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Charles Fourier, Teoria dei Quattro Moviment

3.13. Murray Bookchin

Murray Bookchin, uno dei principali esponenti dell’anarchismo moderno, tramite i suoi scritti ha dato un cospicuo contributo per una ridefinizione della pianificazione territoriale.

Fondatore della corrente di pensiero denominata “ecologia sociale”,1 Bookchin

integrò all’ecologia classica le sue esperienze di militante antifascista e sindacalista, propugnando l’idea che una società ecologica non può essere attuata senza un rinnovamento sociale che porti ad eguaglianza e ad una vera democrazia.

Una prima critica dell’urbanistica da parte di Bookchin appare nel suo libro “I limiti della città”2 (1973), nel quale Bookchin afferma che le città del mondo

moderno, affette da elefantismi, stanno andando in rovina. Secondo Bookchin, “si stanno disintegrando da tutti i punti di vista: amministrativo, istituzionale e logistico; sono sempre meno in grado di assicurare i servizi minimamente necessari all'abitabilità, alla sicurezza, al trasporto delle merci e delle persone...". Anche in quelle città dove sopravvive una parvenza di democrazia formale "quasi tutti i problemi civici vengono risolti non tramite un'azione che tenga conto delle loro radici sociali, ma per mezzo di un intervento legislativo che riduce ulteriormente i diritti del cittadino come essere autonomo e accresce il potere delle forze che operano al di sopra dell'individuo".

Murray Bookchin sostiene anche che, per queste finalità, non può giovare nemmeno l’opera degli specialisti:

La pianificazione urbana ha potuto raramente trascendere le disastrose condizioni sociali che ne hanno determinato l'esigenza. Nella misura in cui si è ripiegata e rinchiusa in se stessa, nella sua natura di professione specialistica - attività professionale di architetti, ingegneri e sociologi - è rientrata anch'essa nei limiti angusti della divisione del lavoro caratteristica di quella stessa società che avrebbe dovuto controllare. Non a caso, spesso le proposte di impronta più umanistica per la soluzione dei problemi dell'urbanesimo sono state avanzate da 'non addetti ai lavori', che tuttavia hanno un contatto diretto con l'esperienza reale della gente e con le agonie terrene della vita metropolitana.

Secondo Bookchin le migliori risposte ai problemi urbanistici venivano dalla controcultura giovanile che, negli anni '70, spesso avanzava “proposte alternative ai disumanizzanti progetti di rivitalizzazione e di riabilitazione urbana”. Come sottolinea l'anarchista americano:

Murray Bookchin

1 L'ecologia sociale come definisce il termine stesso si preoccupa di correlare i problemi ecologici con quelli sociali e politici della società. Come detto dalla stesso Boockhin, l'ecologia sociale è "una critica radicale e coerente delle attuali tendenze sociali, politiche e anti- ecologiche". Opere di Boockhin a riguardo: The Ecology of Freedom (1982), Remaking Society: Pathways to a Green Future (1989).

2 The Limits of the City, 1973, (ed. it. I limiti della città, Feltrinelli, Milano 1975). Seconda opera dell'anarchico americano, dopo "Post-Scarcity Anarchism" (1971).

per i nuovi progettisti della controcultura, il punto di partenza non era l''oggetto piacevole' e l''efficienza' con cui rendere più spedito il traffico, le comunicazioni e le attività economiche. I nuovi progettisti miravano piuttosto a stabilire un rapporto tra la progettazione e la necessità di garantire l'intimità personale, la multiformità dei rapporti sociali, la non gerarchicità dei modi di organizzazione, il carattere comunitario della convivenza e l'indipendenza materiale dell'economia di mercato. La progettazione, dunque, non doveva partire da una concezione astratta dello spazio o da una ricerca di funzionalità per il miglioramento dello status quo, bensì da una critica esplicita dello status quo e dal concetto che a questo status quo doveva sostituirsi quello della libertà dei rapporti umani. Gli elementi progettuali della pianificazione avevano la loro origine in alternative sociali del tutto nuove. Si voleva tentare di sostituire lo spazio gerarchico con uno spazio liberato.

