• Non ci sono risultati.

Come ho scritto all’inizio, con questo studio sono stati valutati alcuni aspetti dell’uso del verbo nei soggetti afasici:

• scopo principale del lavoro è stato verificare l’uso del verbo nei pazienti afasici come forma lessicale isolata (suonare, calciare) e in contesto di frase (l’uomo suona il

pianoforte, il ragazzo calcia il pallone), allo scopo di valutare un’eventuale

dissociabilità delle due competenze.

• Con la seconda prova, si è voluto valutare la dissociazione del verbo e del nome ampiamente documentata in letteratura.

• Con la terza prova, si è infine valutato il parametro della manipolabilità vs non manipolabilità del verbo.

Il dato sicuramente più significativo emerso dal test è che l’uso del verbo in contesto isolato risulta più difficile sia per il gruppo di controllo che per gli afasici (in particolar modo per i non fluenti) rispetto all’uso del verbo in contesto di frase. Il contesto di frase, che come abbiamo appena visto viene considerato più problematico per gli afasici (Jones, 1986; Marshall et al., 1998; Rispens et al., 2002; Druks e Carroll, 2005; Luzzatti et al., 2006), sembra invece facilitare il recupero del verbo. Da questo dato interessante si possono ricavare diverse osservazioni:

• dal punto di vista linguistico questo risultato sembra supportare l’ipotesi di una priorità della costruzione rispetto alle singole parole che della costruzione fanno parte. Dunque, prima verrebbe la costruzione, e soltanto dopo i singoli elementi.

Pensiamo a quando i bambini piccoli dicono una parola, ad esempio, mamma o latte; in realtà comunicano molto di più: “voglio la mamma”, “la mamma è tornata”, “la

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mamma è andata via”, “voglio il latte”, “ho fame…”. In questo caso la parola mamma e latte è già una frase (stadio della parola-frase). La prima parola non è

dunque il nome di un oggetto, ma è la parte di un’azione comunicativa condivisa con gli adulti.

• Il verbo, per sua natura intrinseca, ha significato solamente in relazione a chi compie l’azione e, in alcuni contesti, a chi la subisce. Si parla infatti di verbi monovalenti o polivalenti. Pertanto come parola isolata il verbo risulta semanticamente debole, mentre acquisisce un significato semantico pieno solo se appoggiato dai suoi argomenti. E’ quindi ipotizzabile che nel contesto dell’afasia, in cui la componente semantica è normalmente integra e il deficit riguarda la componente lessicale/sintattica, il supporto fornito dalla maggior pregnanza semantica della frase faciliti il recupero dell’elemento lessicale.

Secondo la teoria di Culicover e Jackendoff (2005), nell’evoluzione della specie umana si sono affiancati due distinti elaboratori del linguaggio: il protolinguaggio e il linguaggio moderno. Il primo più arcaico opera un collegamento tra fonologia, semantica e sintassi avendo come referente principale la semantica: cioè il significato che deve essere trasmesso è prioritario e la struttura grammaticale utilizzata è la più semplice e lineare possibile che consente di trasmettere quel significato, modulando un mapping tra semantica e fonologia. L’ipotesi della sintassi semplice (Culicover e Jackendoff, 2005) prevede che la maggior parte di ciò che viene attribuito alla sintassi, dipenda invece dalla semantica. Il linguaggio moderno, tipico della specie umana, consente la costruzione di significati complessi attraverso l’uso di regole grammaticali elaborate da strutture situate nel nostro cervello e geneticamente determinate.

• In alternativa, questo risultato potrebbe essere legato alla maggiore complessità cognitiva del verbo: il verbo, infatti, a livello cognitivo risulterebbe più complesso poiché esprime significati relazionali ed è quindi meno stabile nel suo significato: il verbo presenta infatti una maggiore variabilità di significato che dipende appunto dal contesto. Il recupero del verbo all’interno della frase potrebbe dunque essere facilitato proprio per questo motivo, cioè per la sua dipendenza contestuale, mentre al di fuori del contesto di frase (quindi, in compiti di denominazione), il verbo potrebbe risultare più complesso alla luce di quanto appena affermato. Dunque, mentre per la corretta identificazione dei nomi è sufficiente l’informazione proveniente dal contesto

108 extralinguistico (accoppiamento nome/ oggetto), per l’identificazione dei verbi è necessaria un’informazione aggiuntiva: cioè l’analisi del contesto linguistico.

