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1. Il modello organizzativo

Si tratta di definire, sviluppandolo e garantendolo, il modello organizzativo del personale penitenziario che si è avviato in questi anni.

Si può partire dalla considerazione di come il modello organizzativo non debba essere.

Un modello da evitare è quello della rigida concentrazione della responsabilità di tutti i servizi e delle connesse decisioni relative all’istituto nella figura centrale del direttore. Perché questo modello è da evitare? Perché un istituto penitenziario si articola in una serie di servizi, rispetto ai quali un unico punto di decisione e di responsabilità non è funzionale. E’ impossibile che, in questo solo punto, vi sia un’adeguata conoscenza dell’andamento e dei problemi quotidiani di tutti i servizi. Ne consegue che: o il direttore lascerà mano libera agli operatori dei singoli servizi, mantenendo, peraltro, la responsabilità dei loro interventi senza averne una conoscenza diretta ed adeguata; o limiterà la funzionalità dei singoli servizi, per avere l’effettivo controllo di quegli interventi di cui avrà la responsabilità. E’ chiaro che questo modello organizzativo limita e irrigidisce la funzionalità degli istituti ed avrà inevitabili ricadute sullo svolgimento di tutte quelle attività trattamentali necessarie per il rispetto dei diritti dei detenuti e per lo sviluppo dei percorsi riabilitativi degli stessi. L’istituto non sarà attivo, ma scivolerà inevitabilmente verso una forte contrazione delle attività.

Va detto che, purtroppo, nonostante i passi in avanti, negli ultimi anni, del riconoscimento formale della articolazione della organizzazione in aree professionali diverse, molti istituti presentano condizioni funzionali molto prossime a quelle che si sono descritte sopra con una valutazione chiaramente negativa.

Un modello che non può essere condiviso è quello espresso in alcune proposte di legge presentate e giacenti in parlamento: si tratta di proposte che hanno in comune il ruolo centrale che viene attribuito nella struttura organizzativa degli istituti, al Corpo di Polizia penitenziaria e, ovviamente, nei singoli istituti, al reparto di tale Corpo operante negli stessi. Le attività professionali diverse – area educativa-trattamentale, area amministrativa contabile, area sanitaria, etc. – assumono la natura di aree tecniche all’interno della struttura organizzativa dell’istituto, che è quella della Polizia penitenziaria. La Direzione è posta al vertice di tale struttura.

Risulta evidente che un modello del genere è la negazione del carcere come istituzione sociale, quale indicato dalla Costituzione e dall’Ordinamento penitenziario. E’ inevitabile che, nello stesso, le singole aree professionali siano costantemente condizionate dalla ipoteca della sicurezza e dipendano, per i loro spazi di azione, dalla polizia penitenziaria, struttura di gestione effettiva dei singoli istituti. Dare risalto e, per così dire, principalità ad un’unica voce, soffoca la dialettica con le altre, che, sia pure con fatica, è emersa in questi anni in minore o maggiore misura. Ne consegue, dando spazio a questo modello, la riduzione degli istituti a strutture di sola custodia, luoghi di inattività e di inerzia e certamente poco o nulla di riabilitazione. Si tratta, invece, di portare a compimento il processo degli ultimi anni, che ha visto l’articolazione delle singole aree professionali e funzionali: si tratta di dare forza a questo processo e di portarlo oltre il solo riconoscimento formale nel quale si è sovente risolto.

La creazione delle aree professionali nelle quali si articola un istituto ha una valenza operativa ben chiara: si vuole che l’istituto sia attivo, si muova per la soddisfazione di tutte le esigenze che presenta: l’articolazione funzionale garantisce che tutti i servizi abbiano lo spazio adeguato, garantisce ancora che gli stessi convivano e si confrontino, anche dialetticamente, approdando conclusivamente al funzionamento e al soddisfacimento di tutti i ruoli. Resta il problema che vi sia un centro organizzativo che dà le indicazioni e adotta le decisioni generali.

