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Il contributo definitorio della giurisprudenza

5. La sicurezza come bene comune

5.1. La nozione di “beni comuni”: un primo approccio

5.1.2. Il contributo definitorio della giurisprudenza

L’elaborazione frutto del lavoro della Commissione, seppur senza esito positivo sul piano legislativo, è stata oggetto di un chiaro riferimento in sede pretoria. Benché, infatti, al prezioso lavoro svolto dalla Commissione non abbia ancora fatto seguito l’auspicato intervento del legislatore, il contributo della riflessione giuridica è stato assai significativo (89). Una lettura dei beni demaniali (e pubblici in generale) declinata

(87) U. MATTEI, La nozione del comune, in P. CACCIARI,La società dei beni comuni. cit., p. 61, al riguardo, afferma che “per raggiungere la consapevolezza del bene comune occorre una trasformazione del soggetto, una rivoluzione dei suoi apparati motivazionali, una visione del mondo autenticamente rivoluzionaria”.

Si veda, inoltre, A. GAMBARO, I beni immateriali nelle riflessioni della Commissione Rodotà, in U. MATTEI, E. REVIGLIO, S. RODOTÀ, I beni pubblici. Dal governo democratico dell’economia alla riforma del codice civile, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2010, pp. 65-70, che evidenzia l’inadeguatezza di un sistema incentrato interamente su di una logica dominicale ad esaurire tutte le utilità che una cosa può generare.

(88) A. LUCARELLI, Proprietà pubblica, principi costituzionali e tutela dei diritti fondamentali. Il progetto di riforma del codice civile: un’occasione perduta?, in Rass. dir. pubbl. eur., II, 2007, pp. 11 ss.

(89) I lavori della Commissione, infatti, furono consegnati al Ministro in occasione di un Convegno tenutosi all’Accademia dei Lincei il 22 Aprile 2008, ma se hanno avuto il grande merito di promuovere il dibattito scientifico sulla materia, non hanno prodotto iniziative legislative né statali né regionali.

alla luce delle esigenze della collettività è stata fatta propria dalla Cassazione a Sezioni Unite: nel 2011 (90), con una serie di sentenze (91) recanti la medesima motivazione: la Suprema Corte ha fornito la nozione di bene comune, individuandola nel “bene strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini” a prescindere dalla proprietà pubblica o privata del medesimo.

Le Sezioni Unite hanno valorizzato il lavoro svolto dalla Commissione chiaramente ispirandosi ad esso nello stabilire “che le valli da pesca della Laguna di Venezia configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di bene pubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale spettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali, e sono pertanto da considerarsi bene comune”. Si tratta, dunque, di una nozione imperniata sull’aspetto funzionale del bene, poiché vengono ricondotti nell’ambito di tale categoria solamente quei beni che risultano caratterizzati dall’idoneità a realizzare gli interessi dei cittadini e quindi destinati ad un uso pubblico (92). La Corte di Cassazione ricava dal sistema costituzionale, ed in particolare dagli artt. 2, 9 e 42 Cost., “il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Stato sociale, anche nell’ambito del paesaggio, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativo – codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della proprietà dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento di interessi della collettività”.

(90) Considerato “l’anno dei beni comuni” da S. RODOTÀ, Il valore dei beni comuni, in la Repubblica, 5 gennaio 2012, p. 26.

(91) Si tratta delle sentenze n. 3665-3811-3812-3936-3937-3938-3939/2011. Nello specifico sulla sentenza n. 3665/2011 si veda E. PELLECCHIA, Valori costituzionali e nuova tassonomia dei beni: dal bene pubblico al bene comune, in Foro it., I, 2012, pp. 572 ss.

(92) A. DI PORTO, Res in usu publico e ‘beni comuni’, Giappichelli, 2013, pp. 45 ss. Ha parlato di “una nozione costituzionale di bene pubblico, alla quale è sottesa la funzionalizzazione alla realizzazione degli interessi della collettività” C. M. CASCIONE, Le Sezioni Unite oltre il codice civile. Per un ripensamento della categoria dei beni pubblici, in Giur. it., 2011, pp. 2506 ss.

Sulla scia di un’impostazione che aveva già in parte trovato accoglimento in giurisprudenza (93), i giudici di legittimità hanno fornito una ricostruzione di particolare interesse, in virtù della quale può dedursi che la categoria dei beni comuni è ormai entrata nel diritto vivente ed ha ricevuto un autorevole riconoscimento; ed infatti facendo seguito ad un ragionamento maturato in sede dottrinale la Corte di Cassazione ha effettuato un’interpretazione sistematica e costituzionalmente conforme delle norme, creando così una categoria nuova. La Corte di Cassazione, di fronte all’inerzia del legislatore, ha proceduto ad una rilettura delle categorie esistenti sul piano normativo fondata sui fondamentali principi costituzionali, direttamente applicabili, di cui agli artt. 2, 9 e 42 Cost. I giudici di legittimità, infatti, hanno rilevato l’impossibilità di classificare negli schemi tradizionali tale categoria di beni, che vengono in rilievo per il loro rapporto diretto con i diritti fondamentali delle persone e che servono a dare a questi diritti la possibilità di essere effettivi e, dunque, di non rendere coloro che li vantano dei meri titolari formali. I valori costituzionali divengono, quindi, la base per una nuova tassonomia dei beni pubblici, superando una visione strettamente patrimoniale – proprietaria per approdare ad una nuova prospettiva personale-collettivistica (94). I giudici di legittimità pongono, infatti, l’accento sulle norme costituzionali in tema di paesaggio e ambiente, ma anche sull’art. 2 Cost., mettendo così la persona al centro del programma di revisione della demanialità in virtù della funzionalizzazione dei beni allo sviluppo della stessa (95). Allo scopo di comprendere al meglio tale fuga dalla classificazione tradizionale, è utile considerare anche che “dal punto di vista fenomenologico i beni comuni non possono essere colti, se non liberando la mente dai più radicati fra gli schemi concettuali con cui siamo soliti interpretare la realtà” (96): l’accento non deve più essere posto sul soggetto proprietario, ma sulla funzione che un bene è chiamato a svolgere nella società.

