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Charles Fourier, Teoria dei Quattro Moviment

3.9. Carlo Doglio

Carlo Doglio è un personaggio difficile da inquadrare, poliedrico, estremamente colto e al tempo stesso ironico, anticonformista e provocatore. Si può affermare che nell’ambiente dell’architettura e dell’urbanistica sia oggi tra i protagonisti più sottovalutati e “dimenticati”, ma il fatto che un architetto di fama mondiale come Giancarlo De Carlo considerasse il suo amico Carlo Doglio come proprio maestro e proprio punto di riferimento culturale basta ad elevare Doglio nella cerchia degli urbanisti del secolo scorso che meritano di venire studiati e riscoperti.

Per cominciare a inquadrare Doglio si possono elencare quelli che sono i suoi meriti oggettivi, relativi soprattutto alla sua opera di rivitalizzazione dell'ambiente culturale italiano nel secondo dopoguerra. Doglio introdusse in Italia le opere di Lewis Mumford sollecitando la principale casa editrice italiana Mondadori perché traducesse “The Culture of Cities”1; inoltre Doglio fece da tramite portando in

Italia tutta la cultura libertaria inglese che andava da Kropotkin a Mumford passando per Geddes e Morris, fino al suo contemporaneo Colin Ward. I personaggi che lui divulgava hanno avuto grande influenza non solo su De Carlo ma su tutta la fitta rete dei suoi rapporti sociali, tra i quali si contavano non solo urbanisti ma anche sociologi, su tutti Danilo Dolci, e figure di più o meno tutti gli ambiti culturali del suo tempo.

In molti anni di attività Carlo Doglio ha lasciato molti scritti, sebbene la più parte di essi siano scritti per riviste e periodici oppure interventi in convegni e conferenze. Non è impresa facile schematizzare il pensiero di Doglio dato il carattere irrequeito dei suoi scritti e il tono confidenziale e tendente all’ironia, e data soprattutto l’ampia varietà dei temi da lui trattati, in modo aprogrammatico. A testimonianza di questo, il suo grande amico De Carlo lo ricorda in questo maniera: "era un personaggio curioso, inquieto, sempre insoddisfatto, insoddisfatto di quasi tutto. Cercava sempre di andare al di là, di andare di fianco, o sotto o sopra, perché le cose che cercava, quando stava per raggiungerle, smettevano di interessarlo".2

Queste sue caratteristiche si riflettevano anche nei suoi scritti, nei quali Doglio esponeva sempre posizioni molto originali, del tutto anticonformiste e di frequente ipercritiche, perfino quando trattava suoi autori prediletti come Mumford o Geddes. L’unico forse esente dalle sue critiche era Piotr Kropotkin, il principe anarchico, che per Doglio rappresentava un vero e proprio punto fermo,

2 Giancarlo De Carlo , A Carrara senza i CC, "A - rivista

anarchica", dicembre 1995. 1 Lewis Mumford, "The culture of cities", Harcourt, Brace, Jovanovich, 1970.

"Bisogna agire nel posto di esistenza, d'amore e d'affetto e bellezza che si fa da individuale collettiva"

Carlo Doglio (1914-1995)

e la sua analisi delle opere di Kropotkin (almeno per quanto riguarda le scienze territoriali) è una delle più lucide e autentiche.

La parola chiave che meglio si accosta alla figura di Carlo Doglio potrebbe essere “equivoco”. Non solo perché la sua opera più importante è il saggio “L’equivoco della città giardino” ma perché questa parola ricorre spesso negli scritti di Doglio. Forse in virtù di quella inopportuna qualità che gli riconosceva De Carlo, la qualità “di avere il gusto di dire sempre le cose come stavano, il gusto terroristico di dire la verità”, Doglio scovava in ogni argomento, in ogni episodio di attualità o tema accademico, il pericolo di fraintedimenti ed equivoci, il pericolo di far passare le cose per diverse da quelle che sono, il pericolo che al destinatario finale arrivase un messaggio filtrato da ideologie o strumenti del potere autoritario. Così Carlo Doglio amava individuare questi equivoci e smascherarli, chiarirli, spesso demolendo sia gli artefici di questi equivoci sia il sottofondo socio-culturale al quale questi si riferiscono o del quale questi sono promotori.

