1. CONCETTO DI UTILI DI ESERCIZIO E DI DIVIDENDO VS CONCETTO DI UTILI DA PARTECIPAZIONE E PROVENTI ASSIMILATI
Nel capitolo I si è distinto l’utile di esercizio dall’utile di bilancio e da quello economico. Si è detto che l’utile di esercizio presenta, diversamente dal profitto di impresa, una precisa definizione giuridica e che è da esso che si ricava la nozione di
dividendo. Si è poi rilevato che nell’attuale legislazione societaria accanto al dividendo si pongono altre forme di remunerazione delle somme investite in una società di capitali, che possono essere collegate o meno al surplus dell’attivo sociale sul passivo, a prescindere dal tipo di titolo partecipativo detenuto dall’investitore. In altri termini, qualunque forma di investimento (compresa quella azionaria) può presentare profili remunerativi stabiliti contrattualmente (in misura comunque dipendente dall’andamento economico della società) e perciò sottratti al potere dell’assemblea di determinarne l’an e/o il quantum.
Ciò che risulta mutato nell’attuale contesto normativo è il concetto stesso di partecipazione sociale, che, come meglio si approfondirà nel capitolo III, appare trasformato da “coacervo di diritti patrimoniali e amministrativi” in “forma di investimento di valori”, nella quale prevale il profilo del guadagno.
Il codice civile, nella sezione V del capo V del titolo V, non titola più di “Delle azioni” ma “Delle azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”. Secondo l’interpretazione dottrinale la “partecipatività” nel nuovo diritto societario non significa più “prender parte ad una attività”, ma vuol dire “prendere parte ai risultati economici dell’attività” e, quindi, al rischio di impresa, come per l’associazione in partecipazione.
Sarebbe, tuttavia, possibile suddividere gli strumenti finanziari in due grandi categorie, i “partecipativi”, di cui il prototipo sarebbe l’azione, accompagnata dagli “altri” strumenti partecipativi217, e i “non partecipativi”, il cui prototipo sarebbe l’obbligazione, alla quale si affiancherebbero “altri strumenti non partecipativi”, fra i quali quelli previsti dall’art. 2411, comma 3, c.c.218. Gli strumenti partecipativi si distinguerebbero da quelli non partecipativi perché attribuirebbero anche ai non soci diritti sociali (patrimoniali o amministrativi), diritti cioè che derivano dal contratto sociale. Conseguentemente, si dovrebbero applicare le stesse regole previste per i soci; ad esempio, un diritto di partecipazione agli utili dovrebbe, in primo luogo, comportare una delibera che ne autorizzi la distribuzione.
217 L’art. 2346 c.c., dopo aver specificato, al primo comma, che “la partecipazione sociale è rappresentata da azioni”, al sesto comma statuisce che “Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”.
218 L’art. 2411, che appartiene alla sezione “Delle obbligazioni”, al terzo comma sancisce che “La disciplina della presente sezione si applica inoltre agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società”.
Più precisamente, sotto il profilo dei diritti patrimoniali, il diritto agli utili attribuibile ai portatori di strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, dovrebbe essere distinto dal diritto a una remunerazione che, seppur commisurata agli utili dell’impresa, non presenti ‘‘natura partecipativa’’, e ciò in dipendenza del negozio giuridico che ne è fonte (quale, ad esempio, un contratto di finanziamento o un contratto di associazione in partecipazione). Se, infatti, il negozio giuridico da cui la remunerazione scaturisce non è il contratto sociale (ma un contratto di diversa natura), la remunerazione dell’investimento dei sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi non assume i connotati di un diritto partecipativo, in grado di caratterizzare gli strumenti finanziari di cui all’art. 2346, comma 6, c.c., poiché , per essere tale, è necessario che si tratti di una remunerazione (che trovi fonte nel contratto sociale e che pertanto sia) analoga al diritto agli utili dei soci, e quindi un diritto da esercitarsi in concorso con i soci219.
Secondo altri, però, il diritto alle utilità prodotte dalla società non può essere condizionato dalla decisione assembleare sulla distribuibilità dell’utile, poiché i titolari di strumenti finanziari partecipativi non hanno diritto di voto nell’assemblea dei soci, quindi non possono vedere il loro diritto eterodeterminato220.
