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Sezione I. Le modifiche al Capo I° del Titolo II° sulle misure alternative

G. La “nuova” liberazione condizionale

L’articolato interviene, con un nuovo testo degli artt. 176 e 177 C.P., sulla liberazione condizionale.

E’ parso logico prendere atto dello stretto legame che unisce la liberazione condizionale alle misure alternative. E’ vero che la creazione della prima precede quella del sistema delle misure alternative, essendo prevista dallo stesso codice penale del 1930. E’ anche possibile mantenere tale collocazione, come si è accennato, per sottrarre, in quanto possibile, tale strumento alle tensioni modificative, che hanno sovente percorso quel sistema. E’ vero inoltre che il codice penale aveva pensato tale strumento come una sorta di surrogato della grazia, legato a condizioni di ammissibilità e di merito specifiche, rimesso alla decisione del ministro di grazia e giustizia. Ma non si può contestare che la storia moderna della liberazione condizionale si svolge accanto e insieme a quella delle misure alternative, tanto che manca un argomento forte per negare che la stessa sia una misura alternativa. E, per vero, vi sono argomenti decisivi per ritenere che sia proprio una misura alternativa.

Intanto, la vicenda del riconoscimento costituzionale del sistema della flessibilità della pena passa, proprio attraverso la sentenza costituzionale n. 204/74, che riguardava, appunto, la liberazione condizionale. E su quella sentenza si innesta la giurisprudenza costituzionale successiva, nei secondi anni 80 e negli anni 90 e sino ad oggi, nella quale le decisioni sulla liberazione condizionale seguono e si sovrappongono a quelle sulle misure alternative: vedi le sentenze n. 343/87, sugli effetti della revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, e n. 282/89 sugli effetti della revoca della liberazione condizionale, nelle quali, con argomenti ed esiti del tutto analoghi, la Corte approfondisce natura e struttura delle misure alternative, comprendendo la liberazione condizionale nello stesso discorso.

Ma vi è stata, poi, la evoluzione normativa, nata sempre dalla sentenza n. 204/74, con la attribuzione della competenza a decidere ad un organo giurisdizionale: prima alla corte d’appello (L. 12/2/1975, n. 6) e poi inevitabilmente al tribunale di sorveglianza.

Si tratta, pertanto, di prendere atto di questo processo di trasformazione della liberazione condizionale in misura alternativa e di svilupparlo sotto tre profili: la struttura, il regime e la gestione che ne risultano e le condizioni di ammissibilità e di merito.

La struttura. Si legge nel comma 1 dell’art. 177 C.P. che “la liberazione condizionale è revocata se la persona liberata …..trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta ai termini dell’art. 230, n. 2.” Su questa base si considera la liberazione condizionale come una sorta di conversione della pena residua da espiare nella misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo corrispondente (cinque anni per il condannato all’ergastolo). Senonché, la giurisprudenza (v., fra le altre, la sia pure risalente Cass. Sez. V, 31/5/1971, Domenicana, Cass.pen.mass. ann., 1971, 1638, m.2345) ha rilevato come, nel caso, non si sia in presenza di una misura di sicurezza in senso proprio in quanto si deve rilevare che non vi è alcuna possibilità di revoca anticipata della stessa: quindi nessuna valutazione di cessazione della pericolosità sociale e nessuna possibilità di provvedimenti conseguenti, caratteristiche queste essenziali per riconoscere la presenza di una misura di sicurezza. Tale la conclusione della sentenza costituzionale n. 78/77, che riprende la conclusione di altra sentenza precedente, osservando sulla libertà vigilata in questione: “Trattasi infatti della libertà vigilata di un condannato a cui é stata concessa la liberazione condizionale; e questa Corte ha già avuto occasione di rilevare come il potere di revoca anticipata delle misure di sicurezza, ed in specie della libertà vigilata, non possa estendersi a questa fattispecie, "per l'impossibilità di assimilare la comune figura della libertà vigilata a quella particolare conseguente alla liberazione condizionale, che necessariamente, nel sistema legislativo vigente, deve durare tanto quanto dura il periodo della liberazione

condizionale" (sentenza n. 11 del 1970). Conclusione: non si è in presenza di una libertà vigilata nel senso proprio della misura di sicurezza con

questo nome e questa struttura.

Si può allora concludere che la liberazione condizionale non può essere costruita come conversione della pena in misura di sicurezza della libertà vigilata. Il che significa che la stessa, più semplicemente, va costruita con una propria struttura autonoma: come accade per le altre misure alternative, essa ha un proprio regime: quello della liberazione condizionale: consisterà in prescrizioni limitative con caratteristiche definite in linea generale, ma da specificare, personalizzandole al caso. Come, appunto, accade per l’affidamento in prova al servizio sociale.

