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Gestione collettiva della sicurezza: il ruolo della comunità

5. La sicurezza come bene comune

5.5 Implicazioni della sussunzione della sicurezza collettiva nella categoria dei beni comuni

5.5.1 Gestione collettiva della sicurezza: il ruolo della comunità

È emerso, dall’enucleazione dei caratteri tipici dei beni comuni, come una delle peculiarità di questi consista nella loro gestione collettiva, condivisa dalla pluralità dei consociati; dallo studio della categoria, inoltre, è stato possibile rilevare il ruolo centrale e fondamentale della comunità di riferimento.

Concepire la sicurezza come un bene comune potrebbe, dunque, richiedere un’amministrazione ed una gestione della stessa di natura collettiva. In particolare, restando il bene penalistico dell’ordine pubblico, così come gli altri beni giuridici, nel monopolio del legislatore ordinario, unico deputato ad introdurre nel nostro ordinamento fattispecie incriminatrici volte a tutelarlo (119), discorso differente si

Neue Folge, 1834, pp. 149 ss. Il concetto e la portata dell’espressione “bene giuridico” ha subito diverse e contrastanti formulazioni, nel corso della storia. Per una ricostruzione dell’evoluzione della nozione di bene giuridico si veda G. FIANDACA,Il “bene giuridico” come problema teorico e come criterio di politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, pp. 42 ss. e, per un approccio in chiave critica, ID., Sul bene giuridico. Un consuntivo critico, Giappichelli, 2014.

(119) E ciò in virtù della riserva di legge, considerata tendenzialmente assoluta, corollario del principio di legalità di cui agli artt. 25 Cost. e 1 c.p. Si veda in tema F. MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, 2015, pp. 46 ss.

potrebbe avanzare con riguardo alla sicurezza collettiva. Tale grandezza, una volta confluita nella discussione di politica criminale, costituisce, come visto, una spinta ed uno stimolo rivolto al legislatore; essa è un’istanza che emerge in seno alla collettività ed è un concetto di natura pre – penalistica, dal quale promanano una serie di beni giuridici che il legislatore è chiamato a tutelare enucleando una serie di reati che ne sono posti a presidio.

Ipotizzare una gestione collettiva e attribuita a ciascun consociato, che ne è al contempo titolare, potrebbe indurre a esaminare, in chiave problematica, fenomeni di intervento non solo di natura statale o comunque pubblica, ma diffusi e riconducibili ai singoli membri della collettività.

Viene in rilievo, in particolare, il concetto di sussidiarietà orizzontale, in virtù del quale si deve attribuire la gestione di una risorsa ai diretti destinatari degli effetti del suo impiego. Il fenomeno di avvicinamento dei centri decisionali pubblici agli interessi degli amministrati sfuma quasi nella ritrazione del potere pubblico dagli ambiti ove si possa ritenere che l’autogoverno delle aggregazioni sociali spontanee possa arrecare maggior benessere alla collettività. In questo senso, la sicurezza quale bene comune deve essere salvaguardata e promossa da tutti, insieme. Nella vecchia e superata concezione che vedeva contrapposti Stato e cittadini, il primo era l’unico delegato a tutelare gli interessi collettivi e i secondi venivano visti unicamente come portatori di interessi particolari e, di conseguenza, la questione si risolveva attribuendo allo Stato il compito di occuparsi della sicurezza. Funzione originaria e di esclusiva prerogativa dello Stato, quasi la sua ragione sociale, era proprio quella di garantire la sicurezza interna e la difesa dall’esterno (120).

Emersi i limiti di quel modello, è possibile evidenziare come la cura dell’interesse generale e dei beni comuni, come affermato pure dall’articolo 118 della Costituzione, può essere anche oggetto dell’azione dei cittadini singoli e associati e deve, viceversa, essere favorita in ossequio al principio di sussidiarietà.

Il principio della cd. sussidiarietà orizzontale consente, ed anzi, incoraggia l’iniziativa privata dei cittadini al fine di realizzare un servizio per il bene collettivo

(120) S. NATOLI, L. F. PIZZOLATO, Politica e virtù, Edizioni Lavoro, 1999, pp. 12-13. Come sostenuto dal filosofo Natoli, lo Stato nasce dalla “perdita dell’oggettività del bene”, che rende urgente uno “strumento per limitare il male” e “l’unico bene che [questo] può salvaguardare è che non dilaghi il male, cioè che non si realizzi un potere di distruzione tra gli uomini”.

