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Charles Fourier, Teoria dei Quattro Moviment

3.7. Masanobu Fukuoka

Nell’ agosto 2008, dopo aver sorseggiato il suo ultimo succo di pesca, moriva serenamente alla veneranda età di novantasei anni, l’agricoltore giapponese Masonubu Fukuoka. Nella sua lunga vita Masanobu ha visto mutare drammaticamente il paesaggio del suo Giappone, e negli ultimi decenni ha anche avuto modo di assistere alla progressiva desertificazione di vaste aree in tutti i cinque continenti. Ha visto però anche nascere e svilupparsi un movimento globale, senza organizzazione né coordinamento, composto da essere umani che cercavano un riavvicinamento alla natura, anzi alla Natura, considerata come entità al tempo stesso divina e sensibile. Fukuoka non solo ha partecipato a questo movimento, ma ne è stato iniziatore e ispiratore.

Terminati gli studi, lavorò in un laboratorio come specialista di patologie vegetali, accompagnando a un intenso lavoro una altrettanto intensa vita sociale votata al divertimento più spensierato. In seguito a una malattia e relativo ricovero ospedaliero, cadde in una forma di depressione, uno stato di inquietudine che lo portò a porsi domande esistenziali e a riconsiderare alle radici la sua vita. Il giovane Fukuoka uscì poi da questa depressione attraverso una sorta di esperienza mistica, grazie a cui, come racconta lui stesso, capii senza pensarci che “in questo mondo non esiste proprio nulla”.

Questa “intuizione immensa” che lo portò a riconsiderare tutte le nozioni da lui precedentemente apprese, e riconoscere l’insufficienza della conoscenza intelletuale come strumento per comprendere e analizzare il mondo, trasformò Masanobu Fukuoka portandolo in uno stato di gioia e di armonia con la “vera natura”. Da allora la vità di Fukuoka cambiò veramente e decise di abbandonare il suo lavoro per predicare questa sua intuizione girovagando per il Giappone. Ma dal momento che i suoi simili lo giudicarono presto un eccentrico se non un pazzo, Masanobu tornò al villaggio di suo padre, produttore di mandarini, deciso a provare sull’agricoltura le sue intuzioni, applicando nella pratica agricola la sua filosofia di vita anziché spiegarla a voce. Quello fu l’inizio dell’agricoltura naturale, o chiamata anche da Fukuoka agricoltura del “non fare”, collegando la sua pratica alla filosofia orientale, in particolare al concetto shintoista della non-azione1.

Come descritto da Fukuoka il suo metodo era fondato su un ragionamento di questo tipo:

1 La non azione è un principio di non ingerenza, è la volontà di non modificare il ritmo dell’universo perché è gia perfetto in se stesso; aderendo ad esso, il saggio fluisce con le forze della vita e può interagire con esse.

“E’ questa la fine del mondo?/ Piombati in un sonno profondo, /Gli uomini abbandonano Madre Natura. /Dormono anche Buddha e Dharma. /Come mai? Perché nessuno /più se ne cura. /Yama, ti prego, soccorri questa terra!/ Uomini e donne hanno smarrito il senso del buono e del cattivo,/ della purezza e della malvagità”.

La maniera normale di sviluppare un nuovo metodo è domandarsi: “E se si provasse a fare questo?” o “e se si provasse a fare quest’altro?”, introducendo diverse tecniche una sull’altra. Questa è agricoltura moderna e si risolve solo nel rendere più occupato il coltivatore. Io facevo il contrario. Cercavo un modo simpatico, naturale di coltivare che si risolvesse nel rendere più il lavoro più facile anziché più duro. “E se si provasse a non fare questo? E se si provasse a non fare quest’altro?”.