Inoltre, è stato anche rilevato che la facoltà di determinare liberamente il contenuto delle azioni delle varie categorie ai sensi dell’art. 2348, comma 2, c.c., che si traduce, più in generale, nel principio di ‘‘atipicità ’’ dei diritti incorporabili in tali titoli, potrebbe essere estesa anche agli strumenti finanziari partecipativi221. Ad esempio, potrebbe prevedersi, in favore dei portatori di tali strumenti, un trattamento privilegiato nella ripartizione degli utili oppure un dividendo ‘‘minimo garantito’’ (sebbene pur sempre condizionato alla maturazione di un utile distribuibile).
Ancora, analogamente a quanto previsto per le azioni di risparmio, per le azioni privilegiate e per le altre categorie speciali di azioni, lo statuto potrebbe disporre una forma di distribuzione ‘‘obbligatoria’’ di utili a favore dei titolari di strumenti finanziari
219
Notari M. – Giannelli A., Commento al comma 6 dell’art. 2346, in Marchetti - Bianchi - Ghezzi - Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008.
220
Lolli A., Gli strumenti finanziari, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, I.
221
Giampieri A., Gli strumenti finanziari partecipativi quale metodo di finanziamento delle acquisizioni, in M. Irrera (diretto da) Le acquisizioni societarie, Bologna, 2011
partecipativi, attraverso l’utilizzo di riserve disponibili, oppure sotto forma di una percentuale fissa da applicarsi sugli utili di bilancio o di esercizio; pure sembra possibile che la quota di utile spettante ai titolari degli strumenti in parola consista in una somma determinata forfetariamente a valere sugli utili di esercizio. In particolare, appare plausibile individuare una remunerazione calcolata mediante un parametro finanziario (ad esempio, un tasso di interesse, anche variabile) da applicare all’ammontare degli utili accertati nel bilancio d’esercizio: in tal modo, infatti, il credito vantato dai portatori degli strumenti finanziari sarebbe sempre riferito alla esistenza di un utile accertato e, sebbene determinato sulla base di un indice di natura finanziaria, non dovrebbe alterare la natura del presupposto della remunerazione di tali strumenti (e cioè il fatto che si tratti di una remunerazione correlata al conseguimento di un utile di esercizio).
Nell’utilizzo dell’ampia autonomia statutaria concessa in questa materia, si potrebbero, inoltre, prevedere pagamenti in favore dei titolari di strumenti finanziari partecipativi anche non coincidenti con l’approvazione del bilancio ovvero, come sostenuto da parte della dottrina222, pagamenti che non richiedano una preventiva deliberazione assembleare.
Secondo un’altra opinione, a causa dell’ampiezza riconosciuta all’autonomia statutaria, non è possibile stabilire un confine netto tra le due categorie di strumenti finanziari partecipativi e strumenti finanziari non partecipativi perché è ben ammissibile che vengano emessi strumenti finanziari identici alle obbligazioni sotto il profilo patrimoniale, ma con in più il possesso di diritti amministrativi (che invece, secondo l’anzidetta distinzione, fondata sulla fonte contrattuale, dovrebbero essere preclusi a
222 Cfr. Giampieri A., Gli strumenti finanziari partecipativi, cit., pag. 626, il quale ipotizza il caso in cui l’assetto contrattuale riconosca agli strumenti finanziari partecipativi un determinato importo a valere sugli utili relativi a una determinata operazione (come, ad esempio, la vendita di una certa partecipazione azionaria ovvero - ipotesi simile – come la vendita delle partecipazioni di titolarità dell’emittente in misura superiore a una certa percentuale del capitale sociale ovvero superiore a un certo valore). In questo caso, secondo l’Autore, lo statuto o il regolamento di emissione diverrebbe la fonte dell’obbligazione pecuniaria vantata dai portatori di strumenti partecipativi che potrebbero pretenderne l’adempimento. L’Autore precisa, inoltre, che, a tutela della posizione degli amministratori dell’emittente, tali distribuzioni infrannuali possano avvenire solo a condizione che sia stata redatta una situazione patrimoniale di periodo, volta a dimostrare la sussistenza dell’utile, il rispetto di eventuali obbligazioni maturate di natura finanziaria nonchè la capacità di far fronte alle obbligazioni in scadenza di natura ordinaria.
questa tipologia di strumenti), oppure che vengano emessi strumenti identici alle obbligazioni, ma a fronte di un apporto d’opera o in natura (anziché di denaro) 223.