(121). È, quindi, possibile valorizzare il principio di sussidiarietà con riferimento ai compiti, tradizionalmente autoritativi e statali, di mantenimento della sicurezza interna.

Sembra, in linea di principio, che la sicurezza rientri fra le “attività di interesse generale”, rispetto alle quali l’art. 118, comma 4, Cost. prevede un ruolo solo promozionale in capo al potere pubblico, a favore di una crescente autonomia di iniziativa di cittadini e forme di aggregazione sociale. Attività di promozione e cura della sicurezza potrebbero, infatti, essere intraprese da cittadini, singoli oppure associati tra loro e, a condizione che esse si esplichino nel rispetto di ogni norma dell’ordinamento, dovrebbero, anzi, essere supportate ed incoraggiate da soggetti pubblici (122).

Nel nostro ordinamento, in ossequio alle norme contenute nella Costituzione, il ruolo di soggetti privati è consentito solo per funzioni di sicurezza complementare o integrativa, senza sconfinamenti nell’ambito di interventi coercitivi di ordine pubblico. Ordine pubblico e sicurezza non sono sinonimi e sono grandezze di natura differente; il mantenimento dell’ordine pubblico è compito delle istituzioni, mentre la sicurezza è un

(121) La sussidiarietà è riferita al rapporto tra lo Stato e i cittadini, sia come singoli, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità dell’uomo, ed è volta alla riduzione all’essenziale dell’intervento pubblico. Si veda sul punto T. E. FROSINI, Profili costituzionali della sussidiarietà orizzontale, in Riv. giur. Mezz., 2000, pp. 15 ss.

(122) Il Consiglio comunale di Parma ha approvato il “Regolamento di cittadinanza attiva sulla promozione dell’impegno civico e sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” (Parma, Delibera di Consiglio comunale del 17 novembre 2015, n. 84). Del tutto innovativa è la sezione seconda, dedicata alle attività solidaristiche; tale attività di impegno civico sono intese come azioni spontanee e gratuite prestate dai cittadini, ad integrazione dei servizi svolti dall’amministrazione comunale con la crescente importanza della prestazione di servizi sociali in via sussidiaria. I cittadini attivi potranno dunque svolgere un ventaglio di attività, elencate dall’art. 7, che si estendono da quelle socio – assistenziali ad altre culturali o sportive, sulla base di un atto chiamato “patto di impegno” siglato con il Comune.

Si veda, inoltre: Genova, Delibera del Consiglio comunale, 25 ottobre 2016, n. 51. Il regolamento di Genova, in armonia con il principio di sussidiarietà orizzontale contenuto nell’articolo 118, comma 4, della Costituzione, delinea un modello di amministrazione condivisa dei beni comuni che si esplica attraverso l’iniziativa autonoma dei cittadini, ovvero su proposta dell’amministrazione. Il regolamento di Genova propone un modello di amministrazione che si estrinseca con l’adozione di atti amministrativi di natura non autoritativa, aperta a tutta la cittadinanza attiva, compresi i soggetti minorenni. Una previsione normativa atta a concretizzare de facto l’impegno assunto dall’amministrazione in merito alla realizzazione di percorsi formativi volti, da una parte, a educare e avvicinare i giovani a una nuova forma di amministrazione condivisa e, dall’altra, renderli diretti protagonisti del processo di cura e rigenerazione dei beni comuni urbani.

Si segnala, infine, la legge 6 giugno 2016, n. 106. Dalla pubblicazione delle “Linee guida per una Riforma del Terzo Settore” del 13 maggio 2014 il Governo ha mostrato interesse e peculiare attenzione per il terzo settore che “si colloca tra lo Stato e il mercato […] che dà forma e sostanza ai principi costituzionali della solidarietà e della sussidiarietà”. La normativa in parola persegue l’obiettivo di superare definitivamente l’argine posto nella dicotomia pubblico/privato proprio mediante una profonda valorizzazione della sussidiarietà, sia nel suo asse verticale che, soprattutto, in quello orizzontale.

bene comune di cui tutti i cittadini, individualmente e collettivamente, dovrebbero sentirsi responsabili; l’apporto fornito dai cittadini attivi alla sicurezza dovrebbe concentrarsi sulla cura della relazione, attraverso la rivitalizzazione degli spazi pubblici e del legame sociale, attività improntata alla inclusività ed alla coesione e ciò affinché si sviluppi una cultura della legalità, premessa necessaria dell’ordine pubblico e sostegno per i tutori istituzionali della sicurezza (123). D’altronde la sicurezza avrebbe ben poco valore se letta quale mero sinonimo di mantenimento dell’ordine pubblico, concetto, peraltro, anch’esso dalla difficile perimetrazione ed individuazione (124); il termine sicurezza dovrebbe soprattutto identificarsi una condizione di convivenza ideale, nella quale gli individui possano liberamente esprimersi, partecipare e sviluppare al meglio le proprie inclinazioni, come garantito dalla Carta Costituzionale.

