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Sezione I. Le modifiche al Capo I° del Titolo II° sulle misure alternative

N. Il distacco temporale fra i reati e la esecuzione della pena

L’esperienza di questi anni (quasi 30) di misure alternative ha dimostrato il rilievo dello stacco temporale fra reato e esecuzione della pena. Su questo tema hanno anche interferito gli anomali tempi dei nostri processi, ora abbastanza rivoluzionati dalla normativa sui procedimenti speciali, fortemente condizionata, però, dall’efficacia delle difese, pertanto con una notevole componente di diseguaglianza

Si può, comunque, osservare che i lunghi tempi processuali, che erano e sono in parte rimasti la regola, spostano il momento della esecuzione della pena inflitta a un tempo abbastanza lontano da quello in cui il reato è stato commesso. Questo potrà giocare un ruolo favorevole al condannato, quando si dovrà parlare di benefici penitenziari, sia perché la lontananza dal fatto ne smorza echi e reazioni, sia perché il periodo intercorrente fra reato e esecuzione della pena può fare emergere dati positivi sul recupero sociale nel frattempo messo in opera spontaneamente dalla persona interessata. Per converso, la riduzione dei tempi processuali, che pur dovrebbe essere auspicabile e che resta oggi abbastanza casuale, determina una situazione opposta: la vicinanza al reato conserva attualità alle dinamiche che si sono espresse e che possono ancora sopravvivere allo stesso.

Teniamo presente che la prima e più frequente situazione (distanza della esecuzione della pena dalla commissione del reato) ha di fatto consigliato, nella l. 10/10/1986, n. 663 (legge Gozzini) le disposizioni di cui al comma 3 dell’art. 47 del testo vigente e del comma 6 dell’art. 50, oggi trasformato dalle modifiche successive. E in seguito il tutto è confluito nella estensione operata dalla l. 27/5/1998, n. 165 (l. Simeone-Fassone-Saraceni). Se è vero che questo ultimo e generale regime riguarda la esecuzione di tutte le pene, anche quelle eseguibili a breve distanza di tempo dai reati, nei fatti questa normativa (particolarmente quella iniziale della legge Gozzini) è nata quando e perché il dato ordinario era quello dei lunghi tempi processuali e del distacco temporale rilevante fra tempo del reato e tempo della esecuzione.

Questa riflessione si muove su una situazione ordinaria: si potrebbe parlare di una situazione fisiologica, se non si dovesse ammettere che i tempi dei nostri processi sono manifestamente patologici. La riflessione manifesta, comunque, il rilievo effettivo che ha il tempo intermedio fra reato e esecuzione della pena. Senonché, anche questa situazione ordinaria può diventare straordinaria quando il tempo diventa troppo grande e questo per due motivi.

Il primo motivo è che i fatti, quando il tempo trascorso è troppo elevato, perdono qualunque attualità, risultano superati dalla evoluzione di un percorso di vita, che può essere ormai completamente staccato da quei fatti e da quei tempi.

E il secondo motivo è legato al primo: la esecuzione dopo molto tempo dal reato perde legittimazione, può ragionevolmente non essere compresa dal condannato, può essere dannosa per un percorso di inclusione sociale che ormai si è svolto e concluso. Di fatto scompare l’ottica riabilitativa e si conserva soltanto quella punitiva.

Da qui le modifiche che si propongono, che agiscono su due piani:

il primo: intervenire sulle anomalie del sistema esecutivo penale che producono esecuzioni di pena per fatti molto risalenti nel tempo;

il secondo: recuperare il sistema delle misure alternative per contenere gli effetti del distacco temporale in questione quando è eccessivo: e questo attraverso l’adattamento del sistema stesso alle situazioni eccezionali in questione.

N1. L’intervento per evitare la eccessiva tardività della esecuzione rispetto al tempo del reato L’ intervento sul primo piano agisce in due direzioni ed è trattato nell’art. 82.