D’altra parte anche la distinzione fondata sulla partecipazione al rischio di impresa contrasterebbe con l’intento del legislatore della riforma di ampliare l’autonomia statutaria al fine di attrarre risorse finanziarie nell’alveo societario. La partecipazione al rischio può manifestarsi o sotto il profilo della remunerazione (partecipazione agli utili, totale o parziale, con remunerazione mista fissa/utile), o sotto quello della restituzione (che potrà essere aleatoria o incerta, oppure mista, in parte certa e in parte incerta), o sotto entrambi (come nell’associazione in partecipazione).
Se per strumenti finanziari partecipativi si devono intendere quelli connessi ad apporti che, contabilmente, devono essere appostati in un’apposita riserva del patrimonio netto perché non restituibili e remunerati sotto forma di partecipazione agli utili (partecipazione totale al rischio di impresa), e per strumenti finanziari non partecipativi devono intendersi quelli di debito, computati contabilmente nel passivo dello stato patrimoniale, anche se il diritto alla restituzione è (non certo ma) condizionato dall’andamento economico della società, allora non si potrebbero emettere ex art. 2346, comma 6, strumenti partecipativi dotati di diritto al rimborso, né gli strumenti a rimborso condizionato ex art. 2411, comma 3, potrebbero essere dotati di diritti amministrativi. Inoltre, tutte le forme ibride (ad esempio, obbligazioni dotate di poteri di voice, obbligazioni a fronte di apporti in natura, o di opera o servizi - senza diritti amministrativi -, strumenti a remunerazione e rimborso certo a fronte dei medesimi apporti - senza diritti amministrativi - ) sarebbero prive di copertura legislativa.
In sintesi, il rapporto tra gli strumenti finanziari previsti dall’art. 2411, comma 3, e quelli partecipativi di cui al 2436, non viene a delinearsi né in termini di genere a specie, né in termini di piena, reciproca autonomia: si tratta di due insiemi distinti sì, ma il cui “insieme intersezione” non è vuoto, esistendo figure ibride sussumibili nel contempo entro l’una ed entro l’altra specie.
In realtà, se si tiene conto che caratteristica indefettibile delle obbligazioni è la restituzione (mentre la remunerazione può essere variabile) allora può ritenersi che il comma 3 dell’art. 2411 faccia riferimento a quegli strumenti in cui è la restituzione ad
223
Si veda Mignone G., Gli strumenti finanziari di cui al 6° comma dell’art. 2346, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza:2003-2009, a cura di Cottino G., 2009.
essere variabile: questi non possono chiamarsi obbligazioni ma ad essi è estesa la disciplina delle obbligazioni, comunque siano denominati. D’altra parte, non avendo il legislatore chiarito quale tipo di apporto stia a fronte dello strumento emesso ex art. 2411, comma 3 (beni, servizi o solo denaro come per le obbligazioni?) e potendo gli strumenti finanziari partecipativi di cui al comma 6 dell’art. 2346 configurarsi tanto come strumenti di quasi capitale quanto come strumenti di debito, dotati o no, in entrambi i casi, di diritti amministrativi e, sul fronte patrimoniale, di qualsivoglia intreccio di possibilità remunerazione/restituzione, probabilmente tutto ciò può voler dire che gli strumenti di cui al 2411, comma 3, altro non sono che un sottotipo di quelli di cui al 2346, comma 6, per i quali il legislatore ha previsto un più rapido meccanismo di emissione: quando gli strumenti non siano di quasi capitale (in quanto restituibili), non attribuiscano diritti amministrativi e prevedano un apporto unicamente in denaro (come le obbligazioni, da queste differenziandosi solo per la restituzione aleatoria), allora possono essere emesse dagli amministratori anche senza una previa disposizione statutaria224.
Lo strumento finanziario, invero, sia che risulti emesso ai sensi dell’art. 2346, comma 6, sia che si tratti di quello previsto dall’art. 2411, comma 3, si dovrebbe qualificare sempre come debito della società, anche nell’ipotesi di postergazione ad altri creditori, atteso che le condizioni e le modalità e i tempi del rimborso non alterano il fatto che si tratta sempre di rimborso di un debito della società.