In questo ambito assume rilievo il lavoro congiunto dei diversi livelli di governo per incidere sulle fonti criminogene insite nelle città; altrettanto importante è, ad esempio, la stessa conformazione dei quartieri, la struttura degli edifici e l’illuminazione delle strade. Elementi, questi, che incidono sulla percezione di sicurezza da parte dei cittadini. Per ridurre la criminalità, la violenza e l’insicurezza, spesso l’azione repressiva dei servizi di polizia, del carcere e della giustizia penale non basta: la sensazione di una giustizia caratterizzata da tempi lunghissimi, l’incertezza della pena e la sproporzione tra reato e condanna possono portare ad una discrasia tra interessi delle vittime, collettività e autori delle infrazioni. E’ necessario ristabilire un equilibrio tra il controllo, la sanzione e la prevenzione, al fine di dare maggiore importanza alla prevenzione sociale.

In questo senso, ipotizzare un ampliamento del ruolo attivo di ciascun privato cittadino, nei limiti delle previsioni costituzionali (125), pare poter discendere dalla

(123) G. ARENA, in http://www.labsus.org/2009/09/la-sicurezza-e-un-bene-comune-di-cui-i-cittadini-possono-prendersi-cura/, 21 settembre 2009.

(124) Sulla nozione di ‘ordine pubblico’ si veda, funditus, Capitolo 2.

(125) È in questo ambito che è sorto il dibattito relativo all’ammissibilità o meno nel nostro ordinamento delle cd. “ronde”. Sul punto di veda C. Cost. sent. n. 24.06.2010 n. 226, pronuncia con la quale i giudici delle leggi hanno “bocciato”, in parte, la normativa sulle cd. ronde prevista dal pacchetto sicurezza del 2009. Di conseguenza, i Sindaci, possono avvalersi dell’aiuto dei volontari per un’attività di mera segnalazione ed osservazione, ma occuparsi del disagio sociale deve essere considerata un’attività di intervento di politica sociale, riconducibile alla materia dei servizi sociali, di competenza legislativa regionale residuale.

In tema si veda G. G. NOBILI, Ronde cittadine: una nuova strategia di sicurezza urbana?, in Aut. Loc. e serv. Soc., 3/29, pp. 487-497. Nel saggio Nobili affronta il tema delle condotte private poste al servizio dei fini difensivi. L’Autore studia le origini e i confini di questo bisogno di autotutela che, attraverso il fenomeno delle ronde, si è imposto in Italia e vaglia le forme possibili di coinvolgimento

concezione della sicurezza quale bene comune e potrebbe portare al superamento di un’impostazione volta a pensare la gestione della sicurezza come prerogativa dell’autorità, imposta ai consociati dall’alto, in favore di un approccio maggiormente ispirato a canoni solidaristici e di un’amministrazione “orizzontale”.

Dunque, sulla scorta del dettato dell’art. 118, ultimo comma, della Costituzione si ritiene che i cittadini possano avere un ruolo attivo nella cura di beni comuni e, quindi, anche nella cura del bene comune sicurezza. Non invece, come si è visto, nel mantenimento dell’ordine pubblico, che non è un bene comune bensì un bene giuridico in senso stretto; il mantenimento dell’ordine pubblico è prerogativa esclusiva dei poteri pubblici e, in particolare, delle forze di polizia, sia nazionali sia locali da un punto di vista operativo e, in via astratta e prodromica, da parte del legislatore, deputato alla selezione delle condotte lesive degli interessi giuridici e, quindi, meritevoli di tutela penale. I cittadini non possono, e non debbono, intervenire in questioni che riguardano l’ordine pubblico. Possono, invece, occuparsi in senso lato del bene comune sicurezza urbana, concetto più ampio di quello di ordine pubblico che può ricomprendere, a titolo esemplificativo, il controllo del territorio in forme che non comportano l’uso della forza, ma solo una presenza vigile in zone a rischio (126).