• Dal punto di vista riabilitativo questo risultato può costituire un dato molto interessante: come ho specificato nel capitolo precedente, gli esercizi mirati alla riabilitazione del sistema semantico-lessicale, si concentrano in fase iniziale sulla riabilitazione di parole singole (ad esempio, denominazione, lettura, ripetizione di parole).

Il fatto che i pazienti sottoposti a questo test hanno mostrato una prestazione migliore nella produzione del verbo in contesto di frase rispetto alla denominazione può suggerire che il primo dei due compiti è più facile. Di conseguenza, gli esercizi mirati al recupero di parole in soggetti colpiti da disturbo acquisito del linguaggio dovrebbero essere proposti iniziando con la riabilitazione di parole all’interno di un contesto frasale e, in un secondo tempo, proseguendo con esercizi su parole singole.

Per quanto riguarda la dissociazione nome-verbo, sia il gruppo di controllo che gli afasici (in particolar modo i non fluenti) hanno mostrato difficoltà maggiori con i verbi rispetto ai nomi, confermando quanto riportato in letteratura.

La dissociazione nome-verbo si è riscontrata soltanto nel compito di denominazione (questo effetto sembra infatti scomparire all’interno della frase). Non c’è dunque differenza nell’uso del verbo e del nome in contesto di frase. Tale dissociazione, come riportato dagli studi che ho precedentemente presentato, può essere legata innanzitutto a fattori di tipo semantico e sintattico:

• fattori di tipo semantico: legati alla differenza del grado di immaginabilità di nomi e di verbi. Come è confermato da molti studi, i nomi, essendo più immaginabili e dotati quindi di maggiore concretezza rispetto ai verbi sono recuperati più facilmente. Secondo questi studi, dunque, parole considerate con basso grado di immaginabilità (quindi più astratte) sono recuperate peggio rispetto a quelle più concrete.

I nomi, per loro natura intrinseca identificano oggetti concreti e possono essere classificati in categorie naturali, caratteristiche che li rendono universalmente più facilmente accessibili; i verbi facendo riferimento a azioni e eventi sono organizzati in strutture semantiche più complesse, peculiarità che rende più difficile la loro acquisizione.

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• Fattori di tipo sintattico: nomi e verbi hanno diverse implicazioni sintattiche. Il verbo risulta infatti essere sintatticamente più complesso e, a differenza dei nomi prototipici, ha una struttura argomentale e determina quindi il numero e il tipo di argomenti cui si correla. La categoria lessicale del verbo presenta dunque una maggiore valenza sintattica rispetto alla categoria lessicale del nome, in quanto ha il compito di assegnare i ruoli ai nomi che co-occorrono nella frase.

Le differenze semantiche e sintattiche tra nomi e verbi possono quindi determinare un ruolo cruciale nelle dissociazioni.

Altri fattori che possono spiegare la dissociazione nome-verbo:

• la diversa complessità morfologica: può essere coinvolta nel determinare una diversa organizzazione dell’elaborazione di parole nella mente e quindi, fornire una chiave interpretativa per il diverso comportamento di nomi e verbi. Il verbo presenta un grado di complessità morfologica maggiore rispetto al nome: presenta infatti un numero di forme flesse superiore rispetto al nome. Il verbo gode di una flessione complessa ed esprime attraverso di essa le categorie di persona, numero, tempo, aspetto, modo. Tale differenza nel paradigma flessivo può determinare strategie di elaborazione diverse.

• Un altro fattore può essere la maggiore precocità del processo di acquisizione del nome rispetto al verbo (i verbi sono infatti acquisiti più tardi dei nomi), che può diventare quindi causa di una diversità di elaborazione dato che l’età di acquisizione, come già abbiamo visto, può essere una variabile pertinente: i lessemi acquisiti più tardi durante lo sviluppo linguistico sarebbero maggiormente vulnerabili.

• Un altro fattore può essere dato anche dalla frequenza del lessico: i nomi risultano essere più numerosi dei verbi nel lessico di una lingua.