Ma, come fa notare il fotografo Ferdinando Scianna, quando scrive del ricordo rimastogli di Carlo Doglio, il pianificatore libertario aveva anche “l’abitudine a offrire sempre, insieme alla spiegazione del male o dell’errore, una proposta tanto più concreta quanto più appariva utopica in un mondo in cui la ragione sembrava avesse deciso di non allignare”.3

Avendo a che fare con un personaggio così fuori dagli schemi, in questo caso più che mai può tornare utile delineare le tappe biografiche di Carlo Doglio in modo da poter comprendere meglio le teorie da lui formulate. Nato a Cesena nel 1914, si laureò in giurisprendenza e entrò nell’ambiente culturale dell’Italia fascista lavorando nel campo della cinematografia. Entro presto nell’antifascismo e venne arrestato una prima volta durante la seconda guerra mondiale e una seconda a guerra finita. Doglio militava nell’area anarchica dell’antifascismo, e fu uno dei primi italiani ad arrivare all’anarchismo per via intelletuale. Fu proprio in quest’ambito di militanza che fece la conoscenza di Giancarlo De Carlo, conoscenza che si trasformo ben presto in amicizia, complice il fatto che i due dovettero condividere un periodo di clandestinità.

Doglio prese parte al fermento culturale del periodo post-bellico. Cominciò a scrivere articoli per periodici antifascisti e fondò la rivista “Il Libertario”. Entrato sotto la sfera d’influenza di Adriano Olivetti, l’industriale illuminato, prima lavorò nella casa editrice Mondadori dove si preoccupò di pubblicare in italiano gli scritti dei suoi autori preferiti – su tutti Reclus, Mumford, Kropotkin – in seguito venne chiamato da Olivetti ad Ivrea per redigere insieme ad altri giovani urbanisti (De Carlo, Zevi, Quaroni) il piano urbanistico per l’area del Canavese. De Carlo raccontò in seguito che il rapporto tra Doglio e Olivetti non era affatto idilliaco bensì era un rapporto di amore-odio. Doglio infatti si dimostrò estremamente critico sia verso la fabbrica Olivetti sia verso il movimento culturale Comunità organizzato da Olivetti. Tuttavia Doglio, già allora collocato tramite l’amicizia con l’anarchico Failla ai vertici della Federazione Anarchica Italiana, aveva accettato di dirigere la rivista di fabbrica. Ma Olivetti ebbe presto un ripensamento, in quanto, racconta ancora De Carlo, quasi tutti gli articoli che Doglio pubblicava finivano

3 da "Un’importanza capitale" di Ferdinando Scianna, nella raccolta "Il piano della vita. Scritti di urbanistica e cittadinanza" a cura di Chiara Mazzoleni, Nino Morreale, Ferdinando Scianna.

per sobillare gli operai contro il padrone. Olivetti lo pregò dunque di lasciare l’incarico e come ricompensa gli pagò un lungo soggiorno a Londra per dargli la possibilità di frequentare una scuola di urbanistica. Doglio andò a Londra dove oltre a studiare urbanistica, lavorà presso il London County Council4, la più prestigiosa agenzia urbanistica inglese.

A Londra gli giunse notizia dell’avventura di Danilo Dolci a Partinico5, in Sicilia, e

decise di tornare in Italia per aggiungere il suo contributo in quel progetto di Dolci. Doglio restò in Sicilia diversi anni dove lavorò a un piano regionale e a diversi altre iniziative, senza mai interrompere le sue ricerche né tantomeno le sue fitte relazioni sociali. Inizio una collaborazione con l’Università di Palermo che diede il via alla sua attività accademica, proseguita poi a Venezia e Bologna fino agli ultimi giorni della sua vita. Morì nel 1995, il giorno 25 aprile, il giorno della liberazione, nemmeno a farlo apposta per un uomo come lui che ha riempito tutta la sua vita di un forte ed autentico impegno sociale.