La prima direzione consiste nella soppressione dell’ultimo comma dell’art. 172 C. P., che dispone che la prescrizione della pena o, meglio, la estinzione delle pene della reclusione e della multa per decorso del tempo, “non ha luogo se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99 o di delinquenti abituali, professionali o per tendenza; ovvero se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole”. Analogamente si modifica il primo comma dell’art. 173 C. P. , che dispone che il termine per la estinzione delle pene dell’arresto e dell’ammenda è raddoppiato se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99, ovvero di delinquenti abituali, professionali o per tendenza.”

In sostanza queste norme introducono preclusioni alla estinzione delle pene o aumento dei termini per l’operare della stessa, che sono basati su automatismi ormai venuti meno. Molte norme del codice penale sono state modificate in modo sostanziale senza che se ne traessero le conseguenze sulla normativa collegata.

Così tutto il sistema della recidiva, prevista dall’art. 99, da obbligatorio che era è diventato da molto tempo facoltativo (l. 7/7/1974, n.220). Così il sistema delle declaratorie di delinquenza abituale, professionale e per tendenza, anche questo condizionato all’origine da automatismi e destinato alla irrevocabilità, prevede oggi la possibilità di revoca delle declaratorie (art.69, comma 4 della l. 26/7/1975, n. 354) e il venire meno di qualsiasi automatismo per le nuove dichiarazioni, legate, invece, secondo la giurisprudenza, all’accertamento del dato sostanziale della dedizione del soggetto al delitto. Quanto alla commissione di un nuovo reato nel periodo di tempo della prescrizione, abbiamo anche qui un automatismo negativo, del tutto indeterminato (che può spaziare da una pena minima ad altra molto grave: un tempo, il caso più frequente poteva essere quello di un assegno a vuoto sanzionato con la reclusione o di un piccolo furto). Fare dipendere la esecuzione o meno della pena, pur in presenza di una lunga distanza di tempo dai fatti, da queste circostanze voleva dire individuare persone per le quali la legge era più uguale che per altri e non a caso queste circostanze era denominate come “inerenti la persona del colpevole” (art. 70 C.P.). Sinteticamente, nel sistema penale originario, per tali persone, la pena aveva efficacia di esclusione sociale, negazione della possibilità di percorsi riabilitativi: il che emergeva attraverso varie manifestazioni, una delle quali è quella su cui ci si sofferma (come altre saranno quelle su cui ci si soffermerà fra poco). Ma abbiamo ben visto come la pena abbia cambiato natura e come la finalità riabilitativa debba, per principio della Costituzione, inerire alla stessa.

Di qui le modifiche normative del codice penale indicate all’inizio. Si configurano nel nuovo art. 82, al comma 1.

La seconda direzione del primo piano di intervento riguarda la limitazione nel tempo degli interventi di revoca dei vari benefici concessi. Un limite attuale manca. Su questo si innesta ancora la lentezza di funzionamento di tali interventi. Così che i provvedimenti relativi sono adottati quando una qualche circostanza casuale richiama la attenzione sulle singole posizioni. In passato, l’occasione classica di queste ricapitolazioni di posizioni esecutive era data dalle varie amnistie e condoni che si susseguivano negli anni, successione che si è ormai interrotta dalla fine del 1990. L’occasione è oggi abbastanza casuale, rimessa generalmente al riesame di una singola esecuzione, che riaccende la attenzione su tutte le esecuzioni presenti e passate del singolo interessato, che si trova in genere davanti a cumuli di pene da eseguire sovente impressionanti. Sembra che si debbano riconoscere due interessi oggettivi del sistema della esecuzione penale.

Il primo, sul quale ci siamo soffermati qui sopra è quello di evitare la esecuzione delle pene ad una eccessiva distanza di tempo dai reati e, quindi, anche dai fatti che hanno determinato la ulteriore esecuzione di parti della pena già coperte da benefici di vario tipo, poi revocati.

Il secondo è quello che se la legge affida un controllo al sistema giudiziario sulla corretta fruizione di tali benefici, quel sistema deve trovare le modalità per esprimersi in tempi ragionevoli. In caso contrario, si deve dire semplicemente che quel sistema non funziona.