Il che consente, però, di rivedere i referenti o gestori di tale misura, che si ritiene possano essere ad un tempo un organo di polizia e il servizio sociale penitenziario. Si è detto che ciò è controindicato per una misura alternativa come l’affidamento in prova. Ma la situazione fra questo e la liberazione condizionale è diversa. Diversa, intanto, per coloro che fruiscono delle due misure: per la liberazione condizionale sono, generalmente, condannati a pene maggiori, reduci di detenzioni non brevi, con prospettive di esecuzione pure non brevi; per l’affidamento in prova, sempre in linea generale, la situazione è opposta, anche se la durata dell’affidamento può essere non breve, ma sempre inferiore, salvo eccezioni, a quella della liberazione condizionale. Diversa anche la struttura delle due misure: nell’affidamento in prova la gestione unitaria da parte del servizio sociale è una caratteristica di sostanza, che è bene espressa dal termine “affidamento”. Nella liberazione condizionale la diversità dei ruoli di controllo della polizia e di sostegno del servizio sociale è abbastanza evidente e nella realtà concreta della esecuzione della misura e nelle stesse indicazioni legislative della situazione vigente.

Dunque, nella liberazione condizionale, gli interventi diversi di polizia e servizio sociale non sono incompatibili e possono coesistere. Il che non rappresenta, d’altronde, che una conferma della situazione attuale (resa formalmente esplicita) e, rispetto alla concreta esperienza della stessa, una migliore efficacia della medesima. In effetti oggi la libertà vigilata – che non è libertà vigilata – individua il referente-gestore nell’organo di polizia, ma già oggi è presente, ex art. 55 O.P., il Centro servizio sociale adulti, che , nei confronti degli interessati, “svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale”. Nella pratica accade che l’intervento dell’organo di polizia è di solo controllo e che la presenza del servizio sociale è sostanzialmente eventuale, determinata dalla richiesta di aiuto dell’interessato. La valutazione dell’andamento della liberazione condizionale è affidato, quindi, alle scarne comunicazioni degli organi di polizia che segnalano eventuali inadempienze alle prescrizioni stabilite. E’ rimesso alla iniziativa autonoma dei singoli uffici di sorveglianza la verifica di come proceda il percorso di reinserimento sociale nell’ambiente familiare, sociale e di lavoro. Non resta, allora, nello sviluppo logico di questa riflessione, che corresponsabilizzare, rispetto alla esecuzione della liberazione condizionale, gli organismi di polizia e di servizio sociale, rendendo tutto ciò evidente fin dal contenuto delle prescrizioni. prevedendo, così, che il rapporto per la esecuzione della misura alternativa in prova controllata e assistita (v. sentenza costituzionale n. 343/87 e 282/89) si radichi sia con l’organo di polizia che con quello di servizio sociale. Per la precisione, si dovrà dire che, per il servizio sociale, la funzione di sostegno potrà essere, più propriamente, un mix di sostegno-controllo: sia sul rispetto delle prescrizioni concernenti i rapporti con il CSSA, sia sulla evoluzione positiva dell’inserimento sociale.

Si compie così il percorso della liberazione condizionale verso le misure alternative con un corollario. Come per l’affidamento in prova, la valutazione dell’esito della liberazione condizionale non è automatico, ma deve essere rimesso ad una sede specifica della magistratura di sorveglianza, che giudica se la prova è stata o

meno positiva con le pronunce consequenziali: v. art. 236, comma 1, delle Norme di coordinamento al C.p.p..

Congruamente alla impostazione dell’inserimento della liberazione condizionale fra le misure alternative, si riscrivono le condizioni di merito rilevanti per la concessione, con le quali viene dato spazio all’apprezzamento dei progressi trattamentali, da un lato, e della finalizzazione al reinserimento sociale, dall’altro lato.

Quanto alle condizioni temporali di ammissibilità non viene toccato il regime attuale, comprendente anche le modifiche e limitazioni introdotte con il d.l. 13/5/1991, n. 152, conv. nella L. 12/7/1991, n. 203, che porta a due terzi la pena da espiare inflitta per i delitti di cui al comma 1 dell’art. 79 (già 4bis). Invece, si esplicita, nel testo della norma, la non applicabilità della inammissibilità (salva collaborazione) per i reati di cui alla prima proposizione del comma 1 dell’art. 79, inammissibilità introdotta dal d.l. 8/6/1992, n. 306, conv: nella L. 7/8/1992, n. 356: le ragioni sono state sviluppate alla lettera C) di questa sezione, riservata ad “Alcuni principi e finalità generali”, alla quale si rinvia.

