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Come ho ricordato nella prima parte

,

molti afasici (soprattutto agrammatici e, principalmente afasici di Broca) presentano maggiori difficoltà nella produzione di verbi rispetto alla produzione di nomi. Un indebolimento nel denominare oggetti e produrre nomi viene invece solitamente osservato nei pazienti anomici (Miceli et al., 1984, 1988; McCarthy e Warrington, 1985; Zingeser e Berndt, 1988, 1990; Caramazza e Hillis, 1991; Marshall et al., 1998; Collina et al., 2001; Hillis et al., 2002; Silveri et al., 2003; Laicona e Caramazza, 2004; Menichelli e Semenza, 2006).

Il problema di una eventuale diversa difficoltà nella produzione di verbi isolati rispetto alla produzione di verbi all’interno di frasi è stato poco considerato nella letteratura internazionale. Dai pochi studi che è stato possibile reperire emerge una maggiore difficoltà con i verbi in contesto di frase. Ad esempio, Jones (1986) riporta il caso di un paziente afasico non fluente (BB) con grave agrammatismo che in compiti di produzione riesce a denominare i verbi, mentre nell’eloquio spontaneo e, dunque, in contesto frasale i verbi sono totalmente assenti. Marshall et al. (1998) riportano il caso di EM (paziente afasico di Broca) che presenta una dissociazione nome-verbo in compiti di denominazione (con una prestazione migliore per i nomi) e un’incapacità pressoché totale di uso del verbo durante il parlato spontaneo. Rispens

et al. (2002) riportano il caso di Mr K (fluente) che presenta una prestazione lievemente

deficitaria durante un compito di denominazione di verbi (31 risposte corrette su 40), ma quando il verbo deve essere usato in contesto di frase diventa un compito molto difficile. Il paziente DOR (Druks e Carroll, 2005), già citato nella prima parte, riesce a produrre pochi verbi nel parlato spontaneo ma in compiti di denominazione ha una performance con i verbi relativamente preservata (nonostante commetta più errori con i verbi che con i nomi). Luzzatti

et al. (2006) osservano il comportamento di pazienti fluenti e non fluenti nel parlato

spontaneo: i soggetti agrammatici (che in compiti di denominazione mostrano prestazioni migliori con i nomi) nel parlato spontaneo producono un numero molto limitato di parole di classe chiusa, mentre i fluenti che in compiti di denominazione presentano un deficit con i nomi, nel parlato spontaneo producono soltanto pochi nomi e poche parole di classe aperta.

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CRITICITÀ DEL TEST

I dati da noi ottenuti mostrano invece una tendenza opposta, in modo particolare nel caso dei non fluenti: i pazienti commettono più errori nella prova di denominazione di verbi, e ottengono punteggi più alti nella prova di produzione di frasi. Si osserva, infatti, che durante la prova di descrizione di figure, in cui i pazienti devono produrre frasi semplici nella forma canonica SV(O), la maggior parte dei pazienti risponde con più accuratezza. Ricordo che il test è stato strutturato nel modo seguente: la prima parte comprende le prove di ripetizione, lettura e denominazione di verbi e nomi, la seconda comprende le prove di ripetizione, lettura e descrizione di immagini attraverso l’uso di semplici frasi.

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DIAGNOSI FUNZIONALE

L’obiettivo principale del terapista è individuare il tipo di problema linguistico del paziente e definire un programma riabilitativo mirato al superamento dello specifico deficit linguistico. Una diagnosi funzionale permette un trattamento più specifico, mirato al danno funzionale sottostante al comportamento patologico. Quello della diagnosi è dunque il momento più importante per il paziente e deve riguardare i diversi aspetti del linguaggio (la comprensione e la produzione di parole e frasi, l’eloquio spontaneo, la scrittura, la lettura ecc).

RIABILITAZIONE

Una volta individuato cosa non funziona, compito del riabilitatore è individuare l’obiettivo, programmando così una serie di tappe graduate per difficoltà (né troppo facili né troppo difficili) successive e perfettamente controllate. Ad esempio, come si legge in Ferroni (2009), la Reduced Syntax Therapy (ReST) mira a stimolare la produzione di frasi crescenti da 2 fino a 5-6 parole, senza insistere sulla morfologia e sui funtori (Springer e Huber, 1999). L’HELPSS (Helm’s Elicited Language Program for Syntax Stimulation) è un trattamento rivolto ai deficit morfosintattici di pazienti con agrammatismo da lieve a grave; si basa sull’ipotesi che sentire e produrre più volte frasi con diverse forme lessicali e con la stessa struttura sintattica rende più facile il recupero e il riutilizzo di quella struttura sintattica (Helm-Estabrooks et al., 1981; Helm-Estabrooks e Ramsberger, 1986; Doyle et al., 1987). Vengono quindi individuate una serie di strutture sintattiche a difficoltà gradualmente crescente e vengono proposti esercizi per ciascuna di esse, a partire dalle strutture più facili per arrivare alle più difficili. Le strutture individuate sono undici: i) frase imperativa intransitiva; ii) imperativa transitiva; iii) interrogativa wh; iv) dichiarativa transitiva; v) dichiarativa intransitiva; vi) comparativa; vii) passiva; viii) interrogativa sì/no; ix) oggetto diretto e indiretto; x) frasi incassate; xi) futuro. Per ciascuna viene stimolata la produzione di molte frasi diverse mediante un compito di completamento di storie (ad esempio, attraverso la descrizione di una figura). Secondo l’approccio modulare, la prestazione di alcuni pazienti, soprattutto gli afasici di Broca, che presentano difficoltà nell’assegnazione dei ruoli tematici,

