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Dopo aver esaminato il caso Parmalat, la nostra analisi si focalizzerà su di un altro noto dissesto di un’azienda italiana. L’attenzione, ora, è volta al crack della Cirio che, con la vicenda precedentemente esaminata, condivide molti spunti comuni ma, a ben vedere, offre anche numerosi profili di divergenza che meritano di essere esaminati più approfonditamente (305).

Al fine di estendere, in questa sede, le argomentazioni e le conclusioni sopra raggiunte in ordine alla vicenda Parmalat, si procede accordando la precedenza ai tratti comuni del default delle due imprese italiane.

La vicenda Cirio condivide, col dissesto finanziario del gruppo di Collecchio, tanto la causa del crack quanto il percorso attraverso le tre fasi della complessa operazione negoziale che ha condotto al dissesto finanziario. Se ne differenzia, invece, per un peculiare modus operandi che ha influito sul tipo di sollecitazione all’investimento.

Pertanto, anche per quanto concerne il caso Cirio, la causa dello stato di decozione è da rinvenire nel malgoverno societario, nell’inerzia della Consob (306) e nella collusione tra i vertici dell’impresa ed importanti esponenti politici e di istituti di credito i quali, in maniera fin troppo disinvolta, hanno accordato ingenti prestiti all’azienda agro-alimentare.

di quanto aveva prestato alla Parmalat. Paradigmatico a questo proposito fu il bond emesso dalla banca svizzera UBS a Parmalat di 420 milioni di euro, dei quali effettivamente solo 110 milioni furono incassati, mentre i restanti 290 milioni tornarono indietro alla banca, come assicurazione in caso di insolvenza (cosa che, invero, si verificò). Le ingenti somme erogate in maniera disinvolta all’azienda Parmalat servirono anche per acquisizioni di altre società o di partecipazioni in altre società, in modo da dare l'idea che la società fosse una società finanziariamente solida e in crescita.

(305) Tra la copiosa giurisprudenza che si è occupata ex professo della vicenda, vedi ex multis,

Tribunale di Roma, sentenza 3 novembre 2009, in www.ilcaso.it; Tribunale di Genova, sentenza 15

marzo 2005, in Danno e resp., 2005, pag. 609; Tribunale di Palermo, sentenza 17 gennaio 2005, inedita; Tribunale di Taranto, sentenza 27 ottobre 2004, in Giur. Mer., 2005, pag.839; Tribunale di Venezia, sentenza 22 novembre 2004, in I contratti, 2005, pag. 5; Tribunale di Firenze, sentenza 30 maggio 2004, in Giur. Mer., 2005, pag. 839.

(306) Anche in tal caso, la Consob attivò negligentemente i suoi poteri ispettivi soltanto nel 2003,

Anche in tale vicenda, poi, le passività finanziarie sono state scaricate verso il basso e gli investitori hanno dovuto, in ultima analisi, sostenere i costi del default dell’impresa (307).

Si è accennato, però, ad una peculiarità inerente al modus operandi ed alla consequenziale collocazione dei bonds Cirio presso gli investitori istituzionali.

Infatti, l’azienda agro-alimentare operava usufruendo di un’intricata costituzione di fittizi crediti infragruppo (308). In particolare, l’emissione dei bonds avveniva in Lussemburgo, sede della holding nonché paese dalla normativa finanziaria privilegiata tanto per le modalità quanto per i limiti di importo di emissione.

La successiva collocazione sull’euromercato, attraverso offerte destinate ad investitori istituzionali, non era stata considerata dalle agenzie più qualificate proprio per i peculiari (ed agevolati) parametri finanziari in cui tali titoli erano stati emessi. Di talché, i bonds Cirio erano circolati in Italia senza essere preceduti da alcun prospetto informativo, posto che l’emittente non aveva alcun obbligo di redazione in tal senso, e senza che, a differenza dei bonds Parmalat, venisse loro assegnato un rating (internazionale).

Pertanto, in assenza di quelli che avrebbero potuto essere dei “campanelli di allarme” (309), non era più concretamente possibile accertare il grado di solvibilità dell’emittente e determinare i rischi (particolarmente elevati) dell’operazione finanziaria(310).

Il crack della Cirio è avvenuto nel novembre 2002 quando un prestito obbligazionario del valore di 150 miliardi delle vecchie lire non è stato rimborsato ed il

Trustee di Londra, l’organo deputato alla tutela degli obbligazionisti secondo il

regolamento del prestito, ha dichiarato formalmente il default del gruppo e, pochi giorni dopo, l’insolvenza di 7 emissioni Cirio, con conseguente cross default (311).

