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5. La sicurezza come bene comune

5.2 I caratteri dei beni comuni

In conclusione, è necessario sottolineare che, nonostante gli studi avvenuti in sede dottrinale e le aperture a cui si è assistito in sede giurisprudenziale, non può negarsi che il problema principale nel teorizzare la categoria dei beni comuni stia nella difficoltà di autonomizzarsi da un paradigma, quello della proprietà privata individuale, tuttora frequentemente presentato come unica forma giuridica possibile della relazione tra cose e soggetti. Militano in questa direzione le Costituzioni liberali che considerano la proprietà privata fra le libertà e le attribuiscono i connotati del diritto fondamentale. Oltre ad una ragione di ordine giuridico – dogmatico, deve registrarsi l’inazione delle istituzioni, ancorate all’idea di un modello di mercato che ha nella proprietà privata la propria colonna portante; si registra, peraltro, la necessità di un mutamento di approccio, volto a consentire l’ingresso ad alternative al dominio esclusivo per ricercare nuovi equilibri che, nell’ambito delle relazioni economiche e sociali, permettano una gestione condivisa, funzionale ad una valorizzazione di beni comuni di natura sia naturale che sociale – immateriale.

5.2 I caratteri dei beni comuni.

Gli argomenti offerti dal dato positivo non consentono di delineare un regime giuridico dei beni comuni e tratti precisi, adeguatamente definiti, in grado di individuarli. Più che altro è possibile rinvenire alcuni principi condivisi da siffatti beni, quali l’accesso universale, la conservazione in vista delle generazioni future ed il loro rapporto con i diritti fondamentali, essendo determinanti i beni comuni per la realizzazione dei diritti della persona nella sua dimensione sociale.

I beni comuni, sia naturali che sociali, sono quelli in cui è stato individuato il fondamento indispensabile della vita dei consociati. L’idea di base è che i beni comuni appartengano originariamente alla collettività, poiché conservati e tramandati di generazione in generazione e prodotto di una creazione necessariamente collettiva, e che necessitino, quindi, non di una concessione da parte del potere pubblico, ma di un riconoscimento. È stato affermato che i beni comuni sono caratterizzati dal fatto che nessuno possa asserire di averli prodotti in proprio, siano essi beni dotati di un substrato strettamente naturalistico che frutto della creatività sociale (99).

Essi, poi, sono beni necessari, indispensabili e insostituibili per la vita di ognuno. Emerge, inoltre, l’aspetto dell’indisponibilità del bene comune a trasformarsi in merce, e cioè la sua sottrazione al mercato.

Un tratto condiviso di ogni bene comune è il legame tra esso e la comunità. L’individuazione della comunità di riferimento è un aspetto chiave nella definizione di bene comune e la comunità a sua volta si definisce in relazione ai legami di solidarietà ed alla fruizione del bene stesso. Il discorso che deriva da tale assunto risulta marcatamente ellittico, poiché tra ‘comune’ e comunità esiste una relazione per cui uno è costitutivo ed elemento imprescindibile dell’altro. Nell’individuazione della comunità di riferimento affiora anche una dimensione diacronica: la gestione del bene deve, infatti, come pure emerge dalla lettura della definizione che la Commissione Rodotà aveva elaborato, tener conto anche degli interessi delle generazioni future. Il ragionamento che sta alla base è quello per cui i membri della comunità si susseguono e cambiano, ma la risorsa resta e si tramanda il più possibile integra e tutelata (100).

La relazione tra persone e beni assume un ruolo fondamentale: l’astrazione proprietaria porta ad una valorizzazione dei bisogni dei soggetti che possono essere soddisfatti collegando i diritti fondamentali ai beni indispensabili. Questa rivisitazione, per mezzo dei beni comuni, ridefinisce il rapporto tra “il mondo delle persone e il

(99) “[…] sono doni del creato, tesori che abbiamo trovato nel secchio magico da dove sorge l’arcobaleno” (P. CACCIARI, La società dei beni comuni. Una rassegna, cit. p. 12).

(100) Particolarmente interessante, con riferimento all’aspetto della conservazione dei beni in vista della trasmissione degli stessi alle generazioni future, è la concezione di “diritto penale della previdenza sociale”, che criminalizza nel presente condotte in quanto potenzialmente offensive di beni da tramandare. In tema si veda C. PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Giuffrè, 2012, pp. 121 ss., che mette opportunamente in luce la distinzione tra “diritto penale dirigistico”, “diritto penale della previdenza sociale” e “diritto penale del comportamento”, nell’ambito del cd. diritto penale del rischio.

mondo delle cose” (101) ed è necessaria, perché la logica basata sulla titolarità della proprietà non può esaurire la complessità del rapporto tra beni e persone (102). I beni comuni, aldilà della titolarità del diritto di proprietà (103), assolvono all’interesse sociale e sono funzionali non all’amministrazione pubblica in sé, ma alla collettività. Si deve valorizzare la destinazione degli stessi a fini di utilità generale ed al raggiungimento della coesione economico-sociale, per mezzo del soddisfacimento dei diritti fondamentali. Mentre la teoria economica considera i beni in rapporto alla loro utilità e utilizzabilità da parte degli uomini, la scienza giuridica li considera prevalentemente come beni tesi a soddisfare e garantire diritti (104). Ciò che rileva ai fini della loro individuazione è il loro godimento concreto, poiché essi si caratterizzano per la loro destinazione a scopi di utilità generale e per il soddisfacimento dei diritti fondamentali degli individui.