In effetti lo IAS 32 prevede proprio che la rappresentazione contabile sia quella tipica del debito, se risulta comunque prevista una restituzione, per aleatoria che sia.
Soltanto quando l’apporto sia non restituibile può trovare collocazione nel patrimonio netto, sottoforma di riserva indisponibile, col rischio però di risultare assorbito da eventuali perdite di esercizio prima del capitale sociale. Se ciò si verificasse si avrebbe che il rischio di perdita dell’apporto colpirebbe, paradossalmente, prima i non soci. Tuttavia, come nell’associazione in partecipazione, il capitale che proviene da terzi (cioè da non soci), pur rappresentando un debito della società, perché questa è tenuta a restituirlo, ben può partecipare al rischio di impresa perché remunerato ad utile e perché la restituzione è condizionata all’assenza di perdite. Le perdite eventualmente rilevate a fine esercizio andranno immediatamente ad assorbire il debito di restituzione che, in tal
modo, si ridurrà; gli utili dei successivi esercizi andranno prima a reintegrare l’apporto fino a ricostituirlo, e solo dopo ricominceranno ad essere versati all’associato. L’utile che spetta all’associato (ma lo stesso può valere per il titolare di uno strumento finanziario condizionato nella remunerazione e nella restituzione), però, non è quello che spetta al socio: esso è dovuto indipendentemente da qualsiasi placet assembleare. Potrà perciò accadere che la società decida di non distribuire l’utile prodottosi, ma l’associato lo percepirà ugualmente perché ne ha diritto. Evidentemente, a fronte di questo utile spettante all’associato, la società dovrà rilevare un debito nei confronti di quest’ultimo, ed allora si potrà dire di essere in presenza di un costo per l’associante225. Naturalmente, che l’associazione in partecipazione possa rappresentare un modello di partenza, un prototipo, per l’analisi di tutti gli strumenti finanziari, può essere oggetto di discussione, ma non può essere contestato che uno strumento il quale dia diritto ad un rendimento e ad una restituzione del capitale legati all’andamento della società sia rappresentativo della posizione di un associato in partecipazione, perché lo stabilisce il codice civile226.
L’equivoco sta nel fatto che viene considerato strumento di debito solo quello che prevede una remunerazione e restituzione certa, in contrapposto alla remunerazione e restituzione incerta tipico della partecipazione al capitale (azione).
D’altra parte, l’ampio spazio concesso all’autonomia contrattuale dei soci nella creazione di categorie azionarie atipiche (c.d. contrattualizzazione del fenomeno societario), porta a legittimare forme di soggettivizzazione delle posizioni sociali (estranee alla disciplina delle società per azioni227) che rendono assai ardua la distinzione della posizione del socio da quella di un terzo: ci si chiede infatti che cosa distingua dal partecipante terzo agli utili della società il socio che non abbia diritto di voto.
Sotto il profilo patrimoniale il contenuto delle azioni può essere variamente forgiato con riferimento, in particolare, alla incidenza nella partecipazione alle perdite, al privilegio nella partecipazione agli utili (nel senso di maggiorazione sugli utili o in sede di
225
Ciò è stato dimostrato da Colombo G.E. in Associazione in partecipazione, prestiti subordinati ed iscrizione in bilancio, in Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato, a cura di Portale, Milano,1983, e può essere calato nel contesto attuale.
226 Lo rileva Mignone G., Gli strumenti finanziari di cui al 6° comma dell’art. 2346, op. cit., p. 322.
227 Indicativa in tal senso è l’assenza nella disciplina delle società per azioni di una disposizione analoga a quella contenuta nel comma 3 dell’art. 2468 c.c., secondo cui l’atto costitutivo di società a responsabilità limitata può prevedere l’attribuzione ai singoli soci di particolari diritti.
liquidazione), alla correlazione al rendimento di un certo settore228, con ciò deviando dal principio di uguaglianza proporzionale. Tuttavia devono essere rispettati precisi limiti contenuti in disposizioni di legge: il divieto di configurare il diritto di partecipazione ai risultati dell’attività in termini di interesse periodico fisso a carico della società; il divieto di patto leonino con la conseguente illegittimità di clausole tendenti a sopprimere i diritti patrimoniali (cioè all’utile di esercizio e alla quota di liquidazione); il divieto di creare disuguaglianze tra azionisti all’interno di ciascuna categoria.
