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Il caso: i mondiali di ciclismo

5. Le Regioni e l’offerta di sport: il caso della Toscana

5.3. Il caso: i mondiali di ciclismo

I mondiali di ciclismo che si sono svolti a fine settembre nei comuni di Firenze, Lucca, Montecatini e Pistoia hanno messo in luce una serie di aspetti di cui abbiamo parlato nel corso dei precedenti capitoli e che in questo caso dimostrano la necessaria sinergia per la realizzazione di un evento tra il settore pubblico, il settore profit e il mondo del volontariato. Molto rapidamente vedremo in concreto, utilizzando come esempio quanto avvenuto per questa importante manifestazione, molti degli aspetti trattati precedentemente da un punto di vista teorico.

Innanzitutto bisogna sottolineare da dove nasce la volontà di candidare la Regione Toscana come sede dei Mondiali di Ciclismo. Sicuramente un traino fondamentale, anche per la scelta effettuata dall’UCI, la Federazione Ciclistica Internazionale, è stata l’alta concentrazione di praticanti e di appassionati presenti in questa regione. Il possibile effetto richiamo esercitabile da una competizione di questo livello su un territorio già di per sé sensibile nei confronti di questa disciplina e dalla grande attenzione da sempre rivolta al cicloturismo, può aver giocato solo a favore della designazione della sede toscana.

Il connubio tra disciplina e territorio è stato messo in evidenza fin da subito ed anche il logo scelto per la manifestazione ha voluto dare risalto a questo aspetto. La bicicletta stilizzata, le colline, i cipressi e il profilo rinascimentale erano indubbiamente un modo per trasmettere un messaggio univoco che desse risalto non solo alla competizione quanto piuttosto al contesto in cui questa si inseriva. Il fatto di aspettarsi che l’evento fosse un traino per il sistema turistico locale non era dato per scontato ma dichiarato palesemente attraverso precise scelte di marketing.

Le stime previsionali elaborate dall’IRPET e riportate dal Sole 24Ore (Pieraccini, 2013) alla vigilia della partenza della competizione parlavano di un potenziale giro di affari complessivo di 423 milioni di euro, con un conseguente impatto sul prodotto interno lordo italiano di 227 milioni, la metà del quale concentrato in Regione Toscana (circa

78,2 milioni). Le stime effettuate dal’IRPET sono state elaborate sulla base di dati registrati nelle precedenti competizioni e tenevano prevalentemente conto delle maggiori entrate legate all’afflusso di visitatori, atleti e addetti ai lavori.

Al di là delle entrate legate all’afflusso dei turisti, indubbiamente l’evento ha generato investimenti legati alle infrastrutture stradali. Per l’appuntamento sono stati riasfaltati oltre 240 chilometri di strade regionali, provinciali e comunali, con conti ripartiti conseguentemente su tutti e tre livelli istituzionali.

La Regione ha investito complessivamente sull’evento 20 milioni di euro51, a cui si sono sommati oltre 12 milioni provenienti dalla casse degli altri locali coinvolti. Il Comune di Firenze aveva stimato, anche in questo caso previsionalmente, l’arrivo di circa 2 mila persone a cui sommare 1300 giornalisti, 150 fotografi accreditati, 140 emittenti televisive e circa 300 milioni di persone collegate in diretta o in differita, via tv o web. Per quanto riguarda gli atleti, i numeri del Comune dichiarano la presenza di mille atleti partecipanti a cui devono essere aggiunte 800 persone appartenenti ai rispettivi staff. Sono state inoltre 3 mila le persone coinvolte tra comitato organizzatore, staff, volontari.

Per quanto riguarda i dati consuntivi non c’è ancora alcun dato ufficializzato relativo all’impatto dell’evento sull’economia locale.

Gli unici dati per il momento diffusi dal Comune di Firenze a chiusura dei Mondiali sono quelli relativi all’impatto sulla mobilità nel corso dell’evento e dei conseguenti benefici ambientali. Secondo quanto rilevato dall’indagine è emerso che nei giorni di svolgimento dei Mondiali di ciclismo la riduzione media del traffico è stata di circa il 16% (rispetto agli stessi giorni della settimana precedente) e ciò ha comportato con un beneficio ambientale che, secondo quanto calcolato dall’Istituto di Biometeorologia di Firenze, è stato pari a – 630 t di CO2. Questo risultato è stato conseguito grazie alla chiusura di numerose arterie e al rispetto delle indicazioni impartite dagli enti locali ad usare mezzi alternativi. La speranza delle istituzioni è che queste giornate siano servite da esempio per i cittadini e che l’utilizzo di mezzi alternativi prosegua anche dopo la fine dei mondiali.

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Non si tratta in questo caso di fondi riconducibili al Piano Regionale di cui abbiamo parlato precedentemente. Tutte le iniziative/manifestazioni finanziabili attraverso quel canale di finanziamento si caratterizzano perché ritenute idonee alla promozione dell’attività motoria e si indirizzano nei confronti di associazioni o società di carattere dilettantistico.