(307) FIMMANÒ, I gap di informazione cit., pagg. 403 e ss.; ONADO, I risparmiatori e la Cirio: ovvero, pelati alla meta. Storie di ordinaria spoliazione di azionisti e obbligazionisti, in Mercato concorrenza regole, 2003, pag. 500.

(308) FANTETTI, Tutela del risparmiatore cit., pag. 416.

(309) Vedi amplius, GRECO, La vendita dei corporate bond tra giurisprudenza e riforma del

risparmio, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2006, pagg. 421 e ss. che analizza, nel dettaglio, l’introduzione con la l.n. 262/05 il nuovo art. 100 bis TUF sulla sollecitazione all’investimento.

(310) FANTETTI, Tutela del risparmiatore cit., pag. 415.

(311) Per una dettagliata ricostruzione dell’intera vicenda Cirio, FIMMANÒ, I gap cit., pagg. 401 e

Forse ancora di più che nel caso Parmalat, caratterizzato dalla condotta decettiva del gruppo di Collecchio, la Consob avrebbe potuto (e dovuto) prevenire il dissesto finanziario dell’impresa.

In effetti, i “campanelli di allarme”, oltre che nella nazionalità estera della holding emittente e nell’assenza di rating internazionale, si trovavano, molto più semplicemente, nelle movimentazioni contabili dell’azienda agro-alimentare (312).

Nei bilanci del gruppo Cirio, infatti, era evidenziata, fino al 2000, un’ingente esposizione debitoria di natura bancaria mentre, dal 2000 in poi, era registrata una netta diminuzione di quest’ultima a fronte, però, di un incremento vertiginoso dell’esposizione debitoria di natura obbligazionaria.

Ciononostante, l’esame meramente formale, da parte della Consob, dei bilanci della Cirio ha permesso a quest’ultima di celare i suoi squilibri contabili agli istituti di credito che, considerando solvibile il cliente, continuavano a rifornirlo di liquidità.

Per concludere la nostra disamina sulla vicenda Cirio, si deve accennare alle successive vicende, soprattutto giudiziarie, che hanno seguito l’accertamento dello stato di decozione.

Anche in questo caso l’impresa ha beneficiato della più mite amministrazione straordinaria, in luogo della procedura fallimentare (313), ed anche in questo caso si sono instaurati, parallelamente, un procedimento civile ed uno penale – diverso, in quest’ultimo caso, rispetto alla vicenda Parmalat - a carico dei livelli apicali dell’azienda (314).

(312) FANTETTI, Tutela del risparmiatore cit., pag. 416.

(313) Nonostante l’intervento di alcuni istituti di credito con un prestito ponte di circa 25 milioni di

euro per garantire l’operatività del gruppo Cirio, su richiesta della Consob vengono resi noti i dati di fine esercizio 2002 ed emergono perdite per 144 milioni di euro ma l’indebitamento, alla fine del 2003, sfiora i 700 milioni. A metà 2003 viene presentato il piano di salvataggio degli advisors approvato dalla Consob ma non anche dall’assemblea degli azionisti che, invece, chiedono la messa in liquidazione della società. Il piano prevedeva, per ciascuna delle sette emissioni non onorate, una piccola percentuale di recupero del capitale investito e per la restante quota la conversione in azioni. Tuttavia, l’assemblea degli azionisti boccia il piano di salvataggio e chiede la liquidazione. Per gestire il rimborso delle obbligazioni Cirio viene creata ad hoc una s.r.l. dalle banche coinvolte nella vicenda dei bond Cirio, ossia Banca Intesa, Capitalia, Unicredito e Sanpaolo Imi.

(314) Nei confronti del presidente del gruppo Cirio, Sergio Cragnotti, il procedimento penale aperto

concerne la bancarotta fraudolenta impropria, la truffa e le false comunicazioni sociali. Allo stato attuale, con sentenza del Tribunale di Roma 4 luglio 2011, inedita, il patron è stato condannato a 9 anni e Cesare Geronzi, l’allora presidente di Capitalia, a 4 anni. Inoltre, l’Unicredit (che ha incorporato Capitalia), come responsabile civile, dovrà pagare 200 milioni di euro, insieme agli altri imputati, all’amministrazione straordinaria del gruppo Cirio, a titolo di risarcimento del danno alle parti civili costituitesi.