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Charles Fourier, Teoria dei Quattro Moviment

3.4. William Morris

Poeta, romanziere, saggista, traduttore, pittore, editore, designer, artigiano, imprenditore, ambientalista, socialista: queste sono le attività che ha svolto nel corso della sua vita William Morris, uno dei maggiori protagonisti culturali dell’Inghilterra vittoriana. L’influenza del pensiero di Morris è stata notevole sia all'interno dei movimenti operai inglesi sia nell'ambiente culturale europeo. Morris, anche se non esercitò mai la professione di architetto, è considerato anche un precursore del Movimento Moderno in architettura, sebbene per certi aspetti il suo pensiero fosse in netta antitesi con le posizioni dei protagonisti del Movimento Moderno. A dimostrare questo potrebbe bastare il fatto che Giancarlo De Carlo, che di certo non era un convinto sostenitore del Movimento Moderno, nel 1947 scriveva un libro dedicato a una rivalutazione del pensiero di Morris1. Nato nel 1834 in un villaggio vicino Londra, figlio di un ricco imprenditore, Morris studiò ad Oxford dove venne attratto soprattutto dalle riflessioni di Ruskin, che già allora criticava a fondo la disumanizzazione del lavoro in fabbrica ed esaltava invece la creatività artigiana medievale.

L’importanza di Ruskin, oltre a contribuire alla riscoperta dell’humanitas del periodo medievale mentre criticava le barbarie della nascente società industriale, era stata quella di sostituire alle utopie della prima metà dell’Ottocento la coscienza dell’arte come fenomeno sociale, “caricandola di tutta l’importanza che essa assume nella trasformazione dell’ambiente della vita umana”.

Come confessa lo stesso Morris ripercorrendo l’evoluzione del suo atteggiamento verso la società, già in Ruskin aveva trovato le stesse istanze che lo porteranno poi a diventare un punto di riferimento per il movimento socialista di fine Ottocento, e conferma quanto fosse stata marcata l’influenza di Ruskin sul suo pensiero artistico e sociale2:

Prima del tempo del mio socialismo militante, Ruskin era il mio maestro nei confronti di quell’ideale, e guardando al passato non posso fare a meno di dire, già che ci siamo, quanto terribilmente noioso sarebbe stato il mondo venti anni fa, se non fosse stato per Ruskin! È attraverso lui che ho imparato a dare forma alla mia insoddisfazione, che per altro non era affatto vaga.

Ma come ha scritto Mario Maneri-Elia, docente di storia dell’architettura, Morris dà un suo personale contributo reinterpretando il pensiero del suo maestro:

"L'architettura abbraccia la considerazione di tutto l'ambiente fisico che circonda la vita umana".

2 John Ruskin (1819-1900) scrittore, pittore, poeta e critico d'arte inglese. La sua interpretazione dell'arte e dell'architettura influenzarono fortemente l'estetica vittoriana.

William Morris (1834-1896) 1 Giancarlo De Carlo, "William Morris", Il Balcone, 1947.

Per Ruskin, ha scritto Van de Velde, la bruttezza era un offesa alla natura: per Morris un offesa alla dignità umana. Se Ruskin insiste sulla “falsità”, Morris mette a nudo l’inquità: “non è tanto perché questi oggetti sono brutti che vi dico di rifutarli: ma soprattutto perché sono i simboli concreti del veleno che è in essi”

La carica sovversiva che Morris conferisce all’arte si traduce in rivendicazione sociale. Il pensiero cardine dell’opera di Morris sarà sempre quello di rendere l’arte accessibile al popolo e applicare l’arte nella vita. Non è un caso che Morris entrò presto in contatto con pittori inglesi quali Rossetti, pittori che diedero una seconda vita al movimento dei pre-raffaeliti, e che fondavano loro poetica proprio sui temi che stavano a cuore a Morris: il rifiuto dell’industrializzazione e il culto di una bellezza antica.