Un altro aspetto da non sottovalutare è quello degli eventi correlati. Spesso, in concomitanza di un grande evento, che attrae un numeroso pubblico, si approfitta dell’occasione per mettere in vetrina l’indotto. Per comprendere di cosa si tratta basta prendere come esempio uno dei numerosi eventi collaterali di questi mondiali. La Mostra “2 Ruote per la Città del Futuro” è stata un’iniziativa incentrata sulla mobilità sostenibile, che ha voluto mostrare ai visitatori le eccellenze delle due ruote, come ad esempio le bici elettriche firmate Ducati Energia.

L’evento in questo caso è diventato un modo per consentire alle imprese di presentare quei prodotti che potenzialmente potrebbero interessare il target, ben definito, presente in quella specifica occasione.

In questo specifico caso la sinergia tra prodotti di eccellenza e un intervento sulla mobilità (maggior numero di piste ciclabili a disposizione, manto stradale nuovo) potrebbe andare ad incidere positivamente sulla vendita di prodotti (in questo caso le bici e altri correlati) e quindi andare a beneficio di un gran numero di aziende52.

CONCLUSIONI

Nell’estate del 2012 il CONI ha pubblicato il suo Libro Bianco che, in una prospettiva di medio periodo (l’obiettivo dichiarato è quello del 2020), dovrebbe costituire il punto di riferimento per un’auto-riforma del settore sportivo nel nostro paese. Si tratta di un documento utile a comprendere il posizionamento dell’Italia rispetto agli altri paesi, che pone particolare enfasi sugli strumenti di finanziamento ed introduce alcune stime sul valore generato complessivamente dal settore sportivo.

Probabilmente, ed è quello che questo lavoro voleva dimostrare, il sistema italiano non può essere ancora considerato maturo anche se è altrettanto evidente che non mancano buone pratiche da assumere come modello per i successivi interventi.

Le criticità riguardano innanzitutto la diffusione della pratica sportiva. Il CONI, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, ha avviato numerosi percorsi volti a far avvicinare i più piccoli allo sport, cercando di trasmettere loro i valori sociali di questa attività che però resta ancora principalmente legata al mero aspetto agonistico. Si pratica lo sport fino ai diciannove anni e poi, nel momento in cui si comprende che da quel che ragazzo non uscirà un campione, l’attività sportiva viene interrotta.

Per questo motivo gli enti pubblici e le associazioni che operano nel settore dello sport di base, dovrebbero prestare una particolare attenzione, oltre che alla promozione dell’attività sportiva in età scolare, anche alla fascia d’età considerata maggiormente a rischio abbandono. Questo potrebbe forse essere uno degli strumenti in grado di innalzare la percentuale di praticanti, andando a creare un vero sistema virtuoso che inneschi quegli effetti positivi presentati nel corso di questa tesi: un miglior benessere fisico diffuso ed una maggiore integrazione sociale.

Ma le problematiche non riguardano solamente i tassi di pratica sportiva. E’ emersa chiaramente anche la necessità di andare a rivedere il sistema di realizzazione e gestione degli impianti. Su questo aspetto in Italia si discute ormai da anni, in attesa di una legge quadro che regoli l’intero sistema, ma questa deve ancora arrivare e, nel frattempo, i nostri impianti si dimostrano incapaci di generare valore. La percentuale di impianti di proprietà privata intorno ai quali è stato sviluppato un progetto complessivo che tenga in considerazione anche gli aspetti commerciali è ancora decisamente minoritaria. L’intenzione non è in ogni caso quella di dimostrare che una proprietà e una gestione

privata siano da preferire in assoluto a quelle pubbliche, ma di prendere atto che, al momento, gli impianti presenti sul territorio nazionali, di piccole o grandi dimensioni, non hanno standard qualitativi di livello internazionale. Le criticità emerse nel corso di questo lavoro sono molteplici, ma una di quelle su cui è opportuno tornare è quella della sostenibilità. Se si considera che la maggior parte delle infrastrutture è stata realizzata a metà degli anni ’60, in un momento in cui l’attenzione rivolta agli standard ambientali era decisamente scarsa, si comprende benissimo che possono emergere frequentemente criticità relative sia ai consumi energetici, sia allo loro collocazione all’interno del tessuto urbano. In questo senso si inseriscono pertanto tutti quegli interventi pubblici volti ad incentivare l’utilizzo di fonti energetiche alternative ma anche la delocalizzazione dai centri cittadini degli impianti principali. Questo, tenendo però ben presente tutte le possibili obiezioni che possono venir mosse ogni qualvolta si va a parlare di nuove infrastrutture e relativo consumo del suolo.

