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CAPITOLO 3 L'OCCHIO: PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE

3. Forme, sguardi, pratiche

Tra i commercianti di sanpuru a Kappabashi ce n'è uno particolarmente interessante, perché espone solamente modelli “differenziati”, senza proporre modelli per i ristoratori. È il rivenditore ufficiale della compagnia del defunto Iwasaki, ora gestita dai suoi figli e nipoti, gemello di un'altra installazione, molto più ampia e prestigiosa, situata nella torre panoramica Sky Tree, attualmente la torre più alta del mondo con i suoi 643 metri – ma all'epoca della mia prima visita non era ancora aperta al pubblico.

Ha una vetrina relativamente grande, piena di modelli a grandezza naturale, non in vendita. Alcuni sono molto particolari, come quello di un piatto di curry-rice caduto a terra, con cocci, schizzi di curry e riso accuratamente disposti ad arte per rappresentare la casualità dell'evento. Al centro, tracciata nella salsa, c'è l'inconfondibile sagoma urlante del quadro di Edvard Munch (v.

Appendice). Quell'urlo “al curry” fu il mio primo incontro con una classe di sanpuru che potrei definire “ludica”, ma che sfugge in definitiva alle classificazioni; piccole opere uniche, pensate come sfoggio di abilità, esperimento, semplice goliardia o tutte e tre le cose insieme, probabilmente. Mi colpì come una contraddizione interna, o un barlume di anarchia: l'utilizzo di materiali e tecniche espressamente volti alla pedissequa riproposizione di canoni gastro-estetici in rappresentazioni che invece facevano leva su processi interpretativi del tutto diversi. La polisemia dell'opera ancora mi colpisce: avevo la copia perfetta di un piatto rotto con pietanza rovesciata, all'interno della quale era stata inserita a bella posta un'icona del pre-impressionismo ormai divenuta pop, quel sanpuru oltre a rompere la ciotola del curry – e quindi l'implicito “perché” dei sanpuru stessi, mostrare pietanze esteticamente appaganti per attrarre l'occhio e il portafogli dei passanti – rompeva anche la simmetria della rappresentazione (originale, modello), tornando al punto di partenza. Era il simulacro (Munch) di un simulacro (sanpuru rotto) di un simulacro (sanpuru). Il riutilizzo dei know-how artigianali per produrre queste piccole evasioni mi ha ricordato da vicino il concetto di cooptazione, che trovo molto calzante in questo caso: all'interno di un contesto tecnico- artigianale orientato verso un preciso obbiettivo36 si è prodotto un oggetto che, pur mantenendo le

caratteristiche tipiche degli altri, non risponde all'obbiettivo che dovrebbe definire il contesto, come la struttura anatomica di un'ala che diventa pinna, ridefinendone la funzionalità; Ingold definisce questo processo co-optazione (co-optation), in relazione a un altro processo, la costruzione: “Nel fare co-optativo, un oggetto già esistente viene adattato a un'immagine concettuale di un possibile uso futuro […]. Nel fare costruttivo, questa procedura è capovolta, in quanto l'oggetto viene fisicamente modellato per conformarsi esattamente a un'immagine preesistente” (Ingold 2004: 117). All'interno del negozio ci sono due espositori verticali e uno girevole su cui sono è disposta una vasta gamma di oggetti d'uso comune, tutti rielaborati in fogge culinarie: portachiavi e orecchini, chiavette USB, cover per iPhone, custodie per meishi, phone-straps (ciondoli da appendere al cellulare, talvolta il volume di questi oggettini che pendono dal un telefono può superare quello del telefono stesso), piccoli sanpuru con un foro apposito per essere fissati su penne o matite, magneti da frigo, cuffie auricolari, i popolarissimi pulisci-orecchie, asticelle in plastica con un piccolo uncino a un'estremità per l'igiene dei condotti auricolari (e, in questo caso, con un sanpuru come impugnatura) e persino gemelli-sanpuru, scelta quantomeno eccentrica per un abito da sera.