Morris, inizialmente collaborò con uno studio di architettura, ma poi sotto influenza dei suoi amici che lo spingevano alla pittura, decise di lasciare l'architettura per dedicarsi al design. Cominciò con l’arredamento della sua casa londinese per la quale realizzo una serie di mobili, ispirati agli ideali artigianali di Ruskin, “mobili intensamente medievali […] solidi e pesanti come una roccia”. In quello stesso periodo commissionò al suo amico architetto Philip Webb la realizzazione di un cottage nella campagna inglese, quella che venne chiamata “The Red House”. La Casa Rossa (chiamata così a causa dei suoi mattoni) viene concepita come una sorta di Camelot, che Morris arreda e decora con gli amici pittori Edward Burne-Jones e DanteGabriel Rossetti3. Questo edificio, nella cui realizziazione Morris (insieme all’amico Webb) esternò tutto il suo “rispetto quasi mistico per l’artigianato e per la terra su cui vita e architettura si fondavano”, verrà visto come antesignano del Movimento Moderno per via della sua onestà strutturale e dell’integrazione con la cultura locale.

L’importanza di Morris nell’architettura moderna non riguarda la forma ma è un’influenza teorica, in quanto Morris con il suo veemente attacco alla società del suo tempo, al ruolo riservato all’arte e soprattutto al lavoro nella nascente società industriale aveva certamente preparato il campo per un cambiamento. Ad aver fatto di lui un padre del Movimento Moderno è anche il fatto che i suoi continuatori, quali Webb e Shaw, avessero eliminato dal pensiero di Morris il suo rifiuto del meccanicismo e portato avanti le altre sue tematiche accompagnandole con un elogio della macchina e dell’industrializzazione; queste idee, che Morris aveva ereditato da Ruskin, non verranno mai rineggate da Morris ed anzi diventeranno sempre più il problema centrale al quale Morris si volle dedicare. Come scrive Giancarlo De Carlo nel suo studio sull’opera di Morris, ciò che più ha contribuito alla nascita del Movimento Moderno e la nuova definizione di architettura che lui ha voluto imporre alla società del suo tempo:

Morris insegnando che l’architettura non può essere dissociata dale condizioni sociali e morali dell’epoca a cui appartiene restituì all’architetto la coscienza della sua missione tra gli uomini. Col suo lavoro e con l’esempio della sua vita egli mostrò come fosse necessario per chi voleva costruire per l’uomo, essere vicino all’uomo, partecipare dei suoi problemi e delle sue sventure, lottare al suo

fianco per il soddisfacimento delle sue esigenze morali e materiali. (..) E’ questa parte dell’insegnamento di Morris che costituisce il fondamento etico del movimento moderno.

Morris si rese coraggiosamente conto delle connessioni necessarie tra l’impiego sociale legato al rinnovamento dell’arte, intesa come gioia dell’uomo nel lavoro, ed è un atteggiamento politico altrettanto aperto e intransigente. Da questa consapevolezza deriva un nuovo concetto di architettura, che è l’apporto più fruttuoso che egli dà al pensiero moderno. “È una concezione molto ampia, perché abbraccia l’intero ambiente fisico che circonda la vita umana; non possiamo sottrarci all’architettura, perché essa rappresenta l’insieme delle modifiche e delle trasformazioni operate sulla superficie terrestre in vista delle necessità umane.”

È proprio in virtù di questa sua definizione di architettura che, ripresa poi da Gropius, Morris verrà riconosciuto un precursore del Movimento Moderno. Morris aprì la strada al Movimento Moderno portando alla coscienza collettiva quanto fosse urgente la necessità di un rinnovamento dell’arte e individuando nello scader del gusto uno dei motivi fondanti della crisi sociale in atto nella tarda età vittoriana. Questa esigenza di cambiamento veniva evocata da Morris quando scriveva: “credo anche che la caratteristica della società attuale è quella di rovinare l’arte, o il piacere della vita e d’aver ucciso l’innato amore dell’uomo per la bellezza e il desiderio di esprimerla; ma questo desiderio non può essere più a lungo represso, e l’arte sarà di nuovo libera”.

È indubbio che per certe affermazioni possa venire teoricamente accostato al Moviemento Moderno, quale ad esempio (considerando che il XX secolo doveva ancora inziare) la sua regola “non avere nella tua casa nulla che tu non sappia utile, o che non creda bello”.

Tuttavia è davvero sorprendente che sia stato assunto a pionere del Movimento Moderno la stessa persona che inequivocabilmente affermava sul finire della sua vita: “A parte il mio desiderio di produrre qualcosa di bello, la principale passione della mia vita era, ed è tutt’ora, l’odio per la “civiltà” moderna.”