Un discorso a parte meritano gli eventi sportivi, per i quali abbiamo potuto constatare che una valutazione preventiva dei costi e dei benefici sia quasi impossibile da realizzare. Di fronte ad eventi di grandi dimensioni, che comportano cospicui investimenti infrastrutturali, bisognerebbe essere in grado di valutare anche gli effetti di lungo periodo, che sono però difficili da prevedere e difficilmente verificabili a posteriori: per una misurazione di quelli che possono essere gli effetti di lungo periodo occorrerebbero anni e, soprattutto, vi sono dati impossibili da isolare. Si può misurare, per esempio, la crescita occupazionale in un’area nella quale, per l’ospitalità di un evento, è stata realizzata una nuova struttura, ma anche in questo caso quella crescita potrebbe essere determinata semplicemente da una generica ripresa economica. I risultati di breve periodo possono invece avere una loro utilità quando gli investimenti sono contenuti e pertanto anche i semplici incassi derivanti dai biglietti di ingresso e dalle maggiori entrate connesse ad una crescita delle presenze sul posto sono sufficienti a giustificare un investimento pubblico.

Quando si parla di eventi sportivi non si può non parlare dell’enorme macchina del turismo sportivo, soprattutto se stiamo analizzando la situazione del nostro Paese. Dati alla mano è evidente che la possibilità di assistere ad una competizione può spingere numerose persone a spostarsi per chilometri e a soggiornare fuori casa ma, accanto a questo tipo di turismo, che attira turisti in concomitanza di un evento, concentrati in

pochi giorni, ve ne è un altro tipo che, a partire dagli anni ’90, si è conquistato una grande attenzione: non si viaggia solo per assistere ad una manifestazione sportiva ma per praticare un’attività in prima in persona e lo si fa in tutte le stagioni dell’anno. Secondo alcune stime riportate dalla stessa Unione Europea, in occasione di una recente conferenza sull’industria sportiva, a livello mondiale si registrano tra 12 e 15 milioni di trasferimenti internazionali dettati da motivazioni di carattere sportivo.

Perché una località possa avere successo come meta dei turisti dello sport occorre ovviamente che le strutture ricettive e di accoglienza siano preparate a questo afflusso e siano in grado di offrire servizi adeguati ad una clientela con esigenze molto particolari. Il nostro paese sta negli ultimi anni puntando molto su questo aspetto, potendo sfruttare bellezze naturali e una variegata offerta territoriale. E’ però evidente che anche in questo ambito occorre intervenire in maniera strutturale attraverso, ad esempio, la messa in sicurezza dei percorsi ciclistici, di quelli pedonali o dei percorsi montani.

Nei capitoli di questo lavoro abbiamo trattato anche il ruolo del terzo settore nell’offerta di sport. Se si guarda all’intero contesto europeo, è evidente che si tratta di una componente assolutamente imprescindibile, senza la quale verrebbe meno la base dello sport. Per quanto concerne questo aspetto occorre sottolineare non solo gli innumerevoli aspetti positivi ma anche le criticità. Se da una parte il coinvolgimento della popolazione in attività di volontariato contribuisce ad un rafforzamento delle reti interpersonali con indubbi vantaggi dal punto di vista sociale, dall’altra occorre prendere atto dell’alta percentuale di lavoratori volontari sul totale, che potrebbe essere indice di una scarsa professionalità del personale addetto alla gestione amministrativa e organizzativa delle associazioni ma, soprattutto, di quello addetto alla preparazione fisica e tecnica degli sportivi. Inoltre non possiamo trascurare il fatto che spesso la decisione di configurarsi come associazione è dettata da motivazioni di carattere fiscale, senza che vi si possa riscontrare nessuna delle caratteristiche distintive della forma associativa. Per capire la consistenza del fenomeno basta pensare ai centri sportivi privati che prevedono la sottoscrizione di una quota associativa per la partecipazione alle proprie attività, quando invece il cliente (e non il socio) dovrebbe semplicemente pagare una determinata tariffa corrispondente al servizio che gli viene erogato (i corsi di fitness, le lezioni di danza di tennis).

Bisogna infine prendere in considerazione l’apporto del settore for profit. Si tratta di un segmento decisamente ampio nel quale rientrano una molteplicità di prodotti e servizi identificati attraverso la Definizione di Sport di Vilnius. Per quanto non siano stati oggetto di un’analisi specifica di questa tesi, nella quale abbiamo preso in considerazione soltanto l’offerta di sport spettacolo legata ai grandi club e ai mezzi di informazione, è indubbiamente interessante sapere che i prodotti e i servizi strumentali alla pratica generano a livello UE un valore aggiunto pari a 137 miliardi di euro. Se a questi si aggiunge il valore dei prodotti e dei servizi “a valle” si arriva complessivamente a 294 miliardi di euro.

Quello che emerge da questo quadro complessivo è la necessità di guardare lo sport come un sistema complesso. Lo sport è in grado di creare valore sia direttamente, grazie all’ingente quantità di risorse mosse per offrire servizi e beni di larga diffusione, sia indirettamente, grazie alla sua capacità di incidere su aspetti molto significativi per la vita dei cittadini e della stessa comunità.

Una gestione equilibrata dell’offerta, che chiami in causa tutti gli attori coinvolti, potrebbe effettivamente incidere positivamente sull’impatto che il settore sportivo ha sulla crescita economica e sociale, purché alla base vi sia una programmazione di lungo periodo che tenga in considerazione le esigenze di tutti gli stakeholder.

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