3.1.1. La quantità di risorse pubbliche investite nello sport
Lo sport nel nostro paese genera annualmente una ricchezza complessiva di 25 miliardi di euro e in tutti i paesi trova nelle istituzioni pubbliche importanti finanziatori e promotori, grazie all’azione congiunta del governo centrale e delle amministrazioni locali.
Secondo le stime presentate nel Vol. I dello Study on the funding of grassroots sports in
EU (Eurostrategies, 2011) i 27 stati membri spendono in media 21,5 euro a persona
all’anno per servizi connessi all’attività sportiva. Ovviamente la spesa pubblica, e quindi l’offerta di sport, declinata sottoforma di specifici programmi di educazione motoria, di promozione di un corretto stile di vita, ma soprattutto di investimenti nell’impiantistica sportiva, è ripartita sui vari livelli istituzionali.
Complessivamente lo stato italiano investe circa 2,3 miliardi di euro nel settore sportivo (ai quali possono aggiungersi stanziamenti annuali o pluriennali extra in caso di
organizzazione di manifestazioni sportive di rilievo internazionale o della presentazione di candidature).
Dei complessivi 2,3 miliardi, 450 milioni rappresentano la quota di cui si fa carico l’amministrazione centrale, mentre gli enti locali contribuiscono per i restanti 1,9 miliardi, di cui, come vedremo successivamente, 1,3 miliardi in carico a i Comuni. (CONI 2012)
Se quasi l’intera quota concessa dallo stato centrale viene trasferita al CONI, è interessante valutare su che cosa riversano gli enti locali la loro spesa.
Partendo dai bilanci regionali possiamo vedere che i loro fondi sono principalmente destinati all’impiantistica sportiva di terzi (circa il 40% del totale), che costituisce il primo capitolo di spesa in tutte le Regioni italiane, con la sola eccezione della Valle D’Aosta, della Calabria, della Sicilia e della Sardegna. In queste ultime tre, la percentuale più alta di finanziamento è riversata invece nelle casse delle Società Sportive. Un caso del tutto particolare è rappresentato dalla Regione Sardegna, dove gran parte di questa quota (nel 2011 oltre il 50% del totale delle risorse messe a disposizione per lo sport) è destinata alla sponsorizzazione della squadra di calcio del Cagliari (di cui la Regione è main sponsor). La concessione di contributi alle società sportive ed enti di promozione sportiva per lo svolgimento di attività e l’organizzazione di gare e manifestazioni sul territorio ha comunque un ruolo di primo piano in tutti i bilanci regionali. Alcune Regioni decidono invece di trasferire una parte rilevante delle risorse stanziate alle amministrazioni provinciali e ai comuni, come nel caso dell’Emilia Romagna e delle Marche.
Secondo i dati rilevati dallo Studio CONI/Censis del 2008, e riferiti ai bilanci 2006 e 2007, le Regioni hanno stanziato per lo sport delle cifre che variano (anno 2007) dagli oltre 5 euro per cittadino della Regione Veneto, agli 0,3 euro per cittadino stanziati invece dalla Regione Calabria.
Tra queste Regioni ve ne sono infine alcune che prevedono risorse da destinare allo sport provenienti da capitoli di spesa non strettamente legati a questo settore: è il caso degli Assessorati Regionali alla Sanità, all’Istruzione, all’Ambiente, oppure delle risorse direttamente connesse alla Presidenza.
Per quanto riguarda le Province, le cifre gestite dagli Assessorati allo Sport sono irrisorie. Nel 2005 il totale degli stanziamenti non arrivava complessivamente ai 90
milioni di euro, cifra da cui però sono già scorporati gli investimenti pubblici riconducibili al capitolo del turismo.
Per quanto concerne la spesa dei comuni per sport e attività ricreative, nel 2005 questa era di circa 1,9 miliardi36. Le risorse annualmente stanziate, per i noti problemi di bilancio a cui hanno dovuto fa fronte in questi anni le amministrazioni locali, sono però andate progressivamente riducendosi arrivando agli appena 1,3 miliardi del 201137. Per quanto concerne invece la loro destinazione, gran parte di queste risorse (circa il 50% del totale) viene investita nelle gestione di piccoli e grandi impianti sportivi di cui i Comuni detengono la proprietà.
