Il termine “patrimonio” non ha una specifica denotazione né in dottrina né in campo legislativo, ed è inoltre un termine ambiguo perché non è facilmente distinguibile da altri termini come “mezzi propri, mezzi di terzi, capitale reale, patrimonio netto”.
Nella scienza aziendale il patrimonio è considerato in rapporto all’attività di impresa ed è definito, economicamente, come l’insieme dei mezzi (beni o utilità) disponibili in un dato momento. Quindi, dal punto di vista dell’impresa, il patrimonio è il complesso degli investimenti, intesi come impieghi di capitale.
Se considerato nella prospettiva del finanziatore è, invece, l’insieme del capitale proprio (capitale sociale e riserve) e del capitale di terzi.
Talvolta si parla di patrimonio lordo per distinguerlo dal patrimonio netto, che invece è il saldo attivo del bilancio dato dalla somma del capitale e delle eventuali riserve. Si tratta comunque di un’espressione che designa una nozione diversa da quella di patrimonio risultante dal bilancio che, invece, è il risultato dei criteri di valutazione applicabili civilisticamente. Le valutazioni ammesse dalle norme sul bilancio (ispirate al criterio di prudenza) riflettono la preoccupazione del legislatore per la corretta rilevazione dell’utile sicuramente realizzato e per la tutela dell’integrità del capitale. Invero, esiste tra patrimonio sociale, patrimonio netto, capitale sociale e utili un rapporto di complementarità, nel senso che non soltanto l'uno si individua solo in presenza dell'altro, ma lo stesso significato di ciascuno di essi non si presta ad essere colto se non alla luce di quello dell'altro; infatti, gli utili indicano la parte del patrimonio netto che eccede la misura del capitale, e che, in quanto non assoggettata al relativo vincolo, risulta liberamente distribuibile tra i soci; utile (di bilancio) e capitale (nominale) risultano del resto tra loro logicamente contigui, come dimostra il fatto che ogni distribuzione di utili fittizi (che possono formarsi, ad esempio, per
22 Costituiscono forme semplici di utilizzo la distribuzione ai soci, l’imputazione a capitale, la distribuzione ai soci successiva ad imputazione a capitale, l’imputazione ad altre riserve, la copertura di perdite. Queste modalità si possono anche combinare in complesse successioni temporali: ad es. imputazione e successiva riduzione, riduzione del capitale con imputazione a riserva e successiva distribuzione, etc.
sopravvalutazione dell’attivo patrimoniale) si risolve in una restituzione del capitale indebita; analogamente, il patrimonio netto è complementare al capitale sociale (o meglio alla partecipazione al capitale) ed individua la differenza tra il valore dell'attivo e l'ammontare complessivo delle pretese vantate dai creditori sociali, e cioè appunto da coloro che al capitale sociale non partecipano23.
Inizialmente il patrimonio dell’impresa è costituito dai conferimenti dei soci (di beni, crediti e denaro), i quali, a loro volta, trovano la loro espressione monetaria (e contabile) nel capitale sociale (o capitale nominale), e dagli apporti. Il capitale sociale è successivamente suscettibile di subire variazioni in aumento o in diminuzione che incidono sulla consistenza patrimoniale.
Mentre il patrimonio è concetto economico-empirico, il capitale è concetto giuridico-contabile, ed è un elemento numericamente fisso che può subire variazioni in aumento o diminuzione espressamente disciplinate. Il patrimonio, invece, è suscettibile di auto accrescimento perché è la fonte generatrice del reddito. Contabilmente il capitale sociale viene rappresentato nella colonna del passivo dello stato patrimoniale ma non è una passività. Esso, infatti, non rappresenta un debito verso i soci, i quali hanno in realtà solo un diritto a partecipare alla divisione del residuo netto di liquidazione e non un diritto alla restituzione del capitale. L’iscrizione al passivo è solo un espediente contabile per assicurare ai soci e ai terzi che il valore di tutti i beni dell’attivo sia sempre superiore alle passività di un ammontare minimo pari appunto al capitale sociale24. Se si concepisce la società (di qualunque tipo) come organizzazione della contitolarità dell’impresa, ossia come forma di esercizio collettivo dell’impresa (e non come tipo di responsabilità), i conferimenti e il patrimonio vengono ad assumere una funzione propriamente di produzione, cioè di elemento propulsivo dell’attività25.