Cosi Fukuoka dopo innumerevoli fallimenti riuscì ad ottenere un metodo di coltivazione assolutamente naturale che, per dirla con le sue parole, “gettava dalla finestra sia l’agricoltura commerciale industrializzata sia quella giapponese tradizionale”. L’agricoltura del non-fare, nella pratica rimane fedele al suo nome; infatti i quattro pilastri su cui si regge vengono determinati proprio da una sottrazione, un non-fare, rispetto alla pratica agricola moderna e tradizionale; questi quattro pilastri sono: nessuna lavorazione del terreno, nessun concime né chimico né composto, nessun diserbo, nessun insetticida o altro prodotto chimico. L’agricoltura naturale consiste nel creare le condizioni più opportune perché la natura possa svolgere il proprio lavoro, cercando di coltivare i prodotti agricoli come se fossero piante selvatiche. Fukuoka sosteneva di esser divenuto famoso per aver posto agli esperti di fertilità del suolo la domanda: “Se un campo viene abbandonato a sé stesso, la fertilità del suolo aumenta o andrà ad esaurirsi?”. Se gli esperti non seppero rispondere che balbettando qualche parola, Fukuoka rispose con la sua pratica agricola portata avanti per decenni, riuscendo ad ottenere risultati eccellenti, con raccolti pari o superiore ai migliori raccolti ricavati dall’applicazione dell’agricoltura industrializzata e tutto questo con una minima spesa e un minimo sforzo. Fukuoka con la sua agricoltura del “non-fare” ha superato persino la centeneria agricoltura tradizionale giapponese, riuscendo a coltivare riso in campo asciutto, ovvero evitando la faticosa pratica tradizionale dell’allagamento delle risaie ed ottenendo in questo modo delle piante più piccole ma anche più robuste e sane. Poche persone tutt'ora stentano a credere che si possa fare agricoltura, e avere addirittura dei raccolti maggiori, senza nemmeno arare il terreno.

Una delle attività più affascinanti della pratica agricola del “non-fare” consiste nel sistema di semina messo a punto da Fukuoka. Il maestro giapponese ha divulgato nel mondo le sue palline d’argilla, ovvero un mix di semi di piante diverse (ortaggi, erbacce, fiori) raccolti all’interno di un impasto di argilla. Queste pallina d’argilla sono una sorta di “bombe di semi”, pronte per essere gettate nel campo in attesa che i semi, protetti grazie all’argilla da uccelli e intemperie, potranno trovare le condizioni migliori per germogliare.

Questo sistema di semina, accompagnato da piccoli accorgimenti quali ricoprire il campo con gli sfalci o la paglia, rappresenta insieme al momento del raccolto la quasi totalità del lavoro che il contadino deve svolgere, se pratica l’agricoltura naturale. Quindi Fukuoka, con il suo metodo, oltre ad ottenere ottimi raccolti riesce anche nell’obbiettivo di evitare la fatica del lavoro sostenendo che attraverso l’agricoltura naturale ogni contadino potrebbe sostenersi ed avrebbe un grande lusso di tempo da dedicare allo sviluppo della propria personalità.

Fukuoka insisteva molto su quest’aspetto liberatorio dell’agricoltura naturale, e ancor più sulla sua filosofia che accompagna la pratica dell’agricoltura naturale. Come scrive Fukuoka, l’essenza dell’agricoltura naturale è compresa “quando uno capisce che si perde la gioia e la felicità nello sforzo di possederle”, e il maestro giapponese sosteneva che “lo scopo vero dell’agricoltura non è coltivare le piante, ma la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani”.

Questa concezione dell’agricoltura è senza dubbio diametralmente opposta all’agricoltura commerciale, dove lo scopo del lavoro è il profitto. Il pensiero di Fukuoka a riguardo è riassunto in uno dei passi più suggestivi della "Rivoluzione del filo di paglia"2:

Servi semplicemente la natura e tutto andrà bene. Coltivare la terra una volta era un lavoro sacro. Quando l’umanità cominciò a decadere da questa condizione ideale, venne fuori la moderna agricoltura commerciale. Quando il contadino cominciò a coltivare i suoi raccolti per far soldi, dimenticò i veri fondamenti dell’agricoltura. […] “se l’autunno porterà pioggia o vento non posso saperlo, ma so che oggi lavorerò nei campi”. Queste sono le parole di una vecchia canzone di campagna. Esprimono la verità dell’agrcioltura come maniera di vivere. Non importa come sarà il raccolto, se ci sarà abbastanza da mangiare o meno, nel semplice fatto di gettare il seme e dedicarsi teneramente alle piante sotto la guida della natura, c’è la gioia.

L’agricoltura del non-fare, a ben considerare, non può esser considerata soltanto un metodo di coltivazione agricolo ma un autentico sistema filosofico i cui cardini sono una visione spirituale e non-discriminante del mondo, un ritorno alla natura come fonte di vita, e una visione della vita e in particolare della società umana nella totalità di tutti i suoi aspetti.