Sotto il profilo fiscale è stato ritenuto che i nuovi strumenti finanziari (sia quelli partecipativi di cui al comma 6 dell’art. 2346 c.c., sia quelli comunque denominati di cui all’art. 2411, comma 3) non danno luogo a proventi qualificabili come utili da partecipazione, perché non sottendono una partecipazione al capitale o al patrimonio della società emittente. Altrettanto può dirsi per gli utili accordati sulla base dei contratti di associazione in partecipazione ex art. 2554 c.c.229
La mancanza del carattere partecipativo viene rinvenuta nel fatto che gli strumenti in parola non attribuiscono la qualità di soci.
Se, però, la remunerazione di tali strumenti finanziari è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi, allora si applica il medesimo regime fiscale previsto per gli utili da
228 Le azioni correlate ex art. 2350 c.c. non sono, tecnicamente, azioni privilegiate: esse non assicurano una maggiorazione sugli utili o in sede di liquidazione, ma prevedono una remunerazione correlata (appunto) ai risultati di un determinare settore. Gli azionisti correlati sono comuni azionisti, il cui dividendo è semplicemente calcolato su quello di un determinato settore; essi partecipano agli utili dell’intera società, semplicemente in una misura accresciuta o diminuita, in base al rendimento di un certo settore. Ad esempio, se il settore è cresciuto del 10%, mentre il resto della società lo è del 2%, gli azionisti correlati percepiranno un utile, inteso come utile della società nel suo complesso, maggiorato dell’8% rispetto ai rimanenti soci. Di regola anche la distribuzione dell’utile alle azioni correlate è soggetta al normale placet assembleare; non si esclude, tuttavia, che lo statuto possa disporre, con apposita clausola, che agli azionisti correlati la quota di utili spetti automaticamente, in conseguenza del loro semplice accertamento, fatta salva la discrezionalità assembleare in ordine all’eventuale accantonamento. In questo ultimo caso, però, la riserva formata con gli utili del comparto andrebbe tenuta distinta dalle altre e gestita separatamente, onde renderne beneficiari, con preferenza, i titolari delle azioni correlate. Tuttavia, se la preoccupazione è quella di impedire che l’utile di comparto venga risucchiato nel patrimonio, occorre considerare che esiste un diverso meccanismo in grado di compensare il rischio, per gli azionisti correlati, che il risultato di settore vada perduto: se non si possono fare trattamenti particolari in sede di accantonamento, specularmente non se ne potranno fare neppure in sede di scioglimento successivo di riserve; se, perciò, utili accantonati saranno oggetto di successiva distribuzione, le azioni correlate parteciperanno ad essa su un piano di totale parità con le altre azioni.
partecipazione; in altri termini, lo strumento finanziario viene assimilato alla partecipazione tipica unicamente sotto il profilo della remunerazione.
Tale regime si applica anche alle remunerazioni dei contratti di associazione in partecipazione in cui l’apporto sia diverso da quello di opere e servizi, però solo qualora il valore dell’apporto sia superiore al 5% o al 25% del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del contratto nel caso in cui si tratti di società i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.
Nella ricerca di una definizione, rilevante ai fini fiscali, di utili da partecipazione sembra che sia determinante proprio il concetto di partecipazione sociale230. Sul punto la dottrina prevalente (ed anche l’Agenzia delle Entrate) ha ritenuto che la riforma tributaria del 2003 non abbia realmente inciso e che il concetto di partecipazione cui l’art. 44, comma 1, lett. e), TUIR, fa riferimento resti quello tradizionale di partecipazione come posizione nell’organizzazione sociale, espressa dal capitale231. Il riferimento al capitale o al patrimonio rappresenterebbe una puntualizzazione tesa ad inglobare tutti i tipi di azioni o quote, a prescindere dalla reale configurazione tanto dei diritti amministrativi quanto di quelli patrimoniali. In altri termini, non viene data rilevanza fiscale né all’eventuale assenza del diritto di voto, né alla proporzionalità del conferimento, né alle variegate forme di rendimento che l’autonomia statutaria può prevedere232.
In particolare, sotto il profilo della remunerazione, si configureranno sempre utili da partecipazione, in quanto, nell’apprezzamento legislativo, l’elemento partecipativo delle azioni, anche speciali, o delle quote, è già compiutamente espresso dalla partecipazione