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Cfr. Ferri G. Jr, Capitale sociale e società di persone, in Riv. Notariato, 2012, 02, 247.
24 Cfr. Colombo G.E., Il bilancio di esercizio struttura e valutazioni, Torino, 1987.
25 Tantini G., Capitale e patrimonio nelle società per azioni, Padova 1980. L’Autore non nega comunque che nelle società di capitali, che si caratterizzano per la responsabilità limitata dei soci, il capitale e il patrimonio assolvano anche ad una funzione di garanzia dei creditori sociali, ma ciò in via assolutamente secondaria, tant’è che possono essere conferiti anche beni non espropriabili. Inoltre, il capitale minimo richiesto dalla legge per costituire una società di capitali, più che diretto a costituire un fondo minimo di garanzia per i creditori, a fronte della limitazione di responsabilità dei soci, tende a funzionare da strumento di selezione nella scelta dei tipi sociali. La mancanza di correlazione diretta tra obbligo dei conferimenti, capitale minimo e responsabilità dei soci la si verifica anche nelle società di persone, dove, pur sussistendo l’obbligo dei conferimenti (ma non la costituzione di un capitale minimo) e pur applicandosi la disciplina della distribuzione degli utili (in caso di perdite) e di riduzione del capitale propria delle società di capitali, per le obbligazioni sociali rispondono i soci personalmente e illimitatamente con il loro patrimonio; il che conferma che la responsabilità illimitata non dipende dalla
In senso giuridico, dunque, il patrimonio può essere inteso come fondo comune necessario per il funzionamento dell’impresa. Ciò da un punto di vista, per così dire, statico; se, invece, lo si guarda nel suo divenire, il patrimonio, in senso giuridico, può anche interpretarsi come insieme dei rapporti giuridici relativi allo svolgimento dell’attività di impresa, di modo che esso viene a costituire un effetto dell’attività.
I conferimenti, che trovano la loro espressione nel capitale, rappresentano i mezzi propri della società vincolati allo svolgimento dell’impresa. Il patrimonio è invece l’insieme dei mezzi (propri o di terzi, in base alla loro provenienza) di cui è dotata l’impresa in un dato momento.
La disciplina del capitale e del patrimonio appare coerente in tutti i tipi sociali, vigendo gli analoghi principi della distribuibilità dei soli utili effettivamente conseguiti ed il principio di conservazione del patrimonio e dell’esatta rilevazione del capitale. L’unica differenza tra società di capitali e società di persone sta nella non applicabilità della disciplina del capitale esuberante in rapporto alle esigenze dell’impresa nelle società di persone26. Per il resto detta disciplina appare sempre rivolta alla tutela dei mezzi investiti.
Diverso dal concetto di patrimonio è quello di “patrimonio netto”: il primo designa entità reali, il secondo è invece una differenza contabile, tra le attività e le passività iscritte nel bilancio di esercizio; il suo valore rispecchia, dunque le stime delle poste attive e passive che derivano dall’applicazione dei criteri contabili civilisticamente ammessi.
Il patrimonio netto, dunque, nella prospettiva economico-contabile può essere inteso come il sistema dei valori attribuito al patrimonio dell’impresa in funzione della corretta determinazione periodica dei risultati di esercizio. E’ un valore che si quantifica con riferimento all’intero patrimonio aziendale raffigurato nello stato patrimoniale27.
mancanza di un patrimonio idoneo alla garanzia dei creditori ma che essa è invece strettamente correlata al potere di amministrazione riconosciuto a ciascun socio che conserva la qualità di imprenditore. Anche il fondamento dell’autonomia patrimoniale delle società di persone non va ricercato nella tutela dei creditori sociali (posto che possono essere conferiti anche beni non idonei alla garanzia e che la società non è soggetta all’obbligo di scioglimento laddove non siano conferiti o conservati beni sufficienti al conseguimento dell’oggetto sociale), ma va riconosciuto come strumento per evitare che la presenza di più contitolari dell’impresa si trasformi in fattore di disgregazione del patrimonio investito.
