioni materiali in relazione alla loro residua possibilità di utilizzo (art. 102 del T.U.I.R.); gli ammortamenti eccedenti quanto necessario per ridurre il valore delle immobilizzazioni immateriali in relazione alla loro residua possibilità di utilizzo (art. 103 del T.U.I.R.);

creavano disallineamenti tra valori civilistici e valori fiscalmente riconosciuti del corrispondente attivo patrimoniale, risultando i criteri civilistici allineati (sebbene con una forzatura) a quelli fiscali di imputazione temporale dei costi160.

Per espressa previsione normativa l’ammortamento anticipato doveva, invece, dar luogo ad una riserva in sospensione di imposta, ai sensi dell’art. 67, comma 3161.

L’art. 67, comma 3, del TUIR, ante riforma 2003, prevedeva che la misura massima deducibile a titolo di ammortamento “può essere elevata fino a due volte, per ammortamento anticipato nell’esercizio in cui i beni sono entrati in funzione per la prima volta e nei due successivi, a condizione che l’eccedenza, se nei rispettivi bilanci non sia stata imputata all’ammortamento dei beni, sia stata accantonata in apposita riserva che agli effetti fiscali costituisce parte integrante dell’ammortamento (...). Le quote di ammortamento stanziate in bilancio dopo il completamento dell’ammortamento agli effetti fiscali non sono deducibili e l’apposita riserva concorre a formare il reddito per l’ammontare prelevato dall’imprenditore o distribuito ai soci o imputato a capitale in eccedenza alle quote non dedotte”. Dall’ultimo periodo dell’articolo 67, comma 3, si evinceva che la riserva per ammortamenti anticipati era in sospensione d’imposta, in quanto concorreva a formare il reddito per l’ammontare prelevato dall’imprenditore o

l’ammortamento dell’avviamento per l’eventuale differenza tra la misura massima fiscalmente ammessa e la quota di entità inferiore imputati in conto economico (art. 103, comma 3, del T.U.I.R.); l’ammortamento integrale nell’esercizio il cui relativo costo è stato sostenuto per beni di valore unitario non superiore a 516,46 euro (art. 102, comma 5, del T.U.I.R.); la svalutazione di lavori in corso su ordinazione eccedenti quanto necessario per tener conto delle perdite previste e dei rischi connessi nonché valutazione dei lavori in corso secondo il criterio della commessa completata (art. 93 del T.U.I.R.); la svalutazione dei crediti eccedenti quanto necessario per ridurre il loro valore al valore presumibile di realizzazione (art. 106, comma 1, del T.U.I.R.); gli accantonamenti a fronte delle spese per lavori ciclici di manutenzione e revisione delle navi e degli aeromobili (art. 107, comma1, del T.U.I.R.); gli accantonamenti a fronte delle spese di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili (art. 107, comma 2, del T.U.I.R.); gli accantonamenti a fronte degli oneri derivanti da operazioni a premio e da concorsi a premio (art. 107, comma 3, del T.U.I.R.).

160 Le valutazioni patrimoniali in senso fiscale non rispondono a procedimenti di stima ma a precise operazioni matematiche (ad esempio, coefficienti di ammortamento, ripartizione delle spese di pubblicità in più esercizi, percentuale di accantonamento al fondo svalutazione crediti ecc.). Le regole fiscali in questo campo servono a stabilire la c.d. “competenza interna” degli elementi reddituale da valutazione (in contrapposizione a quella esterna che riguarda le operazioni con terzi), ossia la distribuzione nel tempo degli stessi secondo il principio di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti. Cfr. Crovato F. Lupi R., Il reddito di impresa,, op. cit. p. 239.