È però importante notare allo stesso tempo come l’impegno sociale e politico di Doglio non abbia mai nemmeno sfiorato le ideologie o i compromessi di partito. Ancora il fotografo Scianna, per rimarcare il fatto che“non c’era un grammo di retorica magniloquente nei suoi discorsi politici”, racconta di una sorta di comizio tenuto da Doglio che ha davvero dello straordinario:

Memorabile è rimasto un suo discorso, mezzo comizio, nel quale, per raccontare gli abusi edilizi di uno speculatore paramafioso e le complicità comunali di cui godeva, inventò, su un episodio vero e conosciuto, un favoloso racconto in cui il mafioso, appassionato di buchi, ne aveva fatto uno immenso in una zona non edificabile del paese e poi, per difendere questo suo bene, quel bellissimo buco, di deroga in deroga aveva ottenuto di costruirci sopra un palazzo di otto piani. Il sarcasmo, il grottesco come maieutica, devastante arma di rivelazione, prima che di denuncia, del sistema di complicità speculativo-criminali con cui funzionava la società. La gente rideva dal principio alla fine e ne usciva con consapevolezza e indignazione superiori a quelle che avrebbe provocato qualsiasi invettiva.

Ma Carlo Doglio era anche quello che scherzava davanti ai suoi giovani amici e inconfessati ammiratori dicendo: “la mia vita è stata compromessa da un grande equivoco: tutti hanno sempre creduto che io fossi incorruttibile, e invece ero caro”. Anche in questo scherzo di Doglio, torna la parola equivoco, come già detto una parola che ritorna spesso negli scritti di Doglio e soprattutto la parola che dà il titolo al saggio che Doglio scrisse nei primi anni ’50, partecipando al concorso indetto da Olivetti sul tema della città giardino di Ebenzer Howard. Doglio partecipa e vince quel concorso, entrando poi nella cerchia di Olivetti e approfondendo sempre di più il tema dell’urbanistica al quale si era appasionando frequentando De Carlo ed altri uomini del mestiere che ruotavano attorno all’ambiente anarchico.

Lo stesso De Carlo - che Doglio invitò a scrivere quel saggio a quattro mani ma che De Carlo dovette rifutare per incompatibilità con il pensiero di Doglio riguardo a questo tema- affermò che, pur non condividendo appieno le posizioni

5 Danilo Dolci, sociologo, educatore e attivista italiano, nel 1952 si trasferii nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) dove promosse lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti ed il lavoro: siffatto impegno sociale gli varrà il soprannome di "Gandhi italiano".

di Doglio, “l’equivoco della città giardino” è un libro intelligente e ricco di spunti critici originali e consigliava una lettura critica di questo saggio a tutti i giovani che si addentravano nello studio dell’urbanistica.

Nel suo saggio Doglio partendo da una sua personale valutazione della città giardino di Howard per esporre le sue teorie in materia di urbanistica. Questo perché la città giardino viene riconosciuta da Doglio sia come una mistificazione del retroterra culturale su cui Howard fondò la sua teoria, sia come un modello pericoloso che sarebbe tornato utile allo sviluppo borghese capitalista del territorio. Doglio si sofferma in particolare sulla contrapposizione tra l’utopia di Morris, descritta nel suo romanzo "News from Nowhere"6, e l’utopia di Howard, che con

l’intento di adattare alla realtà l’idilliaca commistione tra città e campagna, auspicata non solo da Morris ma si potrebbe quasi dire da tutti, Howard finisce - secondo Doglio- per assecondare gli interessi della borghesia inglese, ovvero dall’ambiente al quale Howard apparteneva e dal quale mai si discosterà.

L’analisi di Doglio, arrivando diversi decenni dopo l’ideazione della città-giardino, si preoccupa anche di come è stata filtrata l’esperienza di Howard da parte degli urbanisti degli anni immediatamenti successivi a quelli dei fatti.

In particolare il pianificatore libertario si preoccupa dell’analisi di Lewis Mumford (va ricordato che proprio Doglio aveva voluto che venisse tradotto in italiano le opere di Mumford) e lo contesta fortemente, argomentando sempre nel suo stile ironico tutte le sue opinioni. Ciò che Doglio rimprovera a Mumford è il fatto di aver collocato Howard come il prosecutore dei socialisti utopici Owen e Fourier, Doglio contesta questa sua posizione dimostrando come la città-giardino non possa essere considerata un continuum rispetto alle teorie comunitarie dei socialisti utopici.

Ecco quindi l’equivoco. Aver scambiato un villaggio costruito con il beneplacito di Stato, organizzazioni lucrative ecc.. per un attuazione dell’urbanistica sociale tanto cara a Doglio. Egli aveva un’idea ben precisa di questa urbanistica sociale, formata sulle teorie degli utopisti, della Prima Internazionale, e perciò proprio non riusciva ad ammettere la tutto sommato borghese città-giardino come appartente a quell’altro ambiente socio-culturale.