103 in particolare nel caso di verbi legati da una relazione semantica di inversione come dare-

prendere (Byng, 1998), viene interpretata come un deficit nell’analisi lessicale (parsing

lessicale). In alcuni pazienti le difficoltà nell’attribuzione dei ruoli tematici sono tanto maggiori quanto meno trasparente risulta il mapping, come accade quando il soggetto non coincide con l’agente. Si individuano così tre livelli di analisi nella comprensione della sintassi: l’analisi sintattica (o parsing sintattico) in cui si analizza la frase per individuare il verbo e gli altri elementi sintattici; l’analisi lessicale (o parsing lessicale) dove, una volta individuata la forma lessicale del verbo, si definisce quali ruoli tematici richiede; il mapping dove si accoppiano gli elementi sintattici con i rispettivi ruoli tematici.

In relazione al tipo di impostazione riabilitativa che si prende come riferimento, attraverso esercizi mirati al recupero di uno specifico deficit linguistico, si cerca dunque di guidare il paziente là dove presenta maggiori difficoltà. La funzionalità di questi esercizi è subordinata alla possibilità di strutturare percorsi rieducativi mirati alla specificità del deficit, che non agiscano cioè in maniera generica rispetto ad un’abilità (ad esempio, ripetizione-lettura di verbi) ma entrino nel cuore dell'area di competenza (ad esempio, difficoltà nella denominazione di verbi): insistendo sulla funzione o sull'abilità carente si cerca di ridurre il deficit.

Pertanto, nel caso di pazienti con deficit lessicale nella produzione di verbi, si usano trattamenti mirati sul verbo.

Se il deficit è di tipo lessicale vengono usati trattamenti lessicali5. Se è di tipo sintattico, trattamenti per la sintassi. Tra gli interventi che si propongono di recuperare le competenze grammaticali perdute in seguito alla lesione cerebrale, si distinguono ad esempio, trattamenti mirati al mapping e trattamenti propriamente incentrati sul verbo. Esistono diversi trattamenti focalizzati sul deficit di mapping tematico-argomentale: un trattamento basato sull’identificazione dei diversi argomenti della frase semplice S-V-O che consiste nell’evidenziare il verbo, focalizzare l’agente e il tema dell’azione e, successivamente, nell’introdurre frasi più complesse (Jones, 1986): ad esempio, al paziente BB sopra citato, si presentano frasi scritte, di difficoltà crescente. Il paziente deve identificare il verbo e, successivamente, rispondere a domande del tipo Chi/ cosa compie l’azione?dove?a chi? ecc. Il trattamento è stato proposto solo in comprensione e si osserva che la capacità di comprendere le frasi e la loro produzione aumentano parallelamente. Un altro trattamento si basa sulla discriminazione di frasi semplici e reversibili, cioè frasi contenenti verbi come

spingere-tirare, colpire-mancare, vendere-comprare (Byng, 1988). Schwartz et al. (1995)

104 utilizzano frasi in struttura canonica e non canonica; il soggetto legge a voce alta una frase e risponde a domande che richiedono la produzione di un verbo (d’azione o esperienziale, di un agente e di un paziente). Ciascun elemento è associato a un colore. Il terapista fornisce un

feed-back immediato alla prestazione del paziente e, se la risposta è corretta, sottolinea nella

frase la parola con il colore corrispondente.

Trattamenti dei deficit a carico del verbo sono ad esempio, il Cueing Verbs Treatment (Loverso et al., 1979 e Prescott et al., 1982) che prevede che il paziente produca un verbo in lettura o in ripetizione: vengono quindi poste domande per allenarlo ad individuare l’agente- soggetto e, in alcuni casi, il paziente-oggetto da una lista di possibili alternative; la parola selezionata è combinata con il verbo in modalità sia orale che scritta.