Si potrebbe dire al contrario che proprio l’avvento del Movimento Moderno ha finito per tradurre in realtà quella paura che Morris esternò quando disse: “lo studio della storia e l’amore e la pratica dell’arte mi hanno costretto ad odiare una civiltà che, se le cose dovessero rimanere come sono, cambierebbe la storia in una idiozia inutile e farebbe dell’arte una collezione di curiosità del passato, che non avrebbe alcuna connessione seria con la vita reale”.

In definitiva il Movimento Moderno ha preso solo un aspetto del pensiero di Morris, e tratto vantaggio da quello anche perché i suoi allievi Webb e Shaw indirizzarono verso l’industrialismo l’opera di rinnovamento incominciata da Morris.

Ma il Morris che diventerà ispiratore di Patrick Geddes prima e poi verrà ripreso dagli inglesi Turner e Ward, e dagli italiani Doglio e De Carlo, anche filtrato dagli studi di Mumford, è l’autentico Morris ovvero quello che resterà sempre fedele a Ruskin, e che culminerà il suo percorso diventando una figura di riferimento del socialismo in Inghilterra.

William Morris che aveva fondato prima, sulla scia di Ruskin, la “Society for Protection of Ancient Building”3, e che poi insieme ai suoi amici preraffaeliti diede vita a una sorta di cooperativa artistica volta alla realizzazione dell’arte totale, con una commistione di pittura, decorazione, scultura, design. E la sua definizione di architettura è ancor più coerente con il Morris difensore a spada tratta dell’artigianato, fondatore dell’ "Art and Crafts"4 (Arte e Artigianato), l'istituzione che Morris fondò nel periodo nel quale si dedicava soprattutto al design e realizzava carte da parati che riproducevano motivi arabeschi, naturali e comunque sempre esempi di quelle decorazioni che verranno aborrite dai protagonisti del Movimento Moderno.

La sua visione dell’architettura non si riconosce affatto negli esempi di architettura che verranno proposti nella prima metà del Novecento dal Movimento Moderno, ma al contrario resta subordinata alla definizione di architettura data dal suo maestro antimodernista Ruskin: “L'architettura è l'arte di disporre e di adornare gli edifici, innalzati dall'uomo per qualsivoglia scopo, in modo che la loro semplice vista possa contribuire alla sanità, alla forza, al godimento dello spirito”.

Affermò Morris: “Se l’arte oggi avvilita, deve vivere e non morire, nel futuro essa deve appartenere al popolo per il popolo e venire dal popolo; deve comprendere tutti ed essere compresa da tutti; alla tirannia si deve opporre l’uguaglianza o l’arte morirà”. Questa sua affermazione, per quanto possa venir fraintesa, è strettamente legata alla critica contro il modo di produzione industriale sul quale Morris insistette a lungo. Infatti precisa dopo l’artista inglese che finchè durerà la produzione industriale “il popolo non potrà avere arte” e “solo gli artigiani liberi, come li chiamiamo oggi, sono artisti”.

Non è un caso che Morris negli anni in cui scriveva queste cose si incontrò con Kropotkin, e riconobbe nella città del periodo medievale, cioè nell’età dell’oro dell’artigianto, il modello di buona architettura di cui auspicava un ritorno. L’architettura amata da Morris è quella fatta dagli uomini semplici utilizzando materiali a portata di mano, un architettura che prenda esempio da quei borghi poveri che poi poco a poco sono stati migliorati fino a diventare le meraviglie marmoree di Venezia o di Assisi. È l’architettura di quel periodo felice quando gli uomini “costruendo le loro case, donavano nuova bellezza al mondo” al contrario dell'eopoca moderna in cui, scriveva Morris, “è tutto l’opposto, quando gli uomini costruiscono, tolgono sempre qualcosa alla bellezza che la natura e gli antenati avevano dato al mondo".

Ancora meglio Morris descrive l’utopia da lui sognata, nel suo romanzo “News from Nowhere”5, in cui Morris, descrivendo il mondo nell’anno 2102 in seguito ad

una rivoluzione anti-industriale, presenta un territorio dove non c’è nessun “Stato onnipotente e centralizzato” ma “una federazione di comunità agricole-industriali autonome”, raffigurando l’idillio immaginato da tutti i londinesi di una città “che è diventata un insieme di villaggi separata da boschi, prati e giardini”.

Un aspetto fondamentale del pensiero di Morris, per niente recepito dal Movimento Moderno, è la sua lotta per la liberazione del lavoro dal meccanicismo del modo di produzione industriale e della sua interferenza con la vita quotidiana.