Ovviamente Doglio, non si ferma alla stroncatura di Howard, e della sua Letchworth, perchè in realtà non aspettava altro che rivelare i suoi autentici modelli di urbanismo sociale. Prima Doglio presenta un focus veramente completo e chiaro sulle teorie urbanistiche contenute all’interno delle opere del suo prediletto Piotr Kropotkin. Dopodichè passa a descrivere e analizzare un esempio pratico di questa urbanistica comunitaria ovvero l’organizzazione territoriale nella Spagna rivoluzionaria del 1936, durante la rivolta popolare a carattere fortemente anarchico che si era opposta al nascente regime franchista. Sottolineando peraltro come effettivamente l’Italia del secondo dopo guerra era certamente più similare alle condizione della Spagna del ’36 piuttosto che dei villaggi inglesi realizzati da Howard, Doglio presenta le caratteristiche delle collettività anarchiche spagnole, specificando che non le presenta come “immobile e definitivo esempio”, ma come “una indicazione che vale la pena mettere in chiara

6 "News from Nowhere" (Notizie da nessun luogo) pubblicato a Londra nel 1890 è un'opera narrativa che combina il socialismo utopico e il racconto fantascientifico, scritto dall'artista e pioniere del socialismo Morris. Nel libro, il narratore, William Guest, si addormenta dopo esser tornato da una riunione della Socialist League e si sveglia ritrovandosi in una società futura fondata sulla comunanza dei beni e il controllo democratico dei mezzi di produzione. In questa società non vi è proprietà privata, né grandi città, né autorità, né sistema monetario, né prigioni, né classi sociali. Questa società agricola funziona perchè le persone traggono godimento dalla natura e godimento dal proprio lavoro.

luce”.

Nel descrivere quella che è stata denominata “la primavera dell’anarchia”, ovvero la Spagna rivoluzionaria, Doglio pur avendo come obbiettivo considerazioni urbanistiche tratta in realtà di tutto fuorchè quello. Organizzazione politica, sociale, economica, l’organizzazione dei trasporti nella Barcellona del CNT, la riorganizzazione agricola dell’Aragona e delle varie collettività rurali: questi sono gli aspetti che Doglio prende in esame e delinea così le principali conseguenze sul territorio apportate da questi cambiementi.

Tutta questa trattazione sulla Spagna del ’36 mette in luce temi che saranno cari a Doglio per tutta la sua attività di “pianificatore libertario”. L’interdisciplinareità, dimostrata già dall’ampietà dei campi che Doglio analizza (economia, agricoltura, sindacati, organizzazione sociale), che corrisponde anche a quella che Doglio chiamerà urbanistica organica, che non ha niente a che fare con l’isolamento organizzato dell’utopia wrightiania, ma dove organica viene inteso come commistione tra i vari aspetti della vita, dalla sua componente religiosa, economica, sociale eccetera. Inoltre il concetto di piano regionale, sul quale Doglio insisterà a lungo, e che consisteva nel piano di sviluppo di una regione definita territorialmente e quindi un piano locale e decentralizzato che si deve poi legare a piani sub-regionali e ovviamente ai piani regionali delle regioni adiacenti, adando a creare così quella teoria delle federazioni, introdotta inizialemnte da Proudhon e che in Spagna trovò una concreta realizzazione. Inoltre la Spagna rivoluzionaria viene vista da Doglio come una delle migliori attuazioni, sebben particolare e quindi parziale, delle teorie di Kropotkin quali il tema della città medievale intesa come città comunitaria e in definitiva di quel concetto chiave di Collettività o Comunità integrata con il quale Doglio conclude anche il suo saggio, sentenziando che se non si arriva a costruire questa Comunità integrata, “l’Italia rimarrà alla scimiottatura dei modi capitalistici stranieri di cinquant’anni or sono”.

È ovvio come a fare da amalgama a tutto ciò vi sia il tema della partecipazione, che Doglio non aveva solo auspicato tramite i suoi scritti ma che aveva anche cercato di praticare nella sua attività di urbanista. Ad esempio quando si trovò a lavorare al piano urbanistico di Cefalù, dove lui affermerà di aver cercato di rappresentare la partecipazione con la sua persona all’interno del team di urbanisti, e che per far ciò andò ad abitare a Cefalù e vivere intensamente quel villaggio per alcuni mesi dando credito a quella sua convinzione secondo la quale la partecipazione, così come l’interdisciplinareità, sono possibili solo “vivendo con”, “essendo parte” della comunità e del luogo.

