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Premesse ed oggetto dell’indagine

Il paragrafo conclusivo del presente capitolo concentra la sua analisi sui casi più eclatanti di dissesto finanziario che, a ben vedere, sono stati i motori delle recenti novelle legislative e degli ultimi arresti giurisprudenziali.

L’aspetto peculiare che ha connotato queste vicende risiede nella violazione delle regole di condotta gravanti sugli intermediari e, in particolare, i già ampiamente analizzati oneri di informazione.

Mentre nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato il sistema dei possibili rimedi ad una situazione patologica già prodottasi (rectius: l’effetto della violazione dei doveri informativi) in questo paragrafo conclusivo si vuole effettuare una considerazione finale – tanto de iure condendo quanto, soprattutto, de iure condito – sull’arsenale normativo

(283) Ibidem.

che avrebbe dovuto prevenire simili dissesti ma che, in ultimo, i fatti hanno rilevato inidoneo allo scopo prefissato.

In particolare, si vuole comprendere se il problema sia da ricercare nell’incapacità dell’attuale sistema normativo di arginare simili fenomeni di default ovvero se - a fronte di un panorama di disposizioni sufficientemente consone, le quali sulla carta non sembrerebbero presentare alcun difetto – la questione sia da ricercare, piuttosto, nell’ineffettività di tale arsenale normativo.

Prima di cercare di “distribuire” correttamente il carico di responsabilità sulla struttura e sul contenuto delle norme ovvero sull’attuazione e l’effettività, nel mercato finanziario, delle stesse, appare utile ripercorrere, seppur brevemente, le tappe storiche delle vicende di cui al titolo in epigrafe.

Non da ultimo si vedrà come la tipologia di rimedi adottata a seguito delle violazioni dei doveri informativi condizioni nuovamente, come in una sorta di circolo vizioso, la possibilità di ulteriori comportamenti illeciti da parte dell’intermediario. Per esemplificare, l’adozione incondizionata del rimedio risarcitorio - ossia la sanzione civilistica che, in questo campo, dispiega la minore efficacia general-preventiva – consentirà, in caso di una delle suddette violazioni, numerosi “annacquamenti” (dovuti soprattutto agli ostacoli di natura processuale) della responsabilità dell’intermediario che, posta la scarsa forza deterrente del rimedio adottato, potrà perpetrare le sue condotte illecite.

Ora, l’oggetto della nostra indagine sarà delimitato alla decozione delle aziende Cirio e Parmalat ed all’altrettanto noto default della Repubblica argentina.

I tre dissesti sopra evidenziati hanno, invero, dei punti di contatto e delle divergenze che non si mancherà di evidenziare al fine di porre in luce profili comuni e dissonanze.

La nostra analisi terminerà con delle considerazioni finali circa la prevedibilità di tali dissesti finanziari e, più precisamente, l’evitabilità degli stessi attraverso una normativa ad hoc o, più semplicemente, attraverso l’efficace attuazione della disciplina già in vigore.

Sin da subito, però, si vuole sottolineare il comune denominatore che ha giustificato l’unitaria trattazione di questi tre casi.

Tanto la crisi delle aziende italiane quanto il default della Repubblica argentina sono stati caratterizzati da una complessa operazione negoziale strutturata in tre passaggi fondamentali.

Nella prima fase, gli emittenti hanno realizzato una sollecitazione all’investimento con collocazione dei titoli, a scarso o nullo rendimento, presso investitori istituzionali.

Nella seconda, quella che maggiormente ci occuperà nelle pagine che seguono, gli investitori istituzionali, quasi sempre istituti di credito, hanno venduto i titoli di cui sopra ai propri clienti, scaricando dunque “verso il basso” le prevedibili passività finanziarie e trasferendo i relativi oneri economici dei dissesti ai risparmiatori.

In questa fase, tuttavia, non si transita più nel campo dell’appello al pubblico risparmio – che ha caratterizzato la fase precedente – bensì in quello del servizio di investimento in senso proprio. Invero, difettando il “pubblico” - ossia il requisito costitutivo della sollecitazione all’investimento - gli ordini individuali di acquisto effettuati dagli investitori altro non sono se non negoziazioni per conto proprio tra istituto di credito e cliente (285).

Ed è soltanto in questo stadio che ha senso il richiamo, operato dalla giurisprudenza di merito (286), all’art. 21 TUF ed agli artt. 27 e ss. reg. Consob in tema di osservanza dei doveri informativi e di condotta degli intermediari finanziari.

I rilievi che sono stati mossi agli istituti di credito - ossia all’anello intermedio della catena negoziale che lega l’emittente all’investitore - sono stati sostanzialmente tre(287): l’aver agito senza aver previamente ed adeguatamente informato l’investitore

(285) Per l’analisi di questo passaggio fondamentale, vedi amplius SANGIOVANNI, La responsabilità

dell’intermediario nel caso Cirio e la recente legge per la tutela del risparmio, in I contratti, 2006, pag. 692.