della comunità nel controllo della criminalità. Attraverso il rinvio alla letteratura internazionale, si comprende come la nozione di “ronda” non sia una novità nel panorama occidentale, ma rientri in un più ampio contesto di sorveglianza passiva del territorio. L’analisi delle disposizioni normative sul tema, dettate dalla legge n. 94 del 2009, porta l’Autore ad evidenziare come non sia legittimato il “vigilantismo” da parte dei partecipanti alle ronde, i quali sono abilitati ad effettuare una mera segnalazione. Attraverso una rapida panoramica delle esperienze in campo internazionale, si nota che, a partire dagli anni ‘90, i fenomeni di sorveglianza passiva si sono legati al mondo del volontariato. L’Autore approfondisce, peraltro, il modello di Neighborhood Watch che si è sviluppato nel mondo anglosassone e ne sottolinea i punti di forza, ma anche le criticità. Tale modello è costituito da associazioni di volontariato che operano sull’intera città, e non su singoli quartieri, e lo scopo principale è la riqualificazione degli spazi pubblici, attraverso la promozione dell’inclusione sociale e della tutela dell’ambiente. Alla luce dell’analisi svolta, il nostrano fenomeno delle ronde viene ricondotto al modello degli “osservatori volontari”, ma non per questo può essere esente da critiche. L’Autore osserva, infatti, come i compiti e le loro modalità di svolgimento, previste dal Decreto ministeriale, siano totalmente inadeguati rispetto ai fini perseguiti. Ben più completa è la legge regionale dell’Emilia Romagna che prevede l’ausilio delle associazioni di volontariato per “promuovere l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l’integrazione e l’inclusione sociale”. In base alla disciplina regionale citata, alle azioni di prevenzione vera e propria si affiancano attività di informazione dei cittadini, di educazione e di sicurezza stradale.

Si rinvia, inoltre, a G. BRUNELLI, L’inquietante vicenda delle ronde: quando la “sicurezza partecipata” mette a rischio la legalità costituzionale, in Ist. Feder., 2009, pp. 7-8.

(126) C. CARUSO, I paradigmi della sicurezza partecipata, in N. GALLO, T. F. GIUPPONI, L’ordinamento della sicurezza: soggetti e funzioni, Franco Angeli, 2014, pp. 135 ss. che analizza le varie forme di partecipazione e mobilitazione diretta dei cittadini, distinguendo tra ipotesi di ‘sicurezza integrata’ e di ‘sicurezza partecipata’.

Pare, pertanto, potersi affermare che ricondurre la sicurezza collettiva nella più ampia categoria dei beni comuni costituisca uno stimolo positivo, teso a superare la concezione prettamente autoritaristica dell’amministrazione esclusivamente statale della sicurezza. Ed infatti, si potrebbe in questo modo valorizzare un’amministrazione condivisa nell’ambito della quale il cittadino diventa partecipe e attore nella gestione del bene comune “sicurezza collettiva”. Alti livelli di cooperazione e di solidarietà tra tutti i membri della comunità potrebbero migliorare e potenziare le sinergie tra le istanze collettive di sicurezza della collettività e le esigenze individuali dei singoli.

Garantire la sicurezza di una comunità significa adottare misure che permettano ai cittadini di vivere serenamente e sviluppare il proprio progetto di vita e per fare ciò si ritiene che tutti i consociati debbano averne cura e promuoverla; ogni cittadino, individualmente e collettivamente, a tal fine, può avere un ruolo attivo ed essere protagonista della sicurezza della propria comunità. Per garantire una sicurezza che è integrazione, vivibilità, rafforzamento dei rapporti sociali e solidarietà non servono l’esercizio della forza o del controllo, bensì cittadini attivi che abbiano a cura i beni comuni. A tal fine occorre coltivare reti di relazioni, tutelare gli spazi comuni e infittire il tessuto sociale e, soprattutto in seguito alla commissione di un fatto di reato, ricomporre conflitti.

In questa prospettiva, si può sostenere che i cittadini possono prendersi cura anche del bene comune immateriale sicurezza e che questi possano divenire non soltanto utenti, destinatari dei servizi dei quali le istituzioni pubbliche si occupano, ma anche rendersi soggetti attivi, alleati dei poteri pubblici nell’attività di produzione, manutenzione e sviluppo di quei medesimi beni comuni.