Per quanto riguarda la differenza del parametro manipolabile - non manipolabile dei verbi, sia il gruppo di controllo che gli afasici (in particolar modo i non fluenti) hanno mostrato nel compito di denominazione prestazioni migliori con i verbi manipolabili. Questo effetto manipolabilità del verbo all’interno della frase si ha soltanto per il gruppo di controllo mentre si perde nei gruppi degli afasici (rimane comunque una tendenza nel gruppo degli afasici e nei

110 non fluenti a produrre più errori con i verbi non manipolabili, mentre una tendenza opposta si osserva nei fluenti).

A questo proposito ritengo utile riassumere i dati sull’uso del gesto negli afasici ed è interessante osservare che su un totale di 900 items, i) il gesto è più frequente con i verbi manipolabili; ii) il gesto è più frequente in presenza di parole (gesto coverbale). Più precisamente è risultato che: il gesto è più frequente in presenza di verbi manipolabili sia nella prova di denominazione (il gesto compare 90/450 volte = 20% con i verbi manipolabili vs 49/450 volte = 10,9% con i verbi non manipolabili) che in quella di descrizione (il gesto compare 75/450 volte = 16,7% con i verbi manipolabili vs 54/450 volte = 12% con i verbi non manipolabili); in entrambe le prove è più frequente il gesto coverbale. La differenza tra gesto coverbale e non è più marcata nella prova di descrizione di figure: 88/900 volte = 9,8% abbiamo un gesto coverbale (54/450 volte = 12% in presenza di verbi manipolabili e 34/450 volte = 7,5% in presenza di verbi non manipolabili) e 41/900 volte (4,5%), quindi quasi la metà, il gesto è usato da solo (21/450 volte = 4,7% in sostituzione di verbi manipolabili e 20/450 volte = 4,4% in sostituzione di verbi non manipolabili); per quanto riguarda la prova di denominazione abbiamo un gesto coverbale 72/900 volte = 8% (51/450 volte = 11,3% in presenza di verbi manipolabili e 21/450 volte = 4,7% in presenza di verbi non manipolabili) e 67/900 volte = 7,4% è usato da solo (39/450 volte = 8,7% in sostituzione di verbi manipolabili e 28/450 volte = 6,2% in sostituzione di verbi non manipolabili).

Questi dati, a mio avviso, supportano il possibile legame tra gesto e linguaggio, tra attività manuale e attività vocale, essendo entrambe localizzate (almeno in parte) nella stessa area (area di Broca).

Da questa analisi emerge una relazione tra i risultati ottenuti nella prova del test (migliore performance con i verbi manipolabili) e uso preferenziale del gesto con i verbi manipolabili. Il fatto che i verbi manipolabili sono recuperati meglio di quelli non manipolabili può essere connesso alle recenti teorie sull’Embodiment riguardo l’organizzazione senso-motoria del significato secondo cui, come ho già ricordato, le strutture nervose che sottostanno all’organizzazione dell’esecuzione motoria delle azioni svolgono un ruolo anche nella rappresentazione semantica delle espressioni linguistiche che le descrivono. Ricordo che il test è stato così strutturato: con i verbi manipolabili compare sempre l’immagine di una mano che esegue una determinata azione, con i verbi non manipolabili è stato disegnato un soggetto che compie l’azione (un ragazzo che casca, una donna che canta, che starnutisce ecc.), oppure l’immagine si concentra interamente sul volto del soggetto (un bambino che piange, che sorride ecc.).

111 Probabilmente osservare l’immagine della partecipazione ad un’azione di una specifica parte del corpo (la mano) può stimolare una relazione maggiore tra la simulazione dell’azione e la sua comprensione. Osservare l’immagine di un’azione eseguita attraverso un movimento manuale (azione manipolabile), sembra facilitare il recupero del verbo sia nel gruppo di controllo che negli afasici, a differenza delle immagini che rappresentano i verbi non manipolabili (dove non si vede più la mano che esegue l’azione): quest’ultime sembrano infatti essere più ambigue e quindi più difficili da recuperare.

Probabilmente anche l’uso del gesto negli afasici, più frequente con i verbi manipolabili, è maggiormente elicitato dall’immagine della mano che esegue l’azione, esortando in un certo senso a imitare l’azione stessa.

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