Afferma Bookchin che le rivendicazioni avanzate da quei giovani sono imperiture, perché “la richiesta di 'comunità nuove, decentralizzate, fondate su criteri ecologici che integrino in sé i caratteri più avanzati della vita urbana e rurale" non sarà mai sopita, per il semplice motivo che "la nostra società, oggi, ha ben poche altre alternative".

Bookchin integrò dunque la critica alla pianificazione territoriale moderna con la sua visione ecologica della società, che permetterebbe di escludere ogni tipologia di sfruttamento e di dominio dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura. Scrive il pensatore anarchico:

Quando la natura può essere concepita o come uno spietato mercato competitivo, o come creativa e feconda comunità biotica, ci si aprono davanti due correnti di pensiero e di sensibilità radicalmente divergenti, con prospettive e concezioni contrastanti del futuro dell'umanità. Una porta ad un risultato finale totalitario e antinaturalistico: una società centralizzata, statica, tecnocratica, corporativa e repressiva. L'altra, ad un'alba sociale, libertaria ed ecologica, decentralizzata, senza Stato, collettiva ed emancipativa.

Il sistema di pensiero bookchiniano presenta una visione olistica dell'universo3,

dove l’individuo è una parte del tutto, e sta al di là di ogni concetto antropocentrico, caratteristica di quasi tutte le discipline sociali, che ha di fatto favorito lo sviluppo del concetto di dominio dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura. Tutto questo secondo Bookchin genera una descrizione della natura mediante l'utilizzo di parametri antropocentrici, i quali non fanno altro che raccontarcela come oggettivamente gerarchica e autoritaria.

Nell’evoluzione del pensiero di Bookchin la critica alla città moderna e il suo orientamento verso un’ecologia sociale si andranno a fondere nel suo programma propositivo che chiama il “municipalismo libertario”, esposto nel suo libro “Democrazia diretta” 4(1993). Il titolo non è ovviamente casuale perché secondo

Bookchin il municipalismo libertario, ovvero una ridefinizione del territorio su altre basi, è la sola via per realizzare una società ecologica, fondata sulla democrazia diretta e non sullo statalismo autoritario.

Nel suo testo Bookchin favoreggia per un ritorno della “politica”, intesa non come attività specializzata (quella che lui chiama “statualità della politica”) ma intesa

3 L'olismo (dal greco όλος, cioè "la totalità") è una posizione filosofica basata sull'idea che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti. Relativamente a ciò che può essere chiamato "olistico", per definizione, la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore / differente della somma delle prestazioni delle parti prese singolarmente.

secondo il significato originale di “gestione della comunità”, o meglio della “polis”, da parte dei suoi membri. La politica era strettamente connessa con la creazione di uno spazio pubblico (l’agorà greco, il foro romano, il centro medievale, la piazza rinascimentale ecc) nel quale i cittadini potessero riunirsi. Scrive Bookchin che:

L’ambito fisico della politica ha coinciso quasi sempre con la città o, più genericamente, con la municipalità. Ma le dimensioni della città erano considerate un fattore non irrilevante. Per i Greci, e in particolare per Aristotele, la città o polis doveva avere dimensioni tali che le questioni si potessero discutere direttamente, faccia-a-faccia, e che vi fosse un certo grado di familiarità tra tutti i cittadini.

Murray Bookchin introduce il concetto di “civificazione”5, che egli contrappone

all’urbanizzazione carratteristica dell’era moderna e che è una nefasta perversione della "civificazione". Bookchin vuole mettere chiarezza analizzando l’origine dei due termini che stanno a monte della contrapposizione:

L’urbs era, nel linguaggio romano, il fatto fisico della città, i suoi edifici, le sue piazze, le sue strade; cosa ben diversa dalla civitas, cioè l’insieme dei cittadini, il “corpo politico”. Il fatto che le due parole non fossero intercambiabili sino all’epoca tardo-imperiale, quando declinò il concetto stesso di cittadinanza, ci parla d’un fenomeno estremamente importante ed illuminante.