E’invece lo stesso CONI ad amministrare e a decidere la distribuzione dei 450 milioni che lo stato gli trasferisce ogni anno. Nel cercare di comprendere le modalità di distribuzione del finanziamento, ciò che appare più complicato è determinare le percentuali destinate all’attività sportiva di alto livello e quelle destinate invece allo sport di base. La quota maggiore dei contributi statali viene indirizzata direttamente e indirettamente38 alle Federazioni Sportive Nazionali che ripartiscono le loro risorse complessive (comprese quelle derivanti da altre fonti di finanziamento) tra attività olimpica - di alto livello e attività di base. Una parte minore viene invece distribuita agli enti sportivi (Enti di Promozione Sportiva, Discipline Sportive Associate, Forze Armate) che si occupano anche esse della preparazione degli atleti di alto livello e della promozione dello sport di base. Un’altra parte delle risorse viene riservata ai comitati territoriali, che con il budget a loro disposizione finanziamo progetti di promozione sportiva sul territorio e progetti di attività motoria di base (Giocosport - Alfabetizzazione motoria).
3.1.2. Il fallimento del mercato e i motivi dell’intervento pubblico
L’intervento pubblico in economia è generalmente dettato dalla presenza di un fallimento del mercato. Lo Stato, o altri enti pubblici preposti, intervengono nel momento in cui il mercato non garantisce il raggiungimento di risultati efficienti e questo avviene quando non ci troviamo in un contesto di concorrenza perfetta. Vi sono
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molteplici fattori che determinano l’assenza di concorrenza perfetta e di conseguenza un fallimento del mercato. Occorre innanzitutto considerare se i beni che costituiscono quel mercato sono beni privati oppure beni pubblici, se si è in una condizione di informazione completa, se il consumo di quei determinati beni, offerti nello specifico mercato di cui si tratta, generano delle esternalità positive o negative ed infine se i benefici (o le conseguenze negative) generate dal suo consumo, vanno a ricadere su soggetti terzi rispetto a chi ha pagato per questo.
Avendo in precedenza dimostrato la consistenza dell’intervento pubblico sul mercato dello sport, c’è da chiedersi quali elementi rendono necessario questo intervento. E’ pertanto inevitabile partire ancora una volta dall’analisi dello sport come bene economico, cercando di comprendere le sue caratteristiche.
Bisogna inoltre mettere in evidenza, come visto anche dalla destinazione delle risorse che i vari enti pubblici mettono a disposizione dello sport, che l’intervento pubblico è indirizzato su più versanti: dallo sport di base e nelle scuole, passando per la preparazione degli atleti di alto livello, arrivando all’impiantistica sportiva e all’organizzazione dei grandi eventi sportivi. La scelta di destinare risorse a ciascuno di questi settori trova ovviamente delle specifiche giustificazioni economiche e sociali che sono state verificate soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
Secondo numerosi autori che hanno nel passato analizzato le dinamiche di questo mercato, lo sport può essere considerato un bene pubblico. Coe, in uno studio condotto nel 1985 (citato in Gratton e Taylor, 2000), cercò di dimostrare al governo britannico la necessità di un sostegno pubblico allo sport nazionale in concomitanza dell’avvicinarsi dell’appuntamento olimpico del 1988. L’argomentazione poggiava le basi sul fatto che i successi di una nazione in ambito sportivo avrebbero avuto le caratteristiche tipiche di un bene pubblico: la non rivalità e la non escludibilità. Con non rivalità si intende infatti che il costo marginale derivante dalla fruizione del bene da parte di un individuo addizionale è pari a zero. Con non escludibilità si intende invece l’impossibilità di escludere qualcuno dal beneficio arrecato da questo bene (Stiglitz, 2007). Sotto i riflettori nell’analisi di Coe vi sono le benefiche conseguenze sull’intera popolazione di un eventuale successo degli atleti della propria nazione in una competizione internazionale di alto livello.
I successi nello sport hanno infatti la capacità di far salire il morale di una nazione e allo stesso tempo costituiscono un modello da seguire, un incentivo all’imitazione per i più giovani. Il cittadino sarebbe però spinto a comportarsi da free rider, non sostenendo in prima persona le spese per un bene del quale potrebbe comunque godere. Per questo motivo si rende necessario l’intervento pubblico a sostegno dell’attività sportiva di alto livello, finanziato attraverso un adeguato sistema di tassazione.
