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Secondo la concezione dominante della scienza penalistica, il diritto penale assicura le condizioni essenziali della convivenza predisponendo la sanzione più drastica a difesa dei beni giuridici (52). Tali sono definiti i beni socialmente rilevanti meritevoli di protezione giuridico – penale (53).

La sicurezza pubblica è stata, da parte del legislatore, a più riprese intesa di per sé come bene giuridico, come tale meritevole di tutela penale tramite l’incriminazione di condotte idonee a lederla o a esporla a pericolo.

A titolo esemplificativo, ma significativo, si veda l’art. 1 del d.m. 5 agosto 2008, che definisce la sicurezza urbana “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.

Si pensi, inoltre, all’art 75 bis D.P.R. 309/1990, così come riformato dalla l. 49/2006, che individua nella sicurezza pubblica uno dei beni giuridici tutelati dalla fattispecie di illecito amministrativo di mera detenzione di stupefacenti per uso personale. La norma, infatti, prima di cadere sotto la scure della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato l’illegittimità, ha introdotto una serie di misure di prevenzione, che

(51) M. MANERI, Straniero, in U. LADINI, A. ZANINI, Lessico postfordista, Feltrinelli, 2001. (52) Sulla categoria dei beni giuridici si veda ampliamente infra Cap. II.

incidono sulla libertà personale, a carico di soggetti che si siano resi responsabili della detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope sul presupposto che essi abbiano determinati precedenti di natura penale o amministrativa “qualora in relazione alle modalità o alle circostanze dell’uso […] possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica”.

La previsione di cui all’art. 75 bis del Testo unico, rubricato “Provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica”, ha contemplato un elenco di misure limitative della libertà personale modellate sulla falsariga delle misure di prevenzione previste nei confronti dei soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica e per i mafiosi, vista anche l’identità dell’autorità competente ad applicarle e cioè il Questore.

D’altronde, la dimensione della “sicurezza pubblica” risulta posta alla base della stessa normativa europea antidroga; ed infatti la Decisione quadro del Consiglio 2004/757/GAI, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, fa riferimento nel suo preambolo alla sicurezza, declinata come safety and security.

Prima ancora dell’intervento della Consulta, tuttavia, da più parti era stato evidenziato l’utilizzo, in tale fattispecie, distorto della categoria del bene giuridico; il ricorso al concetto di sicurezza come interesse giuridico di per sé tutelato dalla norma è stato infatti considerato evanescente e scorretto e, peraltro, ispirato a finalità di controllo sociale in base al tipo di autore, più che al cd. diritto penale del fatto (54).

Perplessità, con specifico riguardo all’art. 75 bis erano emerse anche con riferimento alla compatibilità della norma con il principio di determinatezza, precipitato del principio di legalità; i dubbi circa il rispetto del principio di determinatezza

(54) Per una serrata critica alla menzionata disposizione, così come all’asserito bene giuridico della sicurezza pubblica, si veda C. RUGA RIVA, La nuova legge sulla droga: una legge “stupefacente” in nome della sicurezza pubblica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, pp. 246 ss..

La sicurezza pubblica è stata individuata come uno dei punti di fuga della protezione penale offerta dalla legislazione antidroga nelle seguenti sentenze della Consulta: Corte cost., 11 luglio 1991, n. 333, in Il Foro it., 1991, pp. 2630 ss., con nota di G. FIANDACA, La nuova legge antidroga tra sospetti di incostituzionalità e discrezionalità legislativa; tra gli altri commenti alla sentenza, si veda, in particolare, C. F. PALAZZO, Dogmatica ed empirìa nella questione di costituzionalità della legge antidroga, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, pp. 308 ss.; Corte Cost. 27 marzo 1992, n. 133, in Cass. pen., 1992, p. 2612, con nota di D. MANZIONE, La legge sugli stupefacenti ancora all’esame della Consulta; tra le pronunce della Corte di Cassazione sul tema si veda, per tutte, Corte Cass., Sez. Un., 24 giugno-21 settembre 1998, Kremi, in Il Foro it., 1998, p. 758, con nota di G. AMATO, Cessione di sostanza stupefacente priva di effetti droganti e reato impossibile.