Di qui, sempre nel nuovo articolo 82, si stabiliscono nuovi termini entro i quali è necessario provvedere alle revoche dei vari benefici concessi e porre in esecuzione le pene relative.

N2. La esecuzione della pena a grande distanza di tempo dai fatti e il ricorso alle misure alternative E veniamo al secondo piano di intervento indicato sopra e ripetuto ora nel titolo.

L’art. 83 riguarda il tema ora indicato. L’intervento si articola in due parti: la detenzione comune;

la detenzione politica (nel senso ampio della espressione).

Anche se vi è qualche differenza nel trattamento delle due materie, la premessa è la stessa trattata all’inizio di questa parte. Quando la pena ha finalità puramente affittiva e non vi è alcun interesse alla sua efficacia riabilitativa sul piano sociale, vi può essere indifferenza alla esecuzione della pena a molta distanza di tempo dal reato che l’ha determinata. La circostanza che la pena intervenga, passato molto tempo, in una situazione e nei confronti di una persona entrambe cambiate e possa fortemente incidere e pregiudicare una situazione di inserimento sociale ormai compiuta non può essere accettata se si entra nell’ottica opposta della necessaria efficacia riabilitativa della pena, così come indicata dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale che la riguarda.

E’ vero, però, che la pena inflitta esiste, anche se molto tempo è trascorso dal reato e sovente, ma non sempre, dalla sentenza da cui deriva. La soluzione che si propone è quella che ricorre al sistema delle misure alternative, agendo, però, sui tempi di ammissibilità alle stesse. Le rigidità inevitabili nei tempi di ammissione alle misure possono essere temperate proprio in considerazione del tempo trascorso, al momento della esecuzione, da quello di commissione del reato.

Il ricorso al sistema delle misure ha vari vantaggi rispetto alle esigenze sistematiche di esecuzione della pena, che non possono essere ignorate. Intanto, l’intervento con misure alternative presuppone la applicazione attraverso un provvedimento giurisdizionale, che apre alla valutazione degli aspetti concreti dei singoli casi. Se, ad esempio, nel tempo intermedio, la condotta dell’interessato è stata negativa e vi sono state manifestazioni significative di una mancata integrazione e di un mancato reinserimento sociale, l’anticipazione dell’intervento con alternative alla detenzione non si giustifica. E ancora: anche prescindendo da nuove e significative manifestazioni antigiuridiche, la ammissione ad alternative alla detenzione non potrà ignorare che devono esistere le condizioni generalmente richieste per le stesse: il superamento delle situazioni conflittuali del tempo del reato, la esistenza di condizioni di accoglienza e di risorse utili a mantenere o a realizzare un inserimento sociale costruttivo. Anche qui, pertanto, si valuterà se i singoli casi presentano quelle ragioni giustificatrici dell’intervento normativo indicate all’inizio: è ovvio che solo in questi casi l’intervento normativo potrà avere ragione di essere.

In particolare, nel caso di condannati per i delitti di cui all’art. 79 (già 4bis), si è previsto che debbano essere svolti gli accertamenti previsti da tale norma sulla permanenza o meno di legami con la criminalità.

La lettura dell’art. 83 rivela i punti essenziali dell’intervento normativo.

La norma dedica i primi tre commi a situazioni generali della detenzione comune, i commi 4 e 5 ad una situazione specifica, che è quella della detenzione politica. Gli ultimi 4 commi sono riferibili sia alla situazione generale che a quella specifica.

La detenzione comune

Ai commi 1 e 2, è previsto il superamento delle condizioni temporali di ammissibilità, mentre sono confermate tutte le condizioni di merito previste per le singole misure. E’ decisiva la osservazione di cui all’art. 18 O.P. per fornire i dati essenziali per la decisione della magistratura di sorveglianza.

Sono enunciati i tempi decorsi dal reato perché lo speciale intervento possa essere legittimato e gli stessi sono graduati in relazione alla importanza della pena da eseguire. Tali tempi sono abbreviati se è già stata espiata una parte sufficientemente significativa della pena.