È evidente che Fukuoka nel dimostrare non solo l’inutilità ma l’assurdità del metodo di coltivazione occidentale, di fatto smaschera e rifiuta le basi stesse della civiltà industriale. L’agricoltore giapponese nei suoi testi si scaglia spesso contro i danni che una visione discriminante del mondo (in primis la distinzione tra io- soggetto e mondo-oggetto) hanno prodotto nella società. La filosofia di Fukuoka sostiene che solo nel momento in cui l’uomo distingue sé stesso dalla natura può iniziare ad analizzarla, a dare nomi alle diverse parti che la compongono e ad illudersi di conoscerla attraverso la scienza; ma non potendo comprenderla, il risultato è che l’uomo non sa più cosa sia la natura, cosa è naturale e cosa non lo è. Tutta la pratica dell’agricoltura naturale non dimostra altro che questo limite del metodo scientifico, di questa errata concezione filosofica della natura, e non ha in fondo altro obbiettivo che far lasciare agli esseri umani il mondo disarmonico della tecnologia per muovere i loro passi verso quel paradiso terrestre rappresentato da una visione dove l’uomo fa parte di quel tutto unico che è la Natura.

Di fronte al problema della disertificazione (problema riguardo al quale Fukuoka si è concentrato negli ultimi anni della sua vita, elaborando tecniche efficienti per contrastarla), e forse ancor di più di fronte al dramma dell’agricoltura moderna (ovvero l’abbandono di vaste aree agricole nei paesi più industrializzati, perdita di

2 edizione italiana "La rivoluzione del filo di paglia", Libreria Editrice Fiorentina. 1980. del libro "Shizen Noho Wara Ippon No Kakumei" (1975), tradotto in inglese nel 1978 con titolo "One-straw Revolution".

ogni cultura materiale contadina e le conseguneti gravi ripercussioni sul paesaggio) diventano evidenti le potenzialità che l’agricoltura naturale avrebbe se applicata in ogni parte del globo. Soprattutto dal momento che l’agricoltura naturale va di fatto a creare un sistema che si autoconserva, dove l’apporto in costi (di tempo e energia) da parte dell’uomo sarebbe ridotto al minimo.

Inoltre gli scritti e le testimonianze di Masanobu Fukuoka hanno influenzato molte persone in ogni parte del mondo, così che il suo straodinario metodo, inscindibile dalla filosofia che lo accompagna, viene sperimentato un pò dovunque nel mondo e sta alla base di numerose aggregazioni abitative. L’agricoltura intesa come via di spiritualizzazione umana piuttosto che affare economico, è l’elemento fondante di un numero sostanzioso di piccole comunità che mettono in pratica forme di convivenza sperimentali.

Fukuoka, già nel 1971 nel suo libro "La rivoluzione del filo di paglia", sottolineava l’importanza delle comunità che cominciavano ad adottare l’agricolutura naturale, comunità che si moltiplicheranno poi considerevolmente negli anni successivi grazie alla diffusione dei suoi insegnamenti. Ecco le parole del maestro giapponese riguardo queste comunità e le persone che le compongono:

Se si guarda in giro per il paese si può notare che sono venute sorgendo recentemente un buon numero di comunità. Sono chiamati assembramenti hippy; bene, suppongo che possano esser viste anche in quel modo. Ma nel vivere e lavorare insieme, nel cercare la strada per ritornare alla natura, queste persone sono il prototipo del “nuovo contadino”. Capiscono che diventare solidamente radicati significa vivere con i raccolti della propria terra. Una comunità che non riesce a produrre il proprio cibo, non durerà a lungo. Molti di questi giovani vanno in India, o al villaggio gandhiano che c’è in Francia, passano del tempo in un kibbutz in Israele, o visitano comuni sulle montagne o nei deserti del West americano. Vi sono quelli come il gruppo dell’isola Suwanose dell’arcipelago Tokara nel Sud del Giappone, che tentano nuove forme di vita familiare ed esperimentano la vicinanza alle maniere tribali di vivere. Io penso che il movimento di questo pugno di persone stia aprendo la via ad un’epoca migliore. È fra questa gente che l’agricoltura naturale sta rapidamente facendo presa e prendendo slancio adesso.

Da citare come Fukuoka possa anche esser considerato un iniziatore dei progetti agricoli urbani, quali gli orti cittadini e la cosidetta “guerrilla gardening”3, ovvero

una pratica che consiste in “attacchi verdi” eseguiti da cittadini che, per combattere il degrado urbano, lanciano su aiuole abbandonate le “bombe di semi” ideate da Fukuoka, per trasformare così i terreni più aridi in veri e propri giardini selvatici dove, accanto a fiori ed erbacce, i cereali e gli ortaggi più saporiti crescono sotto alberi carichi dei frutti più genuini.

3 Con guerrilla gardening si intende una forma di giardinaggio politico, una forma di azione non violenta diretta, praticata soprattutto da gruppi ambientalisti. vedere cap. 4.3.4.