• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 1 CENNI STORIC

5. Carne e occidentalismo

Parallelamente ai cenni storici delineati nei paragrafi precedenti, la storia dell'alimentazione giapponese subì molte e radicali trasformazioni. La “svolta” nella dieta giapponese post-Meiji si identifica convenzionalmente nel gennaio 1872, quando si diffuse la notizia che l'Imperatore aveva consumato un pasto a base di carne di manzo, per la prima volta dopo secoli.

Ai moti nazionalisti di espulsione degli stranieri (sonnō jōi) si era gradualmente sovrapposta la nozione secondo la quale l'Occidente era una ricca fonte di conoscenze e tecnologie, utili per elevarsi al di sopra delle altre nazioni asiatiche, in particolare la Cina, rimasta modello di civiltà per secoli ma poi sconfitta dai conquistatori inglesi (Ishige 2001: 143). Lo spirito del nuovo bunmei kaika (“civilizzazione e diffusione della cultura”) si espresse anche con l'acquisizione delle abitudini alimentari, quindi.

Il consumo di carne, negli anni precedenti alla Restaurazione, non era raro presso i ceti più bassi della popolazione e nelle località di montagna, ma nelle città costiere l'ampliamento delle superfici coltivate con rispettiva diminuzione delle aree boscose avvenuto tra Cinque e Seicento, unito alla preziosità degli animali da tiro come buoi e cavalli avevano gradualmente indotto i governanti a incentivare una dieta priva di cacciagione e carne rossa. A questa serie di bandi si era aggiunta la voce dei sacerdoti Buddhisti e Shinto, i quali consideravano le carni impure. Religiosa o secolare che fossero, la proibizione della carne venne meno quando la “moda” iniziata dall'Imperatore Meiji si diffuse in tutta Tokyo e i ristoranti di gyūnabe19 si moltiplicarono come funghi (cfr. Cwiertka

2010: 29 e Ishige 2006: 148), popolari grazie ai prezzi accessibili e all'entusiasmo popolare dei tokyoiti.

La popolarità della carne di manzo stufata è ben descritta dal seguente passo tratto dall'Aguranabe, un romanzo illustrato edito nel 1871 dal commediografo Kanagaki Robun:

“Say, you there. Beef is really delicious, isn't it? When beef can be had, who would want to eat venison or wild boar? In the West nowadays they alwaus eat beef, but in the old days beef and mutton could be eaten only by royalty and ministers of state, and never by the common folk. What a blessing it is that our country has become more and more civilized and regular folk like us are able to eat beef. Some poeple who reject modern civilitazion still think that eating beef is a barbarous custom. They say absurd, nonsensical things like, 'If you eat meat you will offend the Buddha and the Shinto deities, if you eat meat you are defiled' – but only because they are ignorant of the Western science.” (cit. in Ishige 2006: 150)

Queste parole, pronunciate da “un giovane uomo appassionato dell'Occidente”20, descrivono

chiaramente la transizione dalla vecchia Edo alla nuova e cosmopolita Tokyo. Nel 1877 il numero di gyūnabeya (“ristoranti di gyūnabe) raggiunse le 558 unità e contemporaneamente il piatto si diffuse anche nelle cucine domestiche. Durante la prima guerra Sino-Giapponese e la guerra Russo- Giapponese, alla carne di manzo si sostituì quella più economica di maiale, mentre la carne di cavallo rimase una prerogativa delle classi più povere (ibid.: 152-54).

Contrariamente alla carne, il latte non ottenne grande popolarità nel corso del diciannovesimo secolo. Tuttavia diversi caseifici vennero costruiti ai margini dei maggiori centri abitati per rifornire di latte le puerpere e i malati, che ne facevano abitualmente uso. Il latte come bevanda quotidiana prese piede solo dopo la seconda guerra mondiale.

I formaggi e il burro invece ci misero molto più tempo, in quanto il loro odore era generalmente considerato disgustoso: il termine batā kusai (“puzzolente di burro”) nacque proprio alla fine dell'Ottocento ed è ancora in uso per intendere qualcosa di sgradevolmente occidentale (ibid.: 154). In ambienti diplomatici era diffusa la tendenza a pranzare in perfetto stile occidentale. A Tokyo, lo Tsukiji Hotel (noto anche come Hôtel des Colonies) sul finire del diciannovesimo secolo forniva a ospiti internazionali e diplomatici banchetti di cucina francese in un ambiente impeccabilmente europeo, frutto anch'esso della nuova politica di distensione e allineamento tra il Giappone e le potenze coloniali.

Nello spirito del bunmei kaika i diplomatici giapponesi partecipavano ai ricevimenti

“all'occidentale” con abiti e maniere confacenti, dividendo così le proprie vite in due grandi sfere, quella privata, intima, giapponese (wa) e quella pubblica, esposta, occidentale (yō). Ogni cosa si sdoppiò: dalla cucina – yōshoku e washoku – agli abiti – yōfuku e wafuku – all'architettura stessa - yōma indicava i saloni in stile europeo, ma non ha un vocabolo corrispettivo in giapponese; il più vicino è forse washitsu:

“ Il principio del bunmei kaika diventerà così anche sinonimo di occidentalizzazione tout court (seiyōka), in quanto si fonda sulla presa di posizione del decadimento della Cina come modello di civiltà, e quindi sul necessario distacco dall'ordine tradizionale sino-centrico […]. Dalle premesse di questa 'uscita dall'Asia e ingresso in Europa […] deriva uno degli slogan più popolari del periodo Meiji: wakon yōsai […], 'spirito giapponese, conoscenza occidentale'” (Miyake 2010: 54- 55).

L'atto stesso di sedersi a un tavolo e consumare pasti a base di burro, pane e vino impugnando forchette e coltelli era una vera e propria avventura esotica per la nobiltà tokyoita, e il fascino di queste esotiche ostentazioni presto costituì un vero e proprio fatto di costume: l'appropriazione della “civiltà” occidentale diveniva per i governanti del nuovo Giappone un potente simbolo di status:

“Western-style banquets were not only designed to impress foreign dignitaries with Japan’s ability to become ‘civilized’, but were also used to strengthen the authority of the new political leadership in the domestic arena. Cultural conformity with the ‘West’ maintained by the Japanese aristocracy and government officials was a method of acquiring authority through the use of the powerful Western image. Members of the elite became the creators of fashions, confirming their superior position within Japanese society.” (Cwiertka 2006: 22).

A questo punto il consumo di alimenti occidentali passò dall'essere un'attività per pochi “disagreeable ruffians of the type who liked to brag that they had eaten meat, and most people held their noses and wlkend quickly when they passed the shop” (Ishige 2001: 150) a una vera e propria tendenza generata dagli aristocratici.

Il consumo di carne di manzo stufata (gyunabe) divenne in seguito popolare nella forma del sukiyaki, ancora oggi un piatto molto in voga, con alcune varianti come ad esempio lo shabu shabu. Una forma alternativa di piatto al manzo è il gyudon, in cui le fettine di carne vengono marinate con lo shoyu, cotte nel brodo dashi e servite su un letto di riso bianco in una grossa ciotola donburi.