26 Tale differenza è anche dovuta al fatto che la riduzione del capitale nelle società di persone richiede il consenso unanime, per cui sono improbabili gli abusi che potrebbero verificarsi nelle società di capitali dove la valutazione dell’esuberanza è demandata alla maggioranza (Tantini, op. cit.).
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Il valore del patrimonio netto può essere di entità diversa in funzione dei criteri di valutazione adottati: ci sono quelli ordinari, ispirati al principio di prudenza, e quelli straordinari, che rispondono ad esigenze
Questo primo elemento consente di fare già alcune considerazioni in merito al quesito sull’esistenza di un patrimonio netto fiscale diverso da quello civilistico. In effetti, le valutazioni dell’attivo e del passivo fiscalmente ammesse, come noto, rispondono a criteri diversi da quelli cui si ispirano le norme civilistiche sul bilancio28. Ciò determina delle differenze tra il risultato di bilancio e l’imponibile fiscale, le quali vanno ad alimentare i c.d. fondi tassati, fondi dedotti e le riserve in sospensione d’imposta. Questi ultimi trovano la loro espressione contabile in fondi del passivo o direttamente nel patrimonio netto29.
A tal riguardo, è ben nota la discussa questione dell’inquinamento fiscale del bilancio che si collega a quella disposizione contenuta nell’art. 109, comma 4, del TUIR, secondo la quale le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza30.
Per quanto riguarda i soggetti che adottano i principi contabili internazionali, è noto che, dopo l’iniziale neutralità degli stessi agli effetti fiscali, introdotta dal dlgs n. 38 del 2005, la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) ha attenuato tale neutralità ed, in forza del principio di derivazione rafforzata, ha dato rilevanza ai criteri di qualificazione, imputazione temporale classificazione adottati dagli IAS/IFRS.
La valenza fiscale di tali principi comporta il riconoscimento in ambito tributario del principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, sul quale gli IAS/IFRS si fondano.
Tuttavia, come risulta dal decreto attuativo della normativa in parola, n. 48 del 2009, non risulta compromessa l’applicazione delle disposizioni che riguardano la disciplina delle valutazioni (in particolare, ammortamenti e accantonamenti) e di tutte quelle
diverse di valutazione del patrimonio, per esempio, ai fini della cessione dell’azienda, di operazioni straordinarie, della liquidazione, ecc.
28 A norma dell’art. 83 il reddito complessivo assoggettabile a IRES è determinato apportando al risultato del conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento e in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nell’apposita sezione del TUIR dedicata alla determinazione della base imponibile IRES.
29 Si veda il paragrafo 8.
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Per un breve periodo (dal 2004 al 2007) il problema dell’inquinamento fiscale del bilancio sembrava si fosse risolto con l’introduzione del prospetto delle deduzioni extra-contabili. L’ultima riforma (quella attuata con la legge 24 dicembre 2007, n. 244), ha però eliminato la disciplina delle deduzioni extra-contabili, ed ha, allo stesso tempo, introdotto un principio di più stretta derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato del conto economico (anche attraverso l’eliminazione della possibilità di dedurre alcuni costi aventi natura prettamente fiscale, come gli ammortamenti anticipati). Si veda più diffusamente il paragrafo 8.
regole che riflettono interessi di matrice tributaria, come: i limiti quantitativi alla deduzione di determinati componenti negativi o la loro esclusione o la loro ripartizione in più periodi di imposta; l’esenzione o l’esclusione, parziale o totale, di specifici componenti positivi o la loro ripartizione in più periodi di imposta; il criterio di cassa per taluni componenti del reddito imponibile.
Ne deriva che, mentre sotto il profilo della qualificazione e classificazione in bilancio delle operazioni si potrebbero presentare delle differenze nella composizione del patrimonio netto tra i soggetti che adottano i principi contabili internazionali e quelli che adottano i principi contabili nazionali, non è possibile affermare lo stesso con riferimento ai criteri di valutazione delle poste di bilancio31.