L’attività sportiva, a seconda di come la si consideri, presenta ulteriori caratteristiche che giustificano l’intervento pubblico su questo mercato. Un altro aspetto da tenere in debita considerazione, se si prende in esame la pratica sportiva a livello base, sono infatti le positive esternalità che questa genera soprattutto a livello sociale ed economico. Ed è proprio la consapevolezza della presenza di esternalità positive che spinge lo Stato ad intervenire, affinché la quantità domandata di sport sia superiore alla quantità domandata che si stabilirebbe lasciando il mercato libero di agire. Lo schema riportato di seguito mostra una curva di domanda privata (Dp) determinata dalla quantità di sport richiesta in corrispondenza di ogni livello di prezzo. La quantità privata di sport domandato, tenendo in considerazione il punto di incontro tra domanda individuale ed offerta (S), corrisponderebbe a Qp. Ben più alto risulta però essere, in corrispondenza di ogni prezzo, il livello della domanda sociale (Ds), che incontra infatti la curva dell’offerta in corrispondenza di Qs. E’ importante che gli enti pubblici tengano in debita considerazione proprio il livello della domanda sociale (piuttosto che il livello di quella individuale), poiché questa com
prende una valutazione di tutte le esternalità positive che il consumo del bene genera. A questo punto lo Stato, per garantire che la quantità individuale di sport domandato si stabilisca al livello di Qs, interviene sul mercato erogando contributi che determinano un abbassamento della curva di offerta (raffigurata dalla retta Sn). L’incontro della curva della domanda individuale e della nuova curva di offerta sarà in corrispondenza della quantità Qs. Grazie all’intervento pubblico gli individui potranno, pagando lo stesso prezzo, godere di una quantità maggiore del bene sport.
Fig. 4: Descrizione del Sistema Sportivo Europeo – Ruolo Pubblico/Impatto dello Sport nel Benessere Sociale
P
Q
L’ente pubblico può in questa circostanza andare ad agire su entrambi i versanti, da una parte concedere dei sussidi ai praticanti in modo da aumentare il potere di acquisto e quindi far aumentare la domanda in corrispondenza dei vari livelli di prezzo, dall’altra agire dal lato dell’offerta abbassando la curva grazie a contributi monetari o in natura (ad esempio attraverso la concessione di impianti sportivi a prezzi agevolati).
Tra le esternalità positive generate dalla diffusione delle pratica sportiva, e che sicuramente va ad incidere sulla scelta dell’allocazione delle risorse pubbliche, vi è indubbiamente la sua capacità di creare capitale sociale; un elemento non trascurabile dal momento che numerosi studi hanno dimostrato la stretta correlazione tra alti livelli di capitale sociale e crescita economica (Fiorillo, 2004). Lo sport, e più precisamente il numero dei praticanti in un determinato territorio, è uno dei parametri che viene valutato in alcuni studi (tra i quali: Forni e Paba, 2000) proprio nella misurazione del capitale sociale. Si tratta di un aspetto strettamente legato al fenomeno del volontariato e su cui pertanto torneremo nei successivi paragrafi.
Infine dobbiamo prendere in considerazione anche la possibilità di classificare lo sport come bene meritorio. I beni meritori sono quei beni che lo Stato obbliga ad utilizzare poiché ritiene che il loro utilizzo possa evitare all’individuo delle conseguenze negative (tra queste si ricordano comunemente le cinture di sicurezza e i caschi per i motociclisti). Anche se la collocazione dello sport tra i beni meritori non è automatica, la si può comprendere facendo riferimento ai benefici sulla salute che una pratica sportiva costante può portate. Non ci sono infatti dubbi su i suoi effetti positivi, con
S Sn Dp Ds 0 Qp Qs
incidenze che variano a seconda della fascia di età, ed in relazione a specifiche patologie(Gratton e Taylor, 2000). Vi sarebbe una stretta correlazione che sussiste tra pratica sportiva e prevenzione di problematiche cardiache, di alcune diffuse forme tumorali e diabetiche.