Dunque, secondo il pensatore anarchico, la crescita dell’urbs avviene a spese della civitas, e la civitas non può essere recuperata se non con una nuova concezione del cittadino:

Ma ecco che sorge una nuova domanda: la civitas ha un senso se, letteralmente, non s’incarna? Rosseau ci rammenta che “le case fanno un agglomerato urbano [ville, in francese], ma solo i cittadini fanno una città [cité]”. Concepiti meramente come elettorio come contribuenti – un termine che è quasi un eufemismo per “sudditi” – gli abitanti dell’urbs sono diventati astrazioni e perciò mere “creauture dello Stato”, per usare l’espressione giuridica americana utilizzata per designare lo status legale d’una entità municipale. Un popolo la cui sola funzione “politica” è quella di eleggere dei delegati non è affatto un popolo: è una “massa”, un agglomerato di monadi.

Lo spazio civico – polis, città o quartiere – dice Bookchin, è la culla in cui letteralmente l’uomo si civilizza, dove per “civilizzare” egli intende: “trasformare una massa in un corpo politico, deliberante, razionale, etico”. La realizzazione di questo concetto di civitas presuppone esseri umani che si aggreghino non come monadi isolate, che comunichino direttamente con modalità espressive che vanno “oltre le parole”, che dibattano razionalmente in maniera diretta, faccia-a-faccia, e giungano pacificamente ad una comunanza d’opinioni tale da rendere possibili le decisioni e corente con i principi democratici la loro applicazione. “Formando e facendo funzionare tali assemblee, i cittadini formano anche se stessi, perché la politica non è nulla se non è educativa, se la sua apertura innovativa non promuove la formazione del carattere”.

4 Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993, (traduzione dall'inglese di Salvo Vaccaro).

5 traduzione in italiano del neologismo proposto da Bookchin: "civification". Il termine gioca sull'assonanza con urbanization e sulla distinzione tra i termini latini "urbs" e "civitas".

Gli esempi di queste municipalità che formano il carattere, vengono individuati da Bookchin non solo nel mondo ellenico ma anche in tempi più recenti come l’atmosfera pargina del secondo dopoguerra. Il problema principale che contiene una politica civica, storicamente intesa è quello della localizzazione, ovvero rinunciare al centralismo statale per una dimensione locale: un’opzione che viene generalmente considerata utopica se non impossibile.

Si chiede Bookchin: “una “società moderna” può essere governata su base locale in un’epoca in cui il potere centralizzato sembra una scelta irreversibile? Si può coordinare tramite assemblee locali questioni quali il trasporto ferroviario, la mautenzione delle strade, il rifornimento di beni provienienti da aree lontane? Come passare da un’economia basata sull’etica degli affari (ivi compresa la sua controparte plebea: l’etica del lavoro) a un sistema di autogoverno basato sull’autonomia municipale?

Bookchin trova la risposta a questi quesiti nel principio dell’ecologia sociale: “l’unità nella diversità”. Tutte le riflessioni bookchiniane sono attraversate dalla convinzione ecologica che ogni comunità umana (come pure ogni individuo) sia squisitamente unica.

L’ecologia sociale nega con forza che tutti i nostri problemi sociali siano così universali, o meglio così globali (per usare un gergo alla moda presso certo ambientalismo), che “agire localmente” sia privo di senso. Il localismo deve invece sviluppare una sensibilità nei confronti della specificità e dell’unicità dei luoghi, un vero e proprio senso del luogo, una sorta di lealtà verso il territorio in cui viviamo. Secondo l’anarchico americano “per quanto paradossale possa apparire, è proprio dal conflitto o, meglio, dalla tensione che esiste tra una visone localista e una realtà nazionalista che può svilupparsi una nuova politica capace di portarci fuori dalla crisi attuale”. E lo stato di tensione che caratterizza i tempi attuali significa secondo Bookchin che “il localismo non è mai stato tanto nell’aria quanto oggi, proprio perché il centralismo non è mai stato tanto oppressivo quanto lo è adesso". E lo dimostra con la constatazione di come “la domanda per un maggior controllo locale e i tentativi di ridefinire cosa sia, o possa essere, la democrazia hanno dato vita ad una moltitudine di comitati cittadini, associazioni, alleanze di iniziativa democratica, tutte a carattere locale e generalmente seguite da aggettivazioni (ad esempio di base) che ben ne specificano gl intenti".