Va riconosciuta, pertanto, la esistenza di un vertice – direzione – che deve avere, a sua volta, risorse personali, che gli consentano di essere presente e di conoscere le varie articolazioni e servizi dell’istituto. La funzione direttiva deve essere distribuita fra più soggetti, così che il livello delle responsabilità sia distribuito secondo il livello delle effettive conoscenze e presenze nelle varie parti dell’istituto. Ad un direttore-capo sono attribuite responsabilità e funzioni decisionali sull’andamento e i servizi generali dell’istituto, ma lo stesso distribuirà agli altri funzionari direttivi dell’area della direzione, con indicazioni e deleghe esplicite, servizi ed attività, così che le decisioni siano sempre riferibili a funzionari che sono stati in grado di conoscere le singole situazioni nelle quali intervengono le loro decisioni.

Si è detto, però, che l’articolazione in aree professionali e funzionali è decisiva perché tutti i servizi siano attivi ed efficienti. C’è, quindi,un problema di rapporto fra la direzione e i dirigenti delle singole aree professionali, preposti alle stesse in relazione alle loro specifiche competenze. Questo rapporto non può negare riconoscimento alla autonomia, professionale e organizzativa nelle singole aree, di tali dirigenti. Ma gli stessi devono conformarsi alle indicazioni generali date dalla direzione per l’andamento dell’istituto e riconoscere alla medesima un potere di coordinazione delle varie aree tra loro e la decisione sulla compatibilità degli interventi delle singole aree rispetto a quelli delle altre.

E’ importante per l’andamento ordinato e vitale delle attività delle singole aree, che le stesse abbiano a disposizione il personale necessario per funzionare. Anche questo deve essere, quindi, sottolineato in modo particolare. Così, fino a che il personale dell’area educativa - oggi assolutamente insufficiente - non sarà adeguato allo svolgimento del proprio servizio, la mancata risposta alle esigenze che avrebbero dovuto essere soddisfatte da quel servizio, produrrà tensioni ricadenti su altri servizi, come quello di polizia penitenziaria o quello sanitario. Ma questo intervento vicario darà risposte diverse e spesso di solo contenimento a domande, cui l’area educativa avrebbe dovuto rispondere in modo diverso e più appropriato. Il che conferma che la equilibrata funzionalità di ogni area contribuisce alla funzionalità di tutte e che è questa che va perseguita.

Si è ritenuto che la materia della organizzazione del personale trovi un suo spazio di principi nello stesso Ordinamento penitenziario. E’ indispensabile per una visione complessiva della materia e perché sia chiara la centralità della stessa perché gli istituti realizzino effettivamente le funzioni assegnate dalla Costituzione e dall’Ordinamento penitenziario.

Si analizzano ora le singole disposizioni contenute nel Capo IV°.

2. Le indicazioni generali sulla organizzazione del personale penitenziario Il primo articolo del capo IV° è dedicato alle indicazioni generali che riguardano il personale. Si è trattato già di una parte delle stesse nel n. 1. Qui si richiamano soltanto alcuni punti.

Il comma 1 dell’art. 134 sottolinea che la organizzazione del personale deve essere volta a realizzare le finalità indicate nella rubrica dell’art. 1 dell’O.P. e specificate nei singoli commi dello stesso: realizzare, pertanto, un carcere che rappresenti una istituzione sociale, informata a senso di umanità, rispetto della dignità della persona, trattamenti riabilitativi per i condannati e possibilità di accesso agli stessi anche per gli altri detenuti. Queste finalità riguardano la istituzione carceraria nel suo complesso e in tutte le aree professionali e di servizio..

Il comma 2 contiene la concreta indicazione delle singole aree nelle quali si articola la organizzazione dell’istituto e si distribuisce il suo personale. Le si elencano:

area della direzione;

area amministrativa-contabile; area educativa;

area degli esperti dell’osservazione e trattamento; area sanitaria;

area della sicurezza.

Si deve chiarire che alle singole aree appartiene anche il personale che deve svolgere le funzioni di collaborazione ed ordine indispensabili. Deve anche essere disponibile personale con specifica preparazione informatica.

Nel comma 4, infine, si sottolinea la esigenza che ogni istituto si dia e realizzi una specifica progettualità. A tal fine, ogni anno l’istituto si deve dare un programma di realizzazioni da operare, deve presentarlo al proprio provveditorato regionale e chiedere, previa valutazione, le risorse necessarie per realizzarlo. Il provveditorato, esaminato il programma e compatibilmente con le risorse attribuite, adotterà la decisioni conseguenti. Ogni istituto, in relazione alle conclusive decisioni del provveditorato, predisporrà un bilancio preventivo e consuntivo relativo alle attività da svolgere nell’anno. In tal modo, gli istituti si impegnano in un progetto che stimola lo sforzo di miglioramento degli operatori e dei risultati della loro attività. Ovviamente le linee su cui si deve muovere tale miglioramento sono quelle più volte richiamate.

