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Habitus e produzione sensoriale

CAPITOLO 2 LA MANO: PERFORMATIVITÀ E SINESTESIA

5. Habitus e produzione sensoriale

Nei paragrafi precedenti ho descritto una serie di momenti abbastanza disparati ma tutti relativamente comuni nel contesto della vita urbana giapponese. Quello che collega tra loro eventi come un takoyaki party, o assistere alla preparazione dell'okonomiyaki, è equivalente a quello che collega le persone con le esperienze: la pratica, intesa come “una o più azioni legate tra loro e

considerate nella loro logica, significato e strutturazione socio-culturale” (Ronzon 2009: 58).

Il sociologo francese Pierre Bourdieu (1972, 1992), in opposizione all'idealismo cognitivo dello strutturalismo di Levi-Strauss (1962), descrisse nel dettaglio i concetti di pratica e della sua dimensione superiore, habitus (ad es. Bourdieu 1972: 15), ovvero una “matrice di azione, percezione e valutazione che opera a livello cognitivo come un insieme durevole di disposizioni apprese a livello ambientale e a loro volta in grado di modificare l'ambiente circostante” (Ronzon, ibid.). Sono caratteristiche dell'habitus l'essere una matrice storica, mutevole e “cognitivamente aperta”, “in grado di generare in modo creativo più tipi d'azione differenti […] calibrate di volta in volta in modo fine in base alle specifiche situazioni operative e alla presenza di vari tipi di aiuti e supporti esterni” (ibid.: 62).

A partire da questo importante strumento interpretativo mi rifarò, attraverso alcune citazioni selezionate, all'articolo di Adam Yeut Chau “The sensorial production of the social” (2008), nel quale vengono considerate da un punto di vista ecologico-cognitivista le caratteristiche dei festival religiosi della Cina rurale. L'autore intende esplorare gli ambienti della sensorialità acuita (“heightened sensory ambience”, p. 487), da lui osservati nella cittadina di Shaanbei, nella provincia di Shaanxi, secondo la premessa che la percezione dell'ambiente sia da interpretarsi non come un atteggiamento passivo del corpo umano inteso in senso individuale, ma come un complesso sistema di percezione e produzione attiva, che trova la sua collocazione in contesti altamente sociali, come appunto i festival templari, le processioni funerarie o i convivi (cfr. pp. 487- 488).

A partire dalla sua dissociazione dagli approcci interpretazionisti (es. Howes 1990, Classen 1998, Stoller 1984) da lui definiti “built on the theoretical position that living in a sensorial world means interpreting this sensorial world." (Ibid: 486, cfr. Ingold 2000: 286-287), Chau sposta il fuoco dell'attenzione dall'idea di sensory interpretation (ibid.) a quella di sensory production (p. 488), in particolare rigettando l'implicazione del “solipsismo metodologico” (Dennet, citato in Ronzon 2006: 12) di matrice rappresentazionale e dell'introiezione della percezione all'interno del corpo del percipiente (Geurz, Desjarlais, citati in Chau 2008 pp. 486-487) e focalizzandosi sull'individuo in quanto attivo produttore di stimoli sensoriali in contesti sociali: “we sensorialize our world, especially through engaging in intense social activities” (p. 490). “Sensorializzare il mondo” significa costruire e ri-costruire attivamente attraverso la pratica un ambiente contemporaneamente fisico, sociale, sensoriale, orientato ai compiti (o taskscape), un'idea, secondo me, connotata da forti influenze ecologiche (cfr. Ronzon 2009: 20-22).

Per meglio illustrare il ruolo della persona in quanto produttrice di contesto sensoriale all'interno degli eventi sociali, Chau si rifà alla categoria emica di honghuo (calore sociale), particolare

sensazione tipica dei grandi assembramenti di persone durante i festival religiosi cinesi, che l'autore descrive in questi termini:

The heat in honghuo (red-fiery) and re’nao (hot-noisy) is thought to reside in the social gathering and is not necessarily a physical/physiological sensation felt by the people in the gathering. What is felt by the people, however, is what I would like to call ‘sociothermic affect,’ a diffuse psychosomatic sense of satisfaction and fulfillment resulting from having partaken in, and co-producing, red-hot sociality. (Chau 2008: 488)