Dal quadro normativo – costituzionale emerge chiaramente la centralità della persona e dei suoi interessi. Per garantire l’effettività della tutela a suo favore è necessario non solo il riconoscimento dei diritti inviolabili, ma anche l’adempimento di

(93) Tra le altre si veda Corte Cass. S.U. sent. 9 marzo 1979 n. 1463, in cui si afferma che ai beni collettivi fanno riferimento interessi che vanno oltre l’individuo.

(94) E. PELLECCHIA, Valori costituzionali e nuova tassonomia dei beni pubblici: dal bene pubblico al bene comune, in Foro it., cit., pp. 564 ss.

(95) E. BOSCOLO, Le politiche idriche nella stagione della scarsità, cit., pp. 184 ss. (96) U. MATTEI, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, 2011, pp. 9 ss.

doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Ed è in quest’ottica che sorge l’esigenza di valorizzare i beni comuni. In tale prospettiva si deve fare riferimento allo Stato, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della collettività preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in termini di sola dicotomia tra beni demaniali e beni privati significa limitarsi alla mera individuazione della titolarità dei beni, tralasciando l’ineludibile dato della loro classificazione in virtù della relativa funzione e degli interessi a tali beni collegati.

Di conseguenza, laddove un determinato bene risulti, indipendentemente dalla titolarità, destinato alla realizzazione dello Stato sociale, esso è da ritenersi al di fuori della tradizionale prospettiva, essendo necessario valutarne il collegamento strumentale con gli interessi dei cittadini.

È possibile, secondo alcuni (97), a sostegno di simile impostazione, valorizzare l’idea di proprietà privata che molte Costituzioni del Dopoguerra hanno adottato: essa è piegata alla funzione sociale, legittimando la sottrazione di utilità al singolo proprietario a vantaggio della collettività. Viene, cioè, posta l’attenzione sull’importanza riconosciuta all’interesse della collettività a livello costituzionale, che assume rilevanza centrale, anche a discapito della posizione del singolo, nel nostro ordinamento. Ma, oltre all’art. 42 Cost. in tema di proprietà privata, anche la norma successiva può essere apprezzata nell’ottica della tutela del bene comune; ed infatti l’art. 43 Cost. prevede la possibilità che, in virtù di un preminente interesse generale, il monopolio di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, sia affidato a comunità di utenti o di lavoratori. Si tratta, dunque, di norme che valorizzano la funzione dei beni e delle imprese, che, proprio in virtù dell’attitudine a soddisfare l’interesse collettivo, possono vedere variato il relativo regime giuridico.

In seguito all’arresto giurisprudenziale del 2011, significativa è la vicenda giudiziaria dell’occupazione romana dell’ex cinema Palazzo, all’esito della quale il tribunale di Roma tratteggia un rapporto privilegiato tra destinazione culturale del bene e moltitudine degli occupanti che mette in ombra la titolarità del diritto sull’immobile (98). La pronuncia in commento, quindi, si pone nel solco tracciato dalle Sezioni Unite e offre una soluzione in grado di prescindere dalla titolarità del bene in conformità al

(97) M. R. MARELLA, Il diritto dei beni comuni. Un invito alla discussione, cit., p. 10.

(98) Trib. Roma, 8.2.2012. Per un’analisi della pronuncia si veda C. AGABITINI, Tutela possessoria e beni comuni. Il caso del cinema Palazzo, in Nuova giur. civ. comm., 2012.

paradigma dei beni comuni e, quindi, ad uno statuto giuridico che si collochi al di là della contrapposizione pubblico - privato e garantisca la fruizione collettiva del bene.

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In conclusione, è necessario sottolineare che, nonostante gli studi avvenuti in sede dottrinale e le aperture a cui si è assistito in sede giurisprudenziale, non può negarsi che il problema principale nel teorizzare la categoria dei beni comuni stia nella difficoltà di autonomizzarsi da un paradigma, quello della proprietà privata individuale, tuttora frequentemente presentato come unica forma giuridica possibile della relazione tra cose e soggetti. Militano in questa direzione le Costituzioni liberali che considerano la proprietà privata fra le libertà e le attribuiscono i connotati del diritto fondamentale. Oltre ad una ragione di ordine giuridico – dogmatico, deve registrarsi l’inazione delle istituzioni, ancorate all’idea di un modello di mercato che ha nella proprietà privata la propria colonna portante; si registra, peraltro, la necessità di un mutamento di approccio, volto a consentire l’ingresso ad alternative al dominio esclusivo per ricercare nuovi equilibri che, nell’ambito delle relazioni economiche e sociali, permettano una gestione condivisa, funzionale ad una valorizzazione di beni comuni di natura sia naturale che sociale – immateriale.