3. L’area della direzione

Le indicazioni essenziali sull’area della direzione sono già state date al n. 1. Di tale area si occupa l’art. 135 di questo capo.

Comma 1: appartengono al direttore i poteri di organizzazione dell’istituto, di coordinamento delle varie aree e servizi, di indirizzo della attività di queste e di controllo sulle attività svolte o in svolgimento. La definizione del programma annuale delle attività da svolgere nell’istituto è curata dal direttore, che stimola e coordina la collaborazione e le proposte degli operatori delle singole aree. Il direttore, inoltre, coordina e agevola lo svolgimento della attività degli operatori volontari dell’istituto.

Commi 2, 3 e 4: nell’area della direzione, accanto al direttore, sono presenti altri funzionari direttivi. Il direttore distribuisce fra questi le responsabilità operative relative ai vari servizi e sezioni dell’istituto. Come già accennato è essenziale che la direzione, attraverso tutti i suoi funzionari, abbia una conoscenza diretta delle varie realtà dell’istituto: solo così possono essere operate scelte e dettati indirizzi consapevoli, di cui possa poi essere chiesta ragionevolmente ragione. La responsabilità è costruita su quella conoscenza. E’ necessario, pertanto, che i funzionari direttivi – direttore e suoi collaboratori – siano nel numero adeguato ad acquisire la conoscenza diretta di cui si è parlato. Strumento di questa conoscenza dovrà essere anche l’audizione frequente, richiesta o non richiesta, dei detenuti e internati. Presso la direzione, un servizio individua e verifica le prassi operate nell’istituto che si sono rivelate come positive e le comunica al provveditorato generale.

Commi 5 e 6: in relazione alla rilevanza delle sue funzioni, al direttore di istituto penitenziario deve essere attribuita la qualifica dirigenziale. Si fa eccezione per istituti molto piccoli, con capienza ufficiale prevista di non più di cinquanta persone, fra i quali non sono compresi quegli istituti che, pur se di ridotte dimensioni, abbiano funzioni di sperimentazione o la gestione di situazioni speciali.

Comma 7: per i funzionari direttivi è previsto un ruolo organico, che prevede la distribuzione delle unità necessarie fra i vari livelli fino a quelli dirigenziali. Si sottolinea nella norma in esame che gli organici per i singoli livelli devono essere calcolati tenendo presente la esigenza della presenza dei funzionari direttivi nelle varie articolazioni di ogni istituto.

4. Area amministrativa-contabile

Si tratta di un aspetto degli istituti penitenziari oggi largamente inferiore alle esigenze che dovrebbe soddisfare: effetto e causa, esso stesso, di una macchina amministrativa che, pur con aumentate esigenze, è costretta a marciare o comunque marcia a un minimo numero di giri. Fra l’altro, per parte dei servizi, è stato e viene ancora utilizzato personale della polizia penitenziaria, sottratto, però, in tal modo, al proprio servizio. La molto limitata utilizzazione degli spazi per il lavoro e di altre iniziative, che impegnerebbero le persone recluse e renderebbero attiva e non inerte la loro vita, si spiega anche con le insufficienze organizzative di questa area.

Nel momento in cui si vuole che l’istituto attivi tutte le sue funzioni, si trasformi da struttura immobile a realtà in movimento, l’adeguatezza organizzativa dell’area amministrativa contabile diventa indispensabile. Questo è necessario anche se i singoli istituti, come è previsto e possibile, attribuiscono spazi di attività a enti o organi esterni alla amministrazione, come quelli di istruzione e formazione professionale e, ancora, a cooperative sociali o imprese private, che possono organizzare iniziative di lavoro per le persone recluse. Anche in tali casi, pur se ridotta, l’attività dell’area amministrativa contabile è indispensabile nella fase preparatoria e in quelle di verifica e controllo.

Va aggiunto che, se il singolo istituto, deve darsi un ciclo annuale di attività, pensare in termini di bilancio preventivo e consuntivo, l’area amministrativa-contabile è costantemente impegnata e deve avere le risorse organizzative necessarie per fornire, in ogni fase, un contributo efficace.