(286) Vedi note nn. 160 e 173.

(287) Li evidenziano, in particolar modo, BOMBELLI-IATO, Obbligazioni Argentina e Cirio:

responsabilità dell’istituto bancario intermediario, in Giurisprudenza di merito, 2006, pagg. 1403 e ss.;

BUFACCHI, La libertà di negoziazione nei mercati finanziari riduce il potere di vigilanza degli organi

preposti, in Guida al diritto, 2010, pagg. 14 e ss.; COTTINO, Una giurisprudenza in bilico: i casi Cirio, Parmalat, bonds argentini, in Giurisprudenza italiana, 2006, pagg. 537 e ss.; FABIANO, La negoziazione di bond e le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione dell’intermediario tra responsabilità per inadempimento e nullità del contratto, in Banca, borsa e titoli di credito, 2007, pag.

340; FANTETTI, Tutela del risparmiatore e class action. Il caso Cirio, in La responsabilità Civile, 2008,

pagg. 413 e ss.; POLIANI, Obblighi di informazioni ed acquisto di obbligazioni Parmalat, in I contratti, 2006, pagg. 14 e ss.; RUVOLO, Questioni in tema di obbligazioni argentini e rimedi contrattuali, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2007, pagg. 830 e ss.; SANGIOVANNI, La responsabilità

dell’intermediario nel caso Parmalat e la recentissima legge per la tutela del risparmio, in Le società,

2006, pagg. 607 e ss.; ID., La responsabilità dell’intermediario nel caso Cirio e la recente legge per la

circa il palese interesse sotteso alla prestazione finanziaria; il non aver osservato la

suitability rule o, in altri termini, il non aver rispettato il profilo di rischio del

risparmiatore in relazione alla tipologia di strumenti finanziari oggetto dell’ordine; il non aver previamente informato l’investitore della provenienza degli strumenti de

quibus la cui emissione, per il peculiare collocamento “istituzionale”, non era stata

previamente autorizzata dalla Consob (288); infine, l’aver spostato sui risparmiatori loro clienti ciò che, più che un naturale rischio appartenente all’alea del mercato finanziario, rappresentava una sicura perdita.

Come è facile intuire, le violazioni sopra elencate sono riconducibili allo statuto di disciplina prescritto dall’art. 21 TUF ed integrato, con fonte di rango secondario, dalle previsioni di dettaglio contenute negli artt. 27 e ss. reg. Consob.

I quattro profili sopra evidenziati, tuttavia, non sono tra loro scindibili perché, nella condotta complessivamente tenuta dalle banche, si influenzano tra di loro provocando una sinergia negativa teleologicamente rivolta a danno dell’investitore.

Si deve sottolineare, poi, come la liquidabilità del titolo nonché la qualità dell’emittente si ripercuotano inevitabilmente sull’esatta portata della best execution

rule, posto che gli ordini di negoziazione devono essere eseguiti alle condizioni più

favorevoli per i clienti (289).

Infine, nella terza ed ultima fase, lo stato di decozione degli emittenti è stato accertato, sia pur con negligente tardività, dall’autorità di vigilanza (290). Alla dichiarazione di default sono seguiti, poi, l’instaurazione di procedimenti civili e penali, a carico degli emittenti, e procedimenti civili, a carico degli intermediari finanziari, in un quadro più ampio di tutela (ormai soltanto in forma repressiva o ex post) degli investitori “traditi” (291).

La considerazione che precede – tratteggiando a grandi linee le comuni operazioni finanziarie poste in essere nelle diverse fasi illustrate – può ora essere integrata ed arricchita con le peculiarità delle singole vicende di dissesto le quali, a ben vedere,

d’interesse del lead manager e tutela risarcitoria, in Giurisprudenza Commerciale, 2007, pagg. 1252 e ss..

(288) Questo rilievo, naturalmente, non vale per la Repubblica argentina. Per le peculiarità del default che l’ha riguardata, vedi oltre il paragrafo 2.5.4.

(289) POLIANI, Obblighi di informazioni cit., pag. 20.

(290) Anche questo rilievo, naturalmente, non vale per la Repubblica argentina. Vedi nota n. 153.

(291) Per le sanzioni afflittive di natura internazionale che hanno colpito l’Argentina, vedi oltre il paragrafo 2.5.4.

presentano cause e modus procedendi dissimili e, quindi, meritevoli di essere approfonditi in sedi separate.

Nondimeno, nella trattazione che segue, si rinvierà spesso alle tre fasi del procedimento appena evidenziato posto che esso assurge a schema comune del meccanismo che ha condotto agli stati di decozione che ora si analizzeranno.