Verso la fine degli anni ’70 Doglio scrisse un articolo intitolato “Non pensare (molto) per progettare, ma vivere”7 che segna una sua sorta di suo distacco dalla

professione, forse anche di fronte al fatto che l’urbanistica e l’architettura in Italia come altrove si erano ormai incanalate verso una direzione diametralmente opposta a quella che lui aveva sempre seguito.

La fine del suo soggiorno in Sicilia, non causa il suo distaccamento dal mondo accademico passando dall’università di Palermo a quella di Venezia prima e Bologna poi. Doglio continuò con la sua attività di accademico, di critico

7 in "In Architettura, giornale della progettazione", n.3, novembre 1973.

irriverente a rappresentare “la cattiva coscienza” di un urbanistica sempre più soggetta al dominio dell’industrializzazione e della speculazione. Non smise mai neppure di dimostrarsi uomo culturalmente e moralmente impegnato; a Bologna, dove portava i suoi studenti a passeggio per la città mettendo un pratica un metodo di insegnamento sul campo e del tutto conviviale, si adoperò per difendere i borghi della Bologna popolare e portò avanti un’opera di sensibilizzazione sul valore della cerchia dei canali bolognesi, che allora erano del tutto interrati e vennero poi parzialmente ripristinati dopo la morte di Doglio.

Chiara Mazzoleni, docente di urbanistica presso lo IUAV8, che per prima si è

dedicata alla riscoperta e alla riogranzizzazione dell’opera di Doglio, inserisce il “pianificatore libertario” in quella cerchia di persone che lo stesso Doglio stimava e cercò di promuovere attraverso la sua attività (i vari Kropotkin, Mumford, Morris, Geddes) ovvero quelle che definisce persone tutte differenti, ma “unite da un profondo senso di moralità e democrazia”. Mazzoleni riassume bene il cuore della teoria urbanistica e sociale (o socio-urbanistica - non a caso un altra delle parole molto usate da Doglio) di Doglio descrivendo il suo concetto di “piano aperto”:

E, sempre in questa dimensione, attraverso le numerose occasioni di confronto nei centri di iniziativa sociale, si delinea anche la sua originale idea della pianificazione, del “piano aperto, flessibile, continuamente ricontrollato e riconfermato dalla realtà, continuamente ricreato dall’azione degli uomini sulle cose e delle cose sugli uomini”, come Doglio preciserà (in un articolo apparso su “Comunità”). Un piano che è anche un importante strumento per promuovere la trasformazione interna della società e “si realizza solo con la partecipazione dal basso, volontaria della gente comune”. Esso è “implicito nell’agire di ognuno” e si ispira ai valori del “socialismo libertario che pone il decentramento, il regionalismo, il sociale, la nonviolenza al di sopra di qualsiasi take-off caro ai tecnici dello sviluppo”, per cui “il sociale è l’elemento che tiene assieme la gente, in continua e creativa partecipazione di ognuno all’opera comune”.

Guardando all’urbanistica del secondo Novecento e di quella che ancora oggi è la situazione abitativa nei paesi industrializzati, viene naturale pensare a come potrebbe essere il territorio e la società, almeno in Italia, se dagli anni ’50 si fossere collettivamente seguite le teorie di Carlo Doglio anziché gli interessi economici di quello che lui chiamava bieco industrialismo. E allora si può anche comprendere perché Doglio sia stato rifiutato dal mondo accademico; ma come scrive ancora molto acutamente Chiara Mazzoleni, parafrasando William Morris, Doglio fa parte di quegli “uomini che hanno lottato e hanno perso la loro battaglia; ciò per cui avevano combattuto si è realizzato comunque, malgrado la loro sconfitta, ma poi si è rivelato altro da ciò che essi credevano. E allora altri uomini avrebbero dovuto continuare a lottare per ciò che i primi avevano chiamato con un altro nome.”

8 L'Università IUAV di Venezia (fondata come Istituto Universitario di Architettura di Venezia) celebre scuola superiore di architettura.