L’art. 136 definisce i servizi di competenza dell’area amministrativa contabile e i punti rilevanti del suo assetto organizzativo. Al comma 1 sono indicate le funzioni dell’area. Al comma 2 è individuata la figura del dirigente. Al comma 3, sono indicati organici e sviluppo di carriera degli operatori dell’area.

5. Area educativa

E’ indubbiamente una delle aree strategiche dell’istituto, che risente oggi e da tempo di gravissime carenze. Gli ultimi anni hanno visto il riconoscimento della autonomia dell’area e la attribuzione, attraverso concorso interno, della dirigenza della stessa agli educatori, ma non un solo passo avanti è stato fatto in merito alla copertura dei ruoli, già ora largamente scoperti, e sul loro potenziamento. Gli educatori presenti negli istituti sono poco più di 450 e altri 130/140 operano presso il Dipartimento e i provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria. Si può stimare che, per una reale presenza ed efficacia dell’intervento negli istituti, occorre almeno moltiplicare per quattro le presenze attuali, raddoppiando, in particolare, il ruolo organico esistente. Scoperto per più della metà.

Il primo ed essenziale intervento è, dunque, quello della definizione di un organico degli educatori, che assicuri la loro efficace presenza negli istituti. Il loro ruolo è essenziale nell’ambito della attività di osservazione e trattamento, che è indubbiamente quella che dà il senso alla esecuzione della pena in carcere. E’ pertanto non rinviabile una definizione dell’organico, anche attraverso la previsione di uno

sviluppo di carriera adeguato, che assicuri agli operatori di questa area una prospettiva stimolante al loro lavoro.

Altrettanto essenziale e assolutamente urgente è procedere alla copertura degli organici così come definiti. Dell’area educativa si occupa l’art. 137 della proposta.

Si è ritenuto necessario di dare indicazioni nella legge su entrambi i punti sopra indicati: organici e copertura degli stessi: lo si è fatto ai commi 5 e 6 dell’articolo indicato. Su quello dell’organico, si è definito il rapporto fra numero degli educatori e numero dei detenuti e degli internati. Il rapporto di 1 a 25 dovrebbe essere adeguato, tenendo conto che l’educatore ha un doppio livello di interventi: quello nei confronti di ogni detenuto e quello concernente organizzazione e partecipazione alle iniziative collettive, che devono impegnare la giornata dei reclusi. Per entrambi questi livelli, si prospetta una pluralità di interventi molto articolati ed impegnativi. Per la copertura degli organici, si sono previste procedure di urgenza per risolvere al più presto un problema determinante per il basso livello trattamentale del carcere odierno. Si è anche chiarito che il ruolo organico degli educatori prevede i livelli superiori di sviluppo della carriera fino alle funzioni dirigenziali.

Il citato art. 137 indica, ai commi 1 e 2, le funzioni degli educatori e chiarisce, al comma 3, che appartiene alla carriera degli educatori colui che dirige ed è responsabile dell’area: di questo vengono chiarite le funzioni.

Comma 4: è nell’ambito dell’area educativa che si colloca, come luogo centrale, lo svolgimento della attività del gruppo di osservazione e trattamento. Tale attività è organizzata, seguita e documentata dagli educatori partecipanti al gruppo, ma si deve rilevare che il coordinamento della attività, nel corso degli incontri del gruppo, spetta al direttore o a un funzionario direttivo. Questo ruolo di coordinamento non può non spettare alla direzione quando, come accade in occasione degli incontri del gruppo di osservazione e trattamento, sono coinvolti operatori appartenenti ad aree diverse.