Oggi sembra emergere un “potere parallelo” che consente alla base della società di sfidare il potere apparentemente invulnerabile dello Stato e delle grandi imprese. Ed è proprio l’inaccessibilità mostrata dai vertici statali e imprenditoriali nei confronti di questi organismi di base che può portare ad una disgregazione della configurazione stessa del potere.

Questo potere parallello trova secondo Bookchin, il suo più alto grado di impatto sulle dinamiche del potere quando si configura nelle “assemblee popolari”, sul modello non solo dei tempi ellenici ma anche delle più recenti assemblee parigine della rivoluzione del 1789 o della Comune del 1871.

Bookchin non voleva dare precise indicazioni su come attuare una libera municipalità, secondo il principio ecologico che ogni locus ha specifici bisogni, ma

si preoccupò però di dare tre coordinate di base, “inscindibili da qualsivoglia forma di libertà municipale, che rimandano ad une recupero dell’idea di democrazia partecipativa e del concetto di cittadinanza nel suo senso classico”.

La prima e più importante di queste coordinate è, secondo Bookchin, “la rinascita delle assemblee cittadine”, sia a livello muncipale nei comuni a misura umana, sia a livello di vicinato e di quartiere nelle città più estese o addirittura nelle aree metropolitane. La seconda è la necessità che tali assemblee “parlino tra loro”, ovvero si confederino. Scrive Murray Bookchin a questo proposito che la confederazione di comunità di livello locale è il miglior modo per creare un potere parallello che possa sostituirsi allo Stato nazionale. La terza coordinata data da Bookchin per raggiungere una democrazia municipale è “il bisogno di creare una politica che addestri ad una genuina cittadinanza”. Ancora una volta per spiegare questo concetto Bookchin fa riferimento alla polis ateniese:

la polis ateniese, nonostante le sue numerose imperfezioni, ci offre esempi significativi di come l’alto senso di cittadinanza che la permeava venisse rinforzatonon solo da una sistematica educazione, ma dallo sviluppo di un’etica di comportamento civico e di una correlata cultura estetica che rivestiva i propri ideali di servizio civico con i fatti concreti di una pratica comunitaria. Il rispetto degli oppositori nei dibattiti, il ricorso alla parola per ottenere il consenso, le interminabili discussioni pubbliche nell’agorà, durante le quali i personaggi più in vista della polis erano tenuti a discutere dei temi di pubblico interesse anche con i meno noti, l’uso della ricchezza non solo per scopi personali ma anche per abbellire la polis (attribuendo così maggior valore alla redistribuzione più che all’accumulazione della ricchezza), una moltitudine di ricorrenze pubbliche, di drammi e satire in gran parte incentrate su argomenti civici e sul bisogno di incoraggiare la solidarietà…tutti questi ed altri ancora sono gli elementi che hanno contribuito a creare in Atene un senso di responsabilità e lealtà civica che ha a sua volta prodotto cittadini attivamente coinvolti e consapevoli della propria missione civica.

Bookchin vuole prepare il terreno per l’avvento di un “senso di cittadinanza”che va oltre al semplice processo educativo ma dovrebbe diventare “un’arte creativa in senso estetico che si appella al profondo desiderio umano di esprimere se stessi in una comunità spirituale che abbia senso”; questa dimensione fa riferimento a un cittadino “pienamente cosciente del fatto che la comunità affida il proprio destino alla probità morale, lealtà e razionalità di ognuno”, mentre oggi “l’essenza dello statalismo rimanda alla convinzione che il cittadino sia un essere incompetente, alquanto infantile e generalmente non degno di fede, mentre lo Stato si auto- rappresenta come un’istituzione disciplinata e disciplinatrice”.

Tutte soluzioni proposte da Bookchin per contrastare quella che lui chiama la statualità dello Stato, quali le assemblee municipali, la partecipazione politica, il senso civico e l’economia autogestita, vanno a confluire nella sua definizione del “municipalismo libertario”.

La prospettiva del muncipalismo libertario è quella di “trasformare villaggi, paesi, quartieri e città in una nuova sfera politica, in contrapposizione allo Stato nazionale, e che si sviluppa da una politica partecipativa a livello locale".