Al comma 3 si chiarisce che restano ferme le preclusioni alla ammissibilità alle misure (salva collaborazione) per i reati di maggiore gravità di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 79 (già 4bis).

La detenzione politica

Il tema di un intervento normativo sulla detenzione politica è stato più volte riproposto e mai risolto. Ci si è sempre riferiti alla detenzione politica relativa a fatti risalenti nel tempo e con i quali gli episodi più recenti, limitandoci all’ambito italiano e prescindendo da quello internazionale, non si manifestano in rapporto di significativa continuità. La distanza di tempo trascorsa da quei fatti può fare ritenere che gli stessi non abbiano più una attualità problematica per la stabilità democratica.

L’intervento, salvo alcune modifiche, è analogo a quello previsto per la detenzione comune: è data una indicazione per il ricorso al sistema delle misure alternative: v: il comma 4 dell’art. 83.

E’ da dire, comunque, che all’accertamento condotto con l’osservazione penitenziaria, si aggiunge qui una valutazione su dati – di cui si sottolinea la oggettività – che fanno ritenere il ripudio della violenza come strumento di lotta politica da parte degli interessati. In questa linea si prevede, al comma 5, l’inserimento nelle prescrizioni relative alle singole misure alternative dello svolgimento di attività socialmente utili, operative quale conferma dell’abbandono di ogni strumento di violenza politica.

C’è da rilevare che, per gran parte dei delitti in questione, esistevano, con il d.l. 8/6/1992, n. 306, conv. nella legge 7/8/1992, n. 356, limiti temporali di ammissibilità più ampi, che sono diventati vere e proprie preclusioni alla ammissibilità (salva collaborazione) con le modifiche di cui alla legge 23/12/2002, n. 279. Si deve osservare, al proposito, che si deve scegliere qui di ragionare nei termini indicati nel nuovo testo dell’art. 79, con il quale si è sostituito l’art. 4bis del testo vigente. In tale norma si è previsto che le preclusioni in questione cessano di avere effetto dopo un considerevole lasso di tempo in detenzione. Nella situazione che qui interessa, il lasso di tempo trascorso è particolarmente rilevante, anche se non trascorso in detenzione. D’altronde, si deve anche rilevare che i casi per cui viene previsto questo intervento normativo riguardano aggregazioni criminali risalenti a periodi di tempo ormai lontani. Questa ultima considerazione giustifica anche la differenza di trattamento di quella che abbiamo chiamato detenzione politica da quella che abbiamo chiamato detenzione comune: per questa, nei casi in cui i condannati abbiano agito nel quadro di attività di organizzazioni criminali, queste, anche se mutate nel tempo, restano generalmente ancora operative.

Va rilevato, in conclusione, che il precedente provvedimento sulla dissociazione (L. 18/2/1987, n. 34), risalente, quindi, a ben 17 anni fa, ebbe risultati molto positivi sia sul piano della problematicità di gran parte della detenzione politica, sia nel concreto recupero ad una corretta vita sociale delle molte persone che ne fruirono.

Le disposizioni comuni

Gli ultimi 4 commi dell’art. 83 contengono disposizioni concernenti sia la detenzione comune che quella politica.

Al comma 6, si dispone che, quando i tempi decorsi dai fatti sono particolarmente lunghi si attribuisce la preferenza, fra le altre misure, alla liberazione condizionale.

Al comma 7 si stabiliscono regole specifiche per i tempi di durata della liberazione condizionale.

Al comma 8, una disposizione relativa alla composizione dell’organo che può proporre la concessione dei benefici.

Al comma 9, come già rilevato, si riconferma che, comunque,si applichino (per la detenzione comune) o meno (per la detenzione politica) le disposizioni preclusive del primo periodo del primo comma, restano fermi gli accertamenti relativi ai collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 79.

Sezione II. Relazione al Capo II del Titolo II, concernente i trattamenti penali