Le pareti sono tappezzate da fotografie di modelli, che scopro essere i vincitori del concorso interno annuale che la compagnia di Iwasaki indice tra i suoi dipendenti. Esposti ma non in vendita, individuo altri sanpuru “ludici”: due carote antropomorfe che fanno il bagno nel curry, un elmo

36 Cfr. il taskscape di Tim Ingold: “just as the landscape is an array of related features, so – by analogy – the taskscape is an array of related activities. " (Ingold 1993: 158); il taskscape è uno spazio socialmente costruito di attività umane delimitato a scopo analitico, in un processo di continuo cambiamento.

giapponese (kabuto) fatto di tavolette di cioccolato – scoprii in seguito che un elmo al cioccolato è la guarnizione preferita delle torte di compleanno degli appassionati di storia e folklore – e un curiosissimo ikura gunkan37.

L'ikura ha attratto la mia attenzione perché non presentava le stesse caratteristiche delle altre cooptazioni evasive, anzi, dal punto di vista semiotico era un sanpuru quasi del tutto proprio. L'unica devianza rispetto alle concordanze funzionali con l'originale che rappresentava, erano le proporzioni. Il corpo, vale a dire la base di riso cinta da una striscia di alga nori, nera e crespa, era grande circa due volte e mezzo un ikura comune, cioè una decina di centimetri (rispetto a un originale di 4cm. Tuttavia la guarnizione di uova di salmone che qualifica questo tipo di maki, misurava almeno quattro volte l'originale – di fatto c'era spazio solo per 4 o 5 sferette di 3,5-4 cm di diametro, sul modello. Stavo osservando un modello di sushi in qualche modo ri-proporzionato. L'effetto era molto gradevole e di fatto magnificava l'aspetto esteticamente più appagante dell'ikura gunkan, cioè le uova di salmone, che hanno una tonalità rosa con delicate screziature rosse, a loro volta accentuate dal nero opaco dell'alga nori. Nella mia interpretazione, quel sanpuru rappresentava il tentativo di eseguire uno zoom-in su un dettaglio attraverso un media apparentemente non predisposto per quel tipo di operazione: una manipolazione espressiva forse ancora più complessa delle cooptazioni già citate. In merito a quel bizzarro ikura gunkan, avrei posto molte domande a un mio intervistato, dipendente della Compagnia Iwasaki, senza ricevere risposte particolarmente illuminanti.

Fermiamoci momentaneamente a considerare i vari tipi di sanpuru osservati sin'ora; nelle mie peregrinazioni ho incontrato modelli “differenziati”, vale a dire piccoli oggetti di uso comune con inseriti sanpuru in scala ridotta, a scopo ornamentale. A questi si aggiungono i sanpuru fai-da-te, veri e propri modelli 1:1 ma ad uso e consumo di appassionati – mentre, per artigiani alle prime armi o fans più abili e motivati, esistono materiali e manuali semi-professionali coi quali ottenere risultati generalmente più appaganti, come ad esempio “Shokuhin sanpuru no tsukurikata oshiamasu” di Norio Imai (2010). Infine, vi sono i sanpuru nella loro concezione originale di oggetti da esposizione, sebbene chiaramente siano accessibili anche ai privati – una ciotola di rāmen di buona fattura, per costosa che possa essere non supera mai l'equivalente di 100 Euro circa. Tra i sanpuru tradizionali nel corso degli ultimi trent'anni si è sviluppata una tendenza interessante, cioè la disposizione dinamica; un esempio è l'ormai classico piatto di pasta dal quale una forchetta sospesa in aria solleva una piccola colonna di spaghetti arrotolati (anche logo della compagnia Iwasaki, riportato in Appendice). È una tecnica relativamente semplice e consiste nel realizzare uno

37 Gunkan significa “nave da guerra” e definisce la forma ellissoidale del sushi iruka maki, composto da una guarnizione esterna di nori e ikura, uova di salmone (imprestito dal russo ikrá).