L’intenzione di questo municipalismo libertario dovrebbe essere quella di diventare “la forma assunta da una società razionale ed ecologica, quella Comune delle comuni vagheggiata dalla politica radicale lungo i due ultimi secoli”. Altro aspetto che deve per forza possedere il municipalismo libertario è l’obbiettivo di municipalizzare l’economia, attraverso “l’acquisizione dei mezzi di sussistenza da parte della comunità, il controllo della vita economica da parte dell’assemblea cittadina e l’integrazione di aziende, negozi, terre, ecc. controllati dalla comunità secondo criteri confederali”. Questa municipalizzazione dell’economia, “nella misura in cui i lavoratori di ogni settore economico si riuniscono per affrontare insieme i problemi della comunità”, fa sì che i lavoratori inizino ad agire come cittadini, cessando di fatto di essere dei lavoratori e ponendo i bisogni collettivi al di sopra dei bisogni particolaristici. Un’altra prerogativa del muncipalismo libertario deve essere quella di promuovere sia le specificità locali che la diversità culturale, in un più ampio progetto che include una confederazione di municipalità, riunite per perseguire obbiettivi comuni e per uno scambio autentico sia economico che sociale.

Tutti i principi cardine del municipalismo libertario andrebbero, secondo Bookchin, a creare una costellazione politica che intende trasformare radicalmente la condizione umana a livello emotivo e intellettivo, spirituale e fisico, personale e istituzionale; verrebbe così fondata una nuova politica che è però inscindibile da una nuova etica.

Ecco dunque che il municipalismo libertario di Murray Bookchin, fonda il programma per una vera e propria rivoluzione urbana che deve però sconfinare dal campo urbanistico per fondersi con l’organizzazione sociale, ed è la via descritta da Bookchin per sostituire lo Stato in tutto quanto fa di utile e doveroso verso i cittadini elimando però tutte le abbruttiture, le ingiustizie e le connivenze con il potere economico.

il municipalismo libertario non esclude il potere, un potere concreto, non semplicemente quella forma alla moda di "potere di autocontrollo", che sovente altro non è che uno stato di esaltazione emotiva più o meno simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una ripresa e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli essere umani sono costituiti per vivere come "animali politici". è una comunità strutturata, che possiede una sua costituzione e una sua legislazione, fondate su basi razionali e democratiche. è formazione degli individui, membri a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo paideia. Sono il municipio e la confederazione di municipi che, grazie alle competenze, al potere armato, alle istituzioni democratiche e al metodo che affronta problemi e questioni con il dialogo, non solo è in grado di sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie di cui lo Stato si è appropriato a spese del potere popolare, con la scusa che i suoi appartenenti sarebbero ragazzini incapaci. È questo il regno della politica, il suo universo reale, che rischia di essere completamente cancellato da una società che sempre più assomiglia a una Disneyland e che ci spinge a dar vita a un movimento per riappropriarcene e svilupparlo.

Ivan Illich è uno di quei personaggi che non è possibile etichettare o inquadrare con solo qualche aggettivo. Egli corrisponde alla tipologia dell'uomo rinascimentale, dal momento che la sua attività è andata a toccare vari campi del sapere; Ivan Illich ha sempre cercato di elevarsi al di sopra della società per avere sempre uno sguardo sul tutto anziché su ambiti separati.

Teologo, antropologo, scrittore, storico, filosofo sono solo alcune delle professioni che gli possono venire accostate e, da convinto oppositore alla specializzazione quale era, Illich può meglio esser considerato un libero pensatore che in un modo eretico e sottoreaneo ha influenzato grandemente la cultura della seconda metà del Novecento. L’opera di Illich va a colpire la cattiva coscienza delle forze dominanti nell'era industriale e si colloca tra i capisaldi del pensiero libertario moderno. Fin dalle sue prime opere, “Descolarizzare la società” e “La nemesi medica”1, Illich

presenta una critica lucida, indissolubile e inattaccabile a due delle principali instituzioni della società industriale, nonché due dei principali punti di forza e di vanto della società del benessere: rispettivamente il sistema scolastico e il sistema sanitario.

Illich stesso dichiara di non aver preso la medicina o la scuola come temi di discussione ma semmai come esempi delle dinamiche della società industriale. Infatti Illich tramite la sua analisi cinica e radicale di queste moderne istituzioni