Le poste che compongono il patrimonio netto si dicono ideali perché esse non rappresentano somme investite in beni specifici. La distinzione tra capitale, riserva legale, riserve statutarie, riserve facoltative, riserva sovrapprezzo azioni, riserva per azioni proprie in portafoglio e riserve di rivalutazione monetaria, richiesta dalla legge, trova giustificazione sia nella diversa origine delle voci del patrimonio netto sia, soprattutto, nella diversa destinazione ad esse assegnata dall’assemblea in sede di
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Le qualificazioni attengono alla “sostanziale” individuazione degli effetti di ciascuna operazione aziendale: in tal senso, un’operazione si qualifica, ad esempio, come vendita piuttosto che come locazione ovvero come finanziamento piuttosto che come conferimento di capitale, e via discorrendo; le “classificazioni”, invece, costituiscono il passo successivo: infatti, una volta individuato il “modello” giuridico-negoziale di riferimento - e una volta chiarito se l’operazione presenti unicamente profili patrimoniali o si manifesti, in tutto o in parte, come fenomeno reddituale - occorre definirne gli specifici effetti che la stessa eventualmente produce sul reddito (e, contestualmente, individuare la specifica appostazione in bilancio dei relativi elementi reddituali e/o patrimoniali). Il fenomeno delle imputazioni temporali è, in genere, strettamente connesso con i due precedenti: è evidente che un’operazione che, rispetto alla rappresentazione contabile di tipo giuridico-formale, sia diversamente qualificata e/o classificata in bilancio, possa altresì generare (e frequentemente genera) una diversa imputazione temporale dei relativi componenti di reddito. Così esplica la circolare n. 7/E del 28 febbraio 2011. Con riferimento alle componenti valutative per le quale restano applicabili le regole dell’IRES che disconoscono la rilevanza delle valutazioni IAS, si tratta, in particolare, di: valutazione degli asset in applicazione del “revaluation model” previsto dallo IAS 16: in tale ipotesi i plusvalori o minusvalori che sono rilevati in bilancio non assumono alcun rilievo fiscale; valutazione con il criterio del fair value degli immobili qualificati dallo IAS 40 come beni d’investimento, con conseguente irrilevanza delle variazioni del fair value; applicazione del metodo dell’impairment test di cui allo IAS 36: in questa ipotesi le perdite di valore rilevate sugli asset di bilancio non assumono rilievo ai fini fiscali.
costituzione o alimentazione della posta e nella diversa disciplina legale a cui ognuna di esse è soggetta. Non sempre, peraltro la differente origine comporta diversa appostazione in bilancio; ad esempio, nella voce capitale sociale confluiscono non solo i conferimenti iniziali e successivi dei soci ma anche le riserve nel caso di aumento gratuito ex art. 244232. L’origine riveste invece notevole importanza in ambito tributario posto che in caso di riduzione del capitale esuberante deve essere tenuto in considerazione l’eventuale precedente aumento operato con riserve diverse da quelle indicate nel comma 5 dell’art. 47 del TUIR: in tal caso, infatti, emerge materia imponibile, a titolo di utile, in capo al socio. Nel caso l’aumento sia imputabile alle riserve indicate dall’art. 47, comma 5, del TUIR (ossia le riserve costituite con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote, con interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, con versamenti dei soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta), soltanto la parte che eccede il costo dell’investimento costituisce reddito imponibile per i soci.
E’ importante distinguere tra poste del netto e poste che non fanno parte del netto. Le poste del patrimonio netto non rappresentano né debiti, né rischi specifici di insorgenza di debiti, né rettifiche di valori attivi, né stime di rischi di svalutazione di elementi attivi. In altre parole, appartengono al patrimonio netto tutte le poste caratterizzate dal non essere un passivo; nessuna di esse rappresenta un debito della società: il capitale sociale non è un debito della società verso gli azionisti33 e le riserve non comportano alcun particolare diritto per i soci. Le voci del netto sono iscritte nel passivo per una ragione puramente contabile, ossia il bilanciamento dello stato patrimoniale34; nessuna di esse rappresenta rischi di insorgenza di debiti, rettifica di valori attivi, o rischi di svalutazione di attivi.
Talvolta le poste del passivo nascondono vere e proprie riserve: ciò avviene ogni qualvolta la posta non rappresenta una rettifica dell’attivo ma accoglie accantonamenti
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A tal riguardo è stato osservato che la sottoposizione di un’aliquota del patrimonio netto al regime di indisponibilità propria del capitale non significa che si possa parlare di apporto patrimoniale a favore della società (Cera M., Il passaggio di riserve a capitale, Milano 1988).