scheletro di fil di ferro o plastica rigida per poi nasconderlo alla vista con gli elementi del sanpuru, come gli spaghetti, i soba o un getto di curry. Un esempio più elaborato è una pizza – considerato un sanpuru di difficoltà elevata, per via dei molteplici elementi che lo compongono e la grande cura necessaria alla corretta colorazione – dalla quale una mano invisibile ha staccato una fetta, che ora è sorretta a mezz'aria, con filamenti di formaggio e pomodoro che la congiungono al corpo principale. Il dinamismo ha introdotto un senso di freschezza e rinnovata vitalità in tutte le tipologie di modello che consentono questo tipo di elaborazione (cfr. intervista 17 novembre 2012) e ha contribuito a svincolare il sanpuru dalla staticità scultorea che lo contraddistingueva; si può notare un parallelo o un'affinità intuitiva tra i modelli dinamici e il modello ludico di ikura gunkan descritto precedentemente: entrambi puntano a “rompere” l'immobilità introducendo elementi volti a magnificare un determinato aspetto pratico. Nel primo caso, è lo sguardo che viene “scolpito”, alludendo a uno zoom-in, o meglio a una visione a tunnel focalizzata nell'apprezzamento dell'ikura. Nel secondo, a essere sottolineate sono le caratteristiche fisiche della pietanza: la plasticità colloidale della mozzarella fusa, la struttura filiforme degli spaghetti (ma anche, in questo caso, la pratica di portarli alla bocca arrotolati sulla forchetta) o la densità vellutata del curry, in rapporto alle pratiche del consumo, come arrotolare gli spaghetti sulla forchetta per portarli alla bocca o versare il curry sul riso per poi consumarli insieme.

Nel già citato negozio della compagnia Iwasaki, oltre a tre scaffali ricolmi di ogni tipo di oggetto d'uso comune in foggia di pietanza, un angolo ben illuminato e spazialmente definito da un rialzo di legno ospita delle piccole scatole cubiche di cartone ondulato. Alla mia prima visita fui subito attratto da quelle misteriose scatolette, per poi scoprire che racchiudevano un kit monouso per la realizzazione casalinga di un sanpuru alla modica cifra di 2000 Yen (circa 20 Euro). Divise per grado di difficoltà, le scatole contenevano il necessario per realizzare rispettivamente pasta al pomodoro, riso al curry, udon e ramen. L'effetto finale di questi modelli è abbastanza artificioso, Lo spoglio dei manifesti pubblicitari per questi kit mi rivela il target implicito di questo prodotto: le casalinghe. Un breve messaggio si affianca alle colorate immagini del volantino:

Provate a casa vostra (katei) la sfida dei sanpuru!

I sanpuru, tradizione della cultura gastronomica giapponese (Nihon no shoku-bunka dentō). Con una base di cera, come alle origini, con questo kit fai l'esperienza di prepare un sanpuru38.

È accompagnato dalla foto di una signora non più giovanissima ma ancora gradevole che contempla soddisfatta il suo sanpuru “tradizionale”, sullo sfondo di una casa dagli interni raffinati.

Ci metto qualche tempo per poter parlare con la commessa, il negozio è sempre pieno e la conversazione di circostanza non è un'attività da intrattenere con le cassiere, a Tokyo. Finalmente un giorno di pioggia riesco a intrufolarmi e a scambiare qualche commento, scoprendo che la stessa azienda oltre al negozio di Kappabashi gestisce uno showroom in un noto centro commerciale poco distante, ed organizza dei corsi entry level di scultura della cera. I corsi sono aperti a tutti, ma le foto che ho avuto modo di osservare e i commenti della commessa mi fanno intuire che le partecipanti siano perlopiù shufu appassionate di cucina, inoltre le insegnanti che ho potuto vedere in foto sono tutte donne, come a voler rafforzare il parallelo tra sanpuru e cucina, o ricalcare la predominanza femminile tra le scultrici di sanpuru di Gujo Hachiman presso il laboratorio aperto da Iwasaki durante la guerra (cfr. Cap.1, par. 10). A poca distanza da questo negozio, una rivenditrice e produttrice di modelli alimentari dichiara orgogliosamente che metà dello staff artigiano è composto da donne, indicando fiera una foto di gruppo, seminascosta in un angolo dietro il bancone, che immortala lei e i suoi colleghi (conversazione privata, agosto 2012).