Attraverso il Direct Verb Training (Fink et al., 1993) viene favorito tramite facilitazioni fonemiche l’accesso lessicale ad un verbo rappresentato in una figura che il paziente deve denominare. Una volta denominato il verbo, il paziente deve produrre il predicato nominale adeguato e, infine, assemblando queste informazioni, deve comporre una frase. A questo trattamento si associa il Verb Priming che induce la produzione di un verbo in un compito di ripetizione di frasi a cui segue il compito di descrizione di una figura attraverso una frase non correlata alla prima ma che contiene lo stesso verbo.

Per quanto riguarda la riabilitazione dei deficit lessicali si tiene conto di tre aspetti fondamentali: la frequenza d’uso (perché, come ho precedentemente accennato, le parole ad alta frequenza sono recuperate dal lessico più facilmente rispetto a quelle a bassa frequenza), l’organizzazione per classi grammaticali (possono infatti riscontrarsi difficoltà specifiche con parole di una data classe grammaticale, ad esempio, deficit per nomi e verbi) e la struttura morfologica della parola (in ciascun lessico i morfemi lessicali, derivazionali e flessionali sono rappresentati separatamente rispetto alla radice). La riabilitazione delle componenti lessicali è un tipo di intervento basato sulle conoscenze relative alla struttura funzionale e all’organizzazione delle rappresentazioni semantico-lessicali nel soggetto normale, e sugli specifici deficit che si riscontrano nel singolo soggetto in conseguenza di un deficit afasico. Nel caso della riabilitazione del sistema semantico esistono esercizi di varie tipologie attraverso l’uso di materiale figurativo: ad esempio, esercizi di classificazione (il paziente deve cioè classificare gli stimoli presentati secondo un determinato criterio); seriazioni (il paziente deve ordinare una serie di figure secondo un dato criterio); “scegliere il” (ad esempio, il più pesante, il più grande, il più piccolo ecc.); ricerca di intrusi (il paziente deve togliere uno stimolo “che non c’entra” tra una serie di stimoli proposta); associazioni

105 semantiche (associare ad esempio, mestiere e strumento: pittore/ pennello); esercizi sui concetti singoli; risposte a domande di tipo si/no; confronti e manipolazione di oggetti.

Per quanto riguarda la riabilitazione dei lessici di input, la valutazione prevede la somministrazione di prove di decisione lessicale uditiva per il lessico fonologico e visiva per quello ortografico (si chiede al paziente di decidere se una stringa di fonemi o grafemi corrisponde a una parola da lui conosciuta). In questo caso, se è presente un danno ai lessici di input, il paziente non è in grado di riconoscere alcune delle parole che precedentemente conosceva.

Nel training riabilitativo, vengono proposti esercizi di decisione lessicale modulando la difficoltà rispetto al parametro frequenza d’uso (utilizzando quindi parole ad alta frequenza per i deficit più gravi e parole a bassa frequenza per quelli meno gravi). L’esercizio può essere affiancato a un compito di indicazione, dove sono presentate al paziente parole e non parole in ordine sparso e gli si chiede di riconoscere se lo stimolo corrisponde a una parola (Bacci, 2009).

Per quanto riguarda la riabilitazione dei lessici di output, la valutazione prevede la somministrazione di prove di denominazione orale per il lessico fonologico, e scritta per quello ortografico. Nella scelta delle parole-stimolo da riabilitare, si deve tener conto delle tre caratteristiche sopra menzionate (frequenza d’uso, organizzazione per classe grammaticale e struttura morfologica). È fondamentale lasciare molto tempo al paziente per la ricerca della parola. Se non è in grado di produrla subito, si può ricorrere a strategie di facilitazione (il riabilitatore può proporre, ad esempio, la sillaba iniziale della parola lasciando poi che il paziente la completi, oppure può fornire al paziente indicazioni di tipo semantico sul significato della parola target).

Altri esercizi possono essere quelli di transcodificazione, in particolare, per lavorare sulla produzione orale, la ripetizione e la lettura, associando anche agli stimoli le figure corrispondenti in modo da fortificarne l’apprendimento. Ad esempio, per la ripetizione, il terapista denomina una figura e il paziente ripete la parola. Per la lettura, si mostra al paziente una figura con sotto scritta la parola e il paziente la deve leggere più volte. Infine si propongono anche esercizi di evocazione lessicale (produzione del maggior numero di parole appartenenti alla stessa categoria semantica o fonemica: “mi dica tutti i nomi di frutta/ tutte le parole che iniziano con la lettera M”). Quest’ultimo esercizio è indicato per i pazienti che non presentano parafasie semantiche (nei soggetti che presentano questo tipo di errore, risulta infatti impossibile verificare una corrispondenza tra stimolo prodotto e stimolo che il paziente intendeva produrre).

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CAPITOLO NONO

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