Per converso, se la produzione-ricezione di stimoli sensoriali è parte integrante nella costruzione di un ambiente sociale, la socialità sarà proporzionalmente necessaria per produrre tale complesso e corale panorama. La motivazione che spinge gli abitanti di Shaanbei a rendersi partecipi di questo processo è verbalizzata col termine ganying (lett. “responding upon feeling”, indice il senso di obbligo morale a dei fenomeni honghuo, ma anche in senso più ampio la partecipazione alla vita religiosa e comunitaria; Chau 2008: 491), che l'autore accosta alle riflessioni del filosofo francese Maurice Merlau-Ponty sulla corrispondenza fenomenologica tra corporeità e percezione, ovvero “l'eco” (1964: 22) elaborato successivamente dall'antropologo Thomas Csordas nell'articolo Somatic modes of attention: “Because we are not isolated subjectivities trapped within our bodies […] we must also specify that a somatic mode of attention means not only attention to and with one’s own body, but includes attention to the bodies of others" (Csordas 1993: 139, corsivo mio). Tuttavia Chau osserva che le definizioni di Merlau-Ponty e Csordas di “eco” e “attenzione somatica” si rifanno al già menzionato ideale di percezione passiva e quindi non definiscono appieno la qualità attiva del ganying, cioè della “risposta” individuale al mondo sociale. Le descrizioni vivaci e dettagliate riportate da Chau dei corpi in movimento, del calore e degli odori di una ricorrenza templare cinese spingono tutte in una precisa direzione:

[T]heorizing about the body, the senses, and being-in-the-world to bring the social back into the picture.

The body is not simply the existential ground for the self and experience, nor does it merely react passively to external stimuli; more often than not, the body (or what I prefer to call the body-person) partakes in producing the world around it, by generating sensorialized sociality. (Chau 2008: 500)

Sebbene gli episodi da me riportati in questo capitoli siano piuttosto diverse festose ed esuberanti dei festival di Shaanbei – in Giappone queste feste sono detto matsuri e non sono dissimili da quelle cinesi per molti aspetti – trovo che le idee di sensory production e heightened sensory ambience

proposte da Chau siano molto azzeccate per interpretare i momenti di socialità gastronomico- performativa a cui ho preso parte. Naturalmente nel mio caso non sono entrate in gioco le “effervescenze” Durkheimiane (Durkheim 2005: 246–47) tipiche dei grandi assembramenti di persone descritti da Chau, ma la precisa caratterizzazione sensoriale che ogni evento performativo tendeva ad assumere, come la preparazione esperta dei takoyaki o dello shabu-shabu (cfr. par. 2 e 3 di questo capitolo), o l'uso deliberato di determinate tecniche del mangiare come il risucchio “giapponese” o l'intingolo nel rosso d'uovo (cfr. par. 1), stabilivano a loro volta relazioni interpersonali e ne venivano allo stesso tempo definiti in maniera dinamica.

Intendendo, sulla scorta di Bourdieu, il pasto come un fenomeno di habitus, ovvero una “matrice di azione, percezione e valutazione” composta da pratiche a loro volta suddivise in azioni, possiamo constatare che possiede le precise caratteristiche che il sociologo francese gli attribuiva: il pasto è un prodotto storico, mutevole in base alla “biografia personale dell'attore e ai campi sociali all'interno dei quali viene esercitato” (Ronzon 2009: 62); inoltre è una matrice adattativa, capace di ospitare al suo interno azioni diverse in contesti diversi, ma tutte afferenti a una medesima pratica di ordine superiore. Per esempio, la preparazione di un nabemono, una famiglia di piatti della quale fanno parte lo shabu-shabu, il sukiyaki o lo yudōfu, in tutti i casi è previsto che si scaldi il brodo che ne costituisce la base in una pentola (nabe) su un fornelletto a casa al centro della tavola, con tutti i commensali seduti intorno, per poi aggiungere gli ingredienti che connotano il sottotipo di nabe in questione. Il senso di familiarità conviviale che questo piatto caldo trasmette è veicolato dalla cooperazione dei presenti alla scelta degli ingredienti e al timing con cui introdurli nella pentola, producendo calore e i profumi tipici del piatto senza dubbio ci ricorda la produzione sensoriale di Chau, integrata in questo caso dalla verbalizzazione e dalla cinestetica del portamento a tavola – in Giappone le buone maniere e in generale la “appropriatezza formale” dei piccoli gesti quotidiani sono ancora virtù ammirate ed esplicitamente elogiate. In modo simile, ma mediato dall'apparecchio televisivo, i protagonisti degli show culinari come Iron Chef (v. Cap. 3, par. 1)sono un esempio più complesso e distante dall'etnografia di Chau, in quanto la risposta (o ganying) di chi assiste a questi banchetti sinestetici – la cura della regia nel presentare il colore, la lucentezza e le qualità più sottili del cibi, come le piccole bollicine di grasso in una ricca zuppa cinese non colpiscono solamente l'occhio – risulta in ultima istanza frustrata, ma rappresenta d'altra parte forse un esempio più “puro” di “produzione sensoriale in un ambiente sensorialmente acuito”, data la cura con cui sia la struttura architettonica dello studio, sia le relazioni tra i partecipanti sono costruite e presentate al pubblico.