sollevati riguardavano, soprattutto, il concetto di pericolo per la sicurezza pubblica che può derivare dall’uso personale di stupefacenti in relazione alle circostanze ed alle modalità dell’uso medesimo; si tratta, infatti, di una situazione dai contorni poco delineati e dalla difficile, se non impossibile, verificabilità empirica tramite gli strumenti offerti dal processo penale (55).

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 6 maggio 2016, n. 94, ha stabilito che è costituzionalmente illegittimo l’art. 4 quater del D.L. n. 272 del 2005, come convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 21 febbraio 2006, n. 49, che introduce l’art. 75 bis del d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, poiché, secondo i giudici costituzionali, la disposizione in esame prevede norme di carattere sostanziale del tutto svincolate da finalità di recupero del soggetto tossicodipendente, ma invero orientate a finalità di prevenzione di pericoli per la sicurezza pubblica, ovvero disposizioni attinenti a misure di prevenzione atipiche ed a sanzioni per il caso di loro violazione; conseguentemente, la palese eterogeneità delle disposizioni censurate, secondo la Corte, rispetto ai contenuti ed alle finalità del decreto legge in cui sono state inserite, appare evidente, con conseguente violazione dell’art. 77, comma 2, Cost., per difetto del necessario requisito dell’omogeneità, in assenza di qualsivoglia nesso funzionale tra le disposizioni del decreto legge e quelle introdotte in fase di conversione.

In conclusione, come è emerso dall’analisi di tale specifica disposizione, è possibile sottolineare come, in via generale, non risulti corretto considerare la sicurezza collettiva un vero e proprio bene giuridico; si tratterebbe, invero, di una confusione dei piani (56). La sicurezza, infatti, pare, più correttamente, dover essere intesa quale interesse generale della collettività cui il sistema, e dunque anche il legislatore penale, deve ispirarsi e, quindi, una grandezza di politica criminale. La nozione di sicurezza collettiva deve essere inquadrata nella categoria dei valori e dei principi cardine dell’ordinamento; le finalità di sicurezza possono condurre alla limitazione di non pochi

(55) Stigmatizza il deficit di tassatività/determinatezza dell’art. 75 bis, prospettando la conseguente violazione dell’art. 25, comma 2, Cost. nonché dell’art. 7, comma 1, CEDU, V. MANES, La riforma della disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti. Frasario essenziale alla luce dei principi di offensività, proporzione e ragionevolezza, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, a cura di G. INSOLERA, Cedam, 2006, pp. 123 ss.

(56) M. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell'”offense” di Joel Feinberg, in A. CADOPPI, Laicità, valori e diritto penale. The Moral Limit of the Criminal Law, Giuffrè, 2010. Si veda, inoltre, G. FIANDACA,Sul bene giuridico. Un consuntivo critico, Giappichelli, 2014, che mette in discussione la possibilità di considerare la sicurezza, di per sé, un bene giuridico, anche a fronte della evanescenza ed indeterminatezza della nozione.

diritti fondamentali (57) ed essa deve così assumere la natura di un valore, un bene, che costituisce la spinta per l’attività legislativa di selezione delle condotte da incriminare. Non è corretto, in linea con l’impostazione ermeneutica maggiormente accreditata, quindi equiparare la sicurezza collettiva ad un bene giuridico, categoria nella quale risulta invece corretto ricondurre l’ordine pubblico e, dunque, tale grandezza deve essere inquadrata nell’ambito delle finalità e nei principi cardine, di natura prettamente valoriale, che orientano e stimolano il legislatore nell’attività di incriminazione e di selezione delle condotte punibili.