161 Al riguardo è stato molto discusso se fosse ammissibile la deduzione degli ammortamenti anticipati senza la previa imputazione al conto economico ex art. 75 (oggi 109), comma 4, del TUIR. Tuttavia, in via interpretativa, ad un certo punto, se ne era ammessa la deducibilità extra contabile, come risultava dalle istruzione ai modelli di dichiarazione dei redditi a partire dal 1995. Di conseguenza alcune imprese, non imputando il costo in bilancio, alimentavano la riserva ammortamenti anticipati mediante destinazione dell’utile di esercizio. Con la legge finanziaria per il 2008, in linea con l’introduzione del principio di stretta derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato del conto economico, è stata eliminata definitivamente la possibilità di effettuare ammortamenti anticipati.

distribuito ai soci o imputato a capitale, solo per la parte eccedente le quote di ammortamento non dedotte fiscalmente dopo il completamento dell’ammortamento agli effetti fiscali. Infatti, nel momento in cui la società rilevava tra le variazioni in aumento del suo reddito imponibile e della sua base imponibile IRAP le quote di ammortamento effettuate sulla base della normativa civilistica, ma non deducibili in quanto espressamente escluse fiscalmente perché già in precedenza dedotte sub specie di ammortamenti anticipati, la riserva per ammortamenti anticipati, per pari ammontare, non era più in sospensione d’imposta, ma liberamente utilizzabile.

Si trattava, invero, di una riserva che per finzione giuridico-fiscale si era formata con utili non soggetti a tassazione a seguito della possibilità di dedurre costi in sede esclusivamente fiscale (come avviene anche nel caso di svalutazione dei crediti effettuata al puro scopo di beneficiare della deduzione fiscale); sarebbe stato, pertanto, più corretto parlare di fondo dedotto.

L’obbligo del “disinquinamento” del bilancio aveva comportato la necessità di stralciare dal bilancio le poste aventi natura prettamente fiscale (risultanti come tali dalla nota integrativa): stralcio che, essendo trattato, dal punto di vista contabile, come “cambiamento di principio contabile”, poteva dar luogo (secondo il principio contabile nazionale OIC 1) a componenti straordinari di reddito (corrispondenti ai fondi di ammortamento, accantonamento e svalutazione stornati) oppure (secondo il principio contabile internazionale IAS 8) ad una rettifica del patrimonio netto iniziale, mediante l’appostazione di una riserva destinata ad accogliere i saldi iniziali dei fondi in parola. Secondo gli ordinari principi di tassazione del reddito di impresa detto stralcio avrebbe originato materia imponibile sottoforma di sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 88, comma 1, TUIR, trattandosi di sopravvenuta insussistenza di oneri dedotti in bilancio in esercizi precedenti. Per tale ragione era stata statuita l’irrilevanza fiscale del disinquinamento.

Lo storno di tali fondi dedotti, in contropartita della rilevazione di un componente straordinario positivo di reddito fiscalmente irrilevante, implicava, però, il formarsi di un disallineamento tra valori civilistici e valori fiscalmente riconosciuti dei relativi beni iscritti nell’attivo. Differenza il cui “riassorbimento”, nel senso di riconduzione a tassazione, in dipendenza del principio di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, veniva lasciata all’eventuale realizzo (attraverso, ad esempio, la vendita, l’assegnazione

ai soci, la destinazione a finalità estranee all’esercizio di impresa) del bene o alla successiva imputazione di ammortamenti o accantonamenti non più rilevanti fiscalmente e, quindi, da recuperare a tassazione nella dichiarazione dei redditi.

Questi disallineamenti, risultando originati da costi considerati dedotti fiscalmente senza imputazione a conto economico, come spiegato dalla circolare n. 27/E del 2005, venivano assoggettati al regime delle deduzioni extracontabili e, quindi, sottoposti al vincolo di sospensione per masse sulle riserve di patrimonio netto e sugli utili portati a nuovo. Di conseguenza, la distribuzione delle poste vincolate, ove ne avesse determinato la ripresa a tassazione, avrebbe comportato il riallineamento tra valori fiscali e civili.

Alcune riserve risultanti in sospensione di imposta in applicazione di specifiche disposizioni tributarie, non essendo collegate ad un disallineamento tra valori civilistici e fiscali, non si consideravano rientranti nella disciplina del disinquinamento, di conseguenza non si poteva procedere all’eliminazione della specifica riserva sostituendola con l’apposizione di un vincolo di sospensione d’imposta di pari importo, su una corrispondente quota di patrimonio netto. Era questo il caso della riserva ex art. 70, comma 2 bis, TUIR, ante riforma 2003, che doveva essere istituita a fronte della deduzione di un importo non superiore al 3 per cento delle quote di accantonamento