Ciò non toglie che la responsabilità dell’area affidata ad un educatore presenti un ampio spazio di movimento per lo stesso. Questo riguarda intanto la attività di stretta competenza degli educatori, sia sul piano del rapporto individuale con i reclusi, sia su quello delle iniziative collettive. Qui il dirigente dell’area organizza il lavoro degli altri educatori. Ma la sua attività è rivolta anche ai componenti di altre aree: così quella degli esperti della osservazione e trattamento, come quella degli operatori dei centri di servizio sociale per adulti. Tali operatori devono svolgere le attività di loro competenza in materia di osservazione dei detenuti e internati, di verifica delle loro condizioni personali e socio-familiari, di definizione delle loro prospettive e possibili percorsi riabilitativi, di sviluppo di questi. Queste attività non hanno soltanto un momento di consultazione e riflessione nelle riunioni del gruppo di osservazione, ma si concretano in fasi operative che precedono e seguono quel momento. In tali fasi la collaborazione fra i vari operatori è indispensabile ed è l’area educativa che deve distribuire il lavoro, segnalare le esigenze, fare circolare le reciproche conoscenze, indicare problemi e approfondimenti. Se questo riguarda in primo luogo le aree direttamente coinvolte nella fase della osservazione, include, poi, anche rapporti con le altre aree – ad esempio: direzione, sanità, sicurezza – che, di loro iniziativa o richieste, possono fornire indicazioni e informazioni, anche prima e a prescindere dalla loro partecipazione al gruppo di osservazione e trattamento. Il carico del coordinamento operativo e della organizzazione di questi rapporti ricadrà in particolare sul dirigente dell’area educativa e, attraverso lo stesso, sui singoli educatori.

Si è voluto sottolineare nel testo della norma, nella parte finale del comma 1, che nel ruolo dell’educatore c’è anche una attività oggi giustamente valorizzata ed è quella della promozione della rete sociale, che implementi, prima, ed aiuti nella realizzazione, poi, dei percorsi riabilitativi dei detenuti e degli internati. Rete sociale significa che, intorno alla persona reclusa, che rischia la esclusione sociale, si mobilitano, le risorse che contribuiscono, invece, alla sua risocializzazione. Tali risorse, talvolta, hanno propri ruoli istituzionali nell’ambito dei servizi pubblici (pensiamo ai servizi per le tossicodipendenze o per l’igiene mentale, nei casi che presentano questi problemi), ma talvolta le risorse in questione possono riguardare il c.d. privato sociale. Quasi sempre inoltre può essere presente la rete personale di riferimento dell’interessato: familiari, amici, organismi vari che si interessano di lui. Ovviamente c’è un protagonista di questo discorso ed è l’interessato medesimo, la sua motivazione a cogliere le occasione che gli vengono offerte. Spesso, nelle situazioni di molte persone coinvolte in situazioni gravi di disagio sociale, ci può essere una notevole difficoltà a vincere l’inerzia in cui si è precipitati. Gli operatori dell’area educativa devono essere in grado di rimotivare la persona o almeno devono cercare di farlo. Si tratta di spingerla a risollevarsi dalla caduta della fiducia in se stessa e nelle proprie prospettive, a superare le condizioni negative (come la dipendenza), che contribuiscono alla sua inerzia. Un tentativo non facile, ma che deve essere fatto.

L’importanza della rete sociale va colta anche su un altro aspetto. E’ pacifico che un momento assai critico per il percorso del reinserimento sociale dei reclusi è quello del recupero della libertà: si passa da un regime,

anche pesante, di controllo e accompagnamento, tenuta presente anche la fase delle misure alternative, ad una situazione di esclusiva responsabilità propria. Sembra impraticabile la ipotesi di un ulteriore periodo di accompagnamento da parte degli operatori penitenziari dell’istituto a pena conclusa (il discorso viene aperto più oltre per gli operatori dei centri servizio sociale adulti), ma, se la rete sociale è attivata, è questa che può validamente assolvere l’opera di sostegno necessaria per chi deve riaffrontare la difficile responsabilità di se stesso.

6. L’area degli esperti dell’osservazione e trattamento

Gli esperti dell’osservazione e trattamento hanno un ruolo particolarmente significativo negli istituti sotto un duplice profilo.

Il primo è quello che gli attribuisce l’art. 13 nel quadro della osservazione multiprofessionale della personalità, funzione che è strettamente penitenziaria.

E’ emersa, però, una funzione ulteriore e diversa, conseguente alla circostanza che la professionalità largamente prevalente e quasi totalitaria tra gli esperti è quella dello psicologo. Questa funzione riguarda il coinvolgimento nella assistenza alle molte situazioni di disagio personale che si manifestano in carcere e di cui sono spia i tentativi di suicidio e i suicidi consumati, che presentano dimensioni preoccupanti. Sotto questo profilo, si richiede agli esperti una funzione psicoterapica, che, pur in presenza di situazioni strettamente carcerarie, li avvicina all’area sanitaria. Affidare tale funzione all’intervento psichiatrico può non