33 L’iscrizione al passivo del capitale sociale (al suo valore nominale, anche se non interamente versato) si giustifica come strumento contabile per assicurare la conservazione, nel patrimonio sociale, di una massa di beni di valore superiore alle passività nella misura minima del capitale.
per perdite solo meramente possibili35. In tal caso si è però in presenza di un vero e proprio illecito per contrasto con i principi di chiarezza, verità e precisione del bilancio36.
Le riserve devono essere tenute distinte dai fondi del passivo anche da un punto di vista economico. I fondi sono infatti destinati ad accogliere accantonamenti effettuati in sede di determinazione del reddito di esercizio, mentre le riserve sono costituite quando si decide in ordine alla destinazione del reddito di esercizio evidenziato dal bilancio. A tal proposito occorre rilevare che l’introduzione nel nostro ordinamento dei principi contabili internazionali, per effetto del dlgs n. 38 del 28 febbraio 200537, ha rivoluzionato i criteri di formazione del patrimonio netto, considerato che questo deve accogliere non solo le riserve di utili realizzati (come quelli che appunto derivano dal conto economico) ma anche quelle di utili soltanto sperati, come i valori derivanti dalla valutazione al fair value di attività destinate a rimanere stabilmente vincolate all’attività di impresa38.
In tal modo risulta modificata anche la stessa funzione informativa del patrimonio netto: infatti, se è vero che con i nuovi principi contabili internazionali non risulta intaccata la
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Gli accantonamenti civilisticamente ammessi, che comportano rettifiche delle corrispondenti voci dell’attivo, sono solo quelli per perdite certe o probabili.
36 Colombo G.E., il bilancio di esercizio: struttura e valutazioni, Torino 1987.
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Il Regolamento comunitario n. 1606/2002 concedeva agli Stati membri un’opzione per introdurre – nei rispettivi ordinamenti – specifiche norme che imponessero o consentissero, alle società con titoli negoziati in un mercato regolamentato nonché alle altre società, la redazione del bilancio d’esercizio in base agli IAS/IFRS. Il Legislatore italiano si è avvalso delle facoltà concesse dal citato Regolamento mediante l’articolo 25 della legge n. 306 del 31 ottobre 2003, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (cd. “Legge comunitaria 2003”). In base a tale disposizione, il Governo era stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi sulla base di principi e criteri direttivi che prevedevano l’obbligo degli IAS/IFRS per la redazione del bilancio d’esercizio, da parte delle società quotate, nonché per la redazione del bilancio d’esercizio e di quello consolidato da parte delle società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico (art. 116 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) e da parte delle banche e degli intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia. Veniva, inoltre, prevista l’adozione obbligatoria degli IAS/IFRS per la predisposizione del bilancio d’esercizio e consolidato delle imprese assicurative, pur se l’obbligo relativo al bilancio d’esercizio era limitato al solo caso di società quotate non tenute alla redazione del bilancio consolidato. Alle società diverse da quelle menzionate (oltre che da quelle obbligate dal Regolamento n. 1606/2002) il Legislatore ha attribuito la facoltà di redigere il bilancio d’esercizio e quello consolidato secondo i principi IAS/IFRS, prevedendo la sola esclusione delle società rientranti nei parametri dimensionali di cui all’articolo 2435 bis del Codice Civile per la redazione del bilancio in forma abbreviata. Successivamente, le disposizioni della Legge comunitaria sopra citata hanno trovato attuazione con il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, recante – per l’esercizio delle opzioni previste dall’articolo 5 del Regolamento n. 1606/2002.
funzione vincolistica del patrimonio netto39, altrettanto vero è che esso non può più essere considerato espressivo della ricchezza investita dai soci nell'impresa sociale. Nella prospettiva del rapporto tra fonti di finanziamento ed impiego dei mezzi finanziari (investimenti), il patrimonio netto è, infatti, anche indicato come capitale proprio, contrapposto al capitale di terzi. In tal modo passivo e netto vengono a rappresentare fonti di finanziamento dell’attivo patrimoniale.
Invero, tale concezione del patrimonio netto non era, già prima dell'introduzione degli