Va detto, inoltre, che gli automatismi, descritti nel testo iniziale dell’art.177 C.P., sono tutti venuti meno attraverso una serie di sentenze costituzionali, n.282/89, 161/97 e 418/98. Se ne dà atto nel testo del nuovo articolo. In particolare:

con riferimento alla sentenza n. 282/89, si chiarisce che, a seguito della revoca della misura, la pena ancora da espiare viene rideterminata dal tribunale di sorveglianza secondo i criteri stabiliti dalla stessa sentenza costituzionale;

con riferimento alla sentenza n. 161/97, si sopprime l’ultima proposizione del primo comma dell’art. 177 vigente del C.P.. che vietava una nuova concessione della liberazione condizionale dopo la la revoca. Tale sentenza è stata enunciata per i condannati alla pena dell’ergastolo, ma, secondo un criterio di ragionevolezza, deve considerarsi estensibile anche ai condannati a pene temporanee;

con riferimento alla sentenza n. 418/98, viene riscritta la parte del vigente art. 177 C.P. che indicava i casi di revoca della liberazione. Per la sentenza costituzionale non basta la condanna per un delitto o una contravvenzione della stessa indole (commessi nel corso della misura), ma occorre valutare se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio. Nell’operare la modifica della norma inserendo tale principio, si è applicato lo stesso anche all’altra causa di revoca della liberazione condizionale: cioè la violazione delle prescrizioni stabilite nel provvedimento di concessione della misura: anche queste, per determinare la revoca, devono essere incompatibili con il mantenimento del beneficio. Il che non fa che confermare la giurisprudenza in materia.

La nuova disciplina della liberazione condizionale viene inserita agli artt. 72 e 73 del nuovo articolato, che riscrivono, subito dopo la semilibertà e la progressione nella stessa, i testi degli artt. 176 e 177 del C.P.. Si ritiene, appunto, che la conclusione più logica sia quella di togliere la disciplina della liberazione condizionale dal codice penale e inserirla nell’Ordinamento penitenziario, nella parte delle misure alternative, cui appartiene ormai ad ogni effetto.

Le parti essenziali degli artt. 72 e 73 sono già state indicate e motivate qui sopra. Si aggiungono alcune precisazioni.

Come si è operato per l’affidamento in prova, si sono evidenziati tutti gli effetti che si ricollegano alla declaratoria di estinzione della pena, pronunciata a seguito dell’esito positivo della liberazione condizionale: v. il nuovo testo dell’art. 73, riscrittura, come ripetuto, dell’art. 177 C.P.. Come si è detto per l’affidamento in prova, le ragioni del chiarimento modificativo della normativa in questione vengono dettagliatamente riportate più avanti, nella parte successiva di questa relazione, concernente la esecuzione dei trattamenti penali diversi dalla pena detentiva.

Sempre in analogia all’affidamento in prova si è prevista, nel nuovo testo dell’art. 177 C.P., la concedibilità della liberazione anticipata anche per i periodi di liberazione condizionale. Come è noto, tale possibilità è stata introdotta per l’affidamento in prova con la L. 19/12/2002, n. 277, che ha inserito il comma 12bis nell’art. 47 O.P.. Sembra del tutto ingiustificata una previsione diversa per la liberazione condizionale. Il problema concettuale è identico: si vuole dare atto che anche i periodi di misura alternativa, pur se fuori di un regime detentivo, si configurano come esecuzione della pena e sono suscettibili, quindi, di applicazione dell’art. 54 del testo attuale dell’O.P.. Questa considerazione non può non valere anche per la liberazione condizionale.

All’art. 77 è risolto un problema interpretativo, che, nella prassi della magistratura di sorveglianza, era risolto in modo diverso nelle varie sedi territoriali: se gli artt. 51bis e 51ter O.P. siano applicabili anche nel corso della esecuzione della liberazione condizionale, per la quale manca un rinvio espresso di applicazione: se, quindi, in presenza di aspetti problematici di merito e di modifica della posizione giuridica circa l’andamento

della liberazione condizionale, possano essere adottati i provvedimenti di sospensione provvisoria e urgente del magistrato di sorveglianza, funzionali alle successive decisioni del tribunale di sorveglianza di revoca o meno della stessa misura. Vi sono uffici nei quali tali applicazioni avvengono, ma secondo una interpretazione molto dubbia. La estensione esplicita, introdotta con il citato art. 77, sembra molto opportuna, perché il problema esiste ed è molto serio: il sistema delle misure alternative regge ed è efficace se vi è la possibilità di interventi immediati quando le cose non vanno bene. Spesso, per tale via,oltre a interrompere le misure che vanno chiaramente male, si riesce, talvolta, ad evitare il deteriorarsi di situazioni incerte e si può anche salvare una misura pericolante.