È stato sottolineato che il carattere basilare che unisce i beni comuni è la relazione che si viene ad instaurare tra questi, chi li custodisce e contribuisce al loro mantenimento e sviluppo e gli utenti degli stessi. Tale relazione è caratterizzata dall’uso condiviso e dall’accesso libero ed uguale per chiunque; si tratta di un modello di gestione che non consente l’esclusione di nessuno dei potenziali utenti della risorsa entro il territorio di riferimento, ove essa è disponibile. Secondo tale impostazione può essere bene comune ogni risorsa che la comunità, mediante una scelta collettiva, decide di utilizzare in modo condiviso e con accesso aperto (105). L’accesso assume il connotato dell’apertura e della libertà, qualora sia caratterizzato dalla non discriminazione e dall’uguaglianza tra gli utilizzatori.

Essendo i beni comuni funzionali alla comunità di riferimento, la loro gestione non può prescindere dal coinvolgimento, dalla formazione, dall’informazione e dalla

(101) S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012, p. 315.

(102) Interessante sul punto la tesi proposta da S. VECA, L’idea di beni comuni e i suoi rapporti con la giustizia sociale, in Beni comuni e cooperazione, cit., che prospetta la riconduzione dei beni comuni, connessi a diritti fondamentali della persona, all’indice dei beni sociali primari teorizzato da John RAWLS nel suo The Theory of Justice.

(103) È tuttavia ritenuta discutibile ed ambigua la formula corrente “il bene comune non è né pubblico né privato”, perché afferma una equidistanza rispetto ad ambedue gli statuti proprietari, quando, in realtà, mentre è possibile attivare una gestione comune di un bene pubblico, ciò non accade per la gestione di un bene privato, inevitabilmente regolata da obiettivi di profitto. Cfr. T. SEPPILLI, Sulla questione dei beni comuni: un contributo antropologico per la costruzione di una strategia politica, in Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, a cura di M. R. MARELLA, cit.

(104) S. PUGLIATTI, Beni (Teoria generale), in Enc. Dir., XI, 1962, pp. 60 ss.

(105) L. SACCONI, Beni comuni, contratto sociale e governance cooperativa dei servizi pubblici locali, in Beni comuni e cooperazione, a cura di L. SACCONI e S. OTTONE, cit.

partecipazione della comunità stessa (106) e dunque la comunità assume un ruolo decisivo nella fase della gestione e del governo del bene (107). Si rafforza la visione pubblicistica della gestione dei beni comuni; dimensione tuttavia da non declinare nell’accezione di proprietà pubblica. Le istituzioni pubbliche sarebbero tenute a governare i beni comuni in quanto propri dei cittadini. La proprietà, ancorché pubblica, poiché sostanzialmente escludente, cadrebbe di fronte ai principi della convivenza e della tutela dei diritti fondamentali. Fruibilità comune e mantenimento del controllo democratico sul loro governo e sulla loro destinazione sono quindi fondamentali nell’individuazione dei beni comuni. La fenomenologia dei beni comuni è, dunque, strettamente funzionalistica, nel senso che essi divengono rilevanti per il particolare fine sociale che perseguono e di conseguenza è difficile individuare caratteristiche ontologiche che contraddistinguono in modo netto i beni comuni, poiché la loro definizione varia in relazione al contesto di riferimento e ciò spiegherebbe l’ampiezza e la flessibilità della categoria (108).

La difficoltà nell’enucleare caratteri specifici da attribuire ai beni comuni ha portato a declinare la categoria in plurime accezioni e a riferirla ad oggetti fortemente eterogenei tra loro.

Privi di caratteristiche rigidamente identificabili, al di là di quelle che si è provato ad enucleare, i commons possono arrivare ad abbracciare una vasta gamma di esperienze e l’utilizzo dell’espressione ‘beni comuni’ da parte di una pluralità di movimenti sorti all’interno della società civile in epoca recente l’ha resa talvolta un contenitore potenzialmente omnicomprensivo. Non manca, tuttavia, chi contesta un uso del termine tanto generico e ampio da impedirne una perimetrazione necessaria al fine di individuare una statuto giuridico di riferimento (109) e una categoria unitaria corrispondente.

(106) A. LUCARELLI, Note minime per una teoria giuridica dei beni comuni, in Quale Stato, III, 2007, pp. 87 ss.

(107) In tema di governo di beni comuni si sottolinea l’impostazione proposta da L. SACCONI e S. OTTONE in Beni comuni e cooperazione, op. cit. Una delle finalità che tale volume si prefigge è quella di dimostrare la possibilità di una forma di autogoverno dei beni comuni da parte dei cittadini utenti, uniti in una forma di impresa cooperativa che assicuri l’accesso e la distribuzione in modo economicamente razionale, ma coerente con i principi di equità, benessere sociale ed efficienza.

(108) U. MATTEI, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, 2011.