5 News from Nowhere, Forgotten Books,1890, [trad. it., Notizie da nessun luogo, Garzanti, Milano 1984]. Si dice che ogni operaio inglese fino al primo Novecento ne possedesse una copia.

3 fondata nel 1877, la S.P.A.B. ispirata nei suoi principi al pensiero di John Ruskin, si occupò nel XIX secolo della protezione dai restauri di molti edifici storici, tra i quali anche la Basilica di San Marco a Venezia. Secondo i soci della S.p.a.b. "restaurare" un edificio significava cancellarne il rapporto con il tempo, la storia. 4 Arts and Craft Movement (movimento delle arti e dell'artigianato) è stato un movimento artistico per la riforma delle arti applicate, una sorta di reazione colta di artisti ed intellettuali all' industrializzazione galoppante del tardo Ottocento. Tale reazione considera l'artigianato come espressione del lavoro dell'uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo e tende a disprezzare i pessimi prodotti, per la bassa qualità dei materiali, per le forme e per il miscuglio confuso di stili, distribuiti dalla produzione industriale.

A quel tipo di lavoro che Morris chiama la “fatica meccanica”, ovvero il lavoro eseguito dall’uomo come se fosse una macchina senza apportare niente di personale nel prodotto finale, egli oppone il lavoro intelligente che “per essere ben fatto richiede l’attenzione del lavoratore ed egli deve lasciarvi qualcosa della propria individualità” ed il lavoro immaginativo che non ha niente di meccanico ed “è tutto piacere”.

A proposito di questo lavoro nobile, che è sempre una compenetrazione tra lavoro intelligente e lavoro immaginativo ma che niente ha da spartire con la “fatica meccanica” , Morris afferma con enfasi che questo lavoro rappresenta “il vero valore e significato della vita, il verbo che consente di capire ogni cosa, di non temere alcuno, di non odiare, ed è il simbolo e il sacramento del coraggio nel mondo”.

La crociata di Morris per il lavoro artigianale anziché industriale si va a legare sia a quella concezione dell’arte come forza liberatrice sia al suo impegno per l’avvento del socialismo. Il socialismo per Morris rappresenta l’aspetto positivo del suo sentimento di odio verso la civiltà moderna, a proposito della quale scriveva:

Devo parlare della speranza della sua distruzione? E nella sua sostituzione con il socialismo? Devo parlare del suo dispotismo? Del suo abuso di forza meccanica; della sua socialità tanto povera; dei nemici di questa socialità che sono i ricchi; della sua perfetta organizzazione, che è la miseria della vita? Del suo disprezzo per i piaceri semplici, che ognuno potrebbe godere se non fosse per la sua idiozia? Della cieca volgarità che ha distrutto l’arte, l’unico conforto del lavoro?

Mentre invece il socialismo era per Morris la vera poetica che unisce in essa tutte le più svariate questioni della quale egli si era occupato, dai tempi dell’influenza di Ruskin fino alla lotta contro il lavoro industriale. E la definzione che Morris dà del socialismo, a differenza di quella di architettura, non lascia molto spazio a fraintendimenti o a realizzazioni parziali:

In primo luogo dirò cosa intendo quando dico: essere un socialista, dato che questa parola, oggi, non esprime esattamente quello che significava dieci anni fa. Io intendo per socialismo una condizione della società nella quale non dovrebbero esserci né ricchi né poveri, né padroni né servi, né disoccupati né sovvracaricati di lavoro, né lavoratori intelletuali con il cervello esaurito, né lavoratori manuali col fisico rovinato; in altre parole, una società nella quale tutti gli uomini vivano in condizioni uguali e conducano la loro attività utilmente, con la piena coscienza che il danno di uno significa il danno di tutti: finalmente, la realizzazione del significato della parola commonwealth.

E nella realizzazione della parola commonwealth6 era di certo compresa anche la

sua idea di architettura, che a dispetto delle migliori intenzioni del Movimento Moderno, nessuno può dire che sia già stata realizzata.

6 Il sostantivo inglese commonwealth risale al XV secolo. La frase originale common wealth o the common weal viene dal vecchio significato di wealth che è "benessere". Il termine letteralmente significa "benessere comune". Perciò in origine commonwealth indicava uno stato governato per il bene comune in opposizione ad uno stato autoritario, governato per il beneficio di una data classe di proprietari includendovi anche i despoti.