E’ pertanto nell’ambito della prevenzione che vanno ad inserirsi tutte le campagne che promuovono uno stile di vita attivo e una sana alimentazione. Se si pensa all’obbligatorietà delle ore di attività motoria di base nelle scuole primarie possiamo in qualche modo comprendere come questa imposizione scaturisca dalla volontà dell’istituzione pubblica di mettere a disposizione dell’individuo le corrette informazioni, educandolo e scoraggiandone la sedentarietà.
Per le istituzioni pubbliche si tratta di una missione tesa a migliorare il benessere collettivo ma portata avanti anche con l’obiettivo di agire in senso ridistributivo, permettendo a tutta lo popolazione di avere le informazioni e le conoscenze necessarie per poter godere del suo diritto alla salute.
Se la correlazione tra attività fisica (che non comporta necessariamente la sua strutturazione e tantomeno l’aspetto agonistico dello sport) e gli effetti positivi sulla salute dell’individuo, è comprovata da varie analisi, allo stesso modo risulta assai più complesso andare a dimostrare il risparmio effettivo per le finanze pubbliche, il rendimento economico di un investimento nel settore. Così come rilevato dal CERTet dell’Università Bocconi (Senn, 2013), in uno studio sul beneficio sociale indotto dall’attività sportiva:
la relazione tra spesa sanitaria complessiva e attività sportive non è stata ancora indagata in modo esaustivo, nè esistono evidenze che possono derivare una relazione di tipo causale tra le due grandezze. A livello macro, infatti, la spesa sanitaria e la propensione degli individui a fare sport non presenta relazioni: entrambe hanno un andamento crescente nel tempo e la spesa sanitaria cresce più della propensione all’attività sportiva. Le cause possono essere molteplici. Innanzitutto la multicausalità di alcuni fattori di rischio che conducono a malattie croniche (ipertensione, massa muscolare, ecc) […]. Inoltre, se è accertato che grazie all’attività fisica si riduce la probabilità di morte e anche il numero di anni vissuti in non piena salute, questo comporta una longevità maggiore di persone che convivono con le malattie croniche (a cui si associano costi per la cura) e che
correlate che altrimenti non avrebbero sperimentato, comportando costi addizionali al sistema sanitario.
Se fino a questo momento abbiamo preso in considerazione i motivi alla base di un intervento pubblico teso a incentivare la pratica sportiva, analoga analisi deve essere condotta relativamente all’impegno pubblico profuso nell’organizzazione di piccole, medie e grandi manifestazioni sportive. Questo argomento, come vedremo, è strettamente connesso a quello del turismo sportivo, che tratteremo successivamente; per il momento ci preme però chiarire quali sono i motivi che spingono sia le autorità locali che quelle nazionali ad investire il denaro dei contribuenti nell’organizzazione di eventi sportivi. Alla base di queste scelte ci sono sempre considerazioni basate sul positivo impatto economico, talvolta fondate, altre volte evidentemente sovrastimate. A tal proposito risulta interessante andare a vedere quanto successo in Gran Bretagna a partire dai primi anni Novanta. Con il declino dell’industria pesante molte amministrazioni decisero di puntare sul settore sportivo nel tentativo di riqualificare e dare una nuova immagine alle città. Gratton (2004) riporta come esempio principale della sua indagine quello di Sheffield, che nel 1991 ospitò i Giochi Olimpici Studenteschi: Sheffield, città non certo conosciuta come metà turistica fu una delle prime che cercò di utilizzare lo sport nel tentativo di attirare visitatori e, di conseguenza, nuove opportunità occupazionali.
In concomitanza di ogni previsione di investimento relativa all’organizzazione di un evento sportivo, vengono proposte motivazioni di tipo economico, pur senza avere, nella maggior parte dei casi, la possibilità di effettuare preventivamente delle stime precise dello stesso ritorno economico. Gli elementi chiave a favore di un sostegno economico pubblico riguardano gli effetti sia di breve che di lungo periodo. I primi sono sicuramente più facili da misurare, poiché tengono in considerazione l’afflusso di visitatori nella città ospitante e le maggiori entrate relativamente al periodo di durata dell’evento (Stewart, 2009). Più complicata risulta invece l’estrapolazione di dati di lungo periodo, basti pensare alla possibilità di sfruttare l’evento per riavviare
una riqualificazione urbana con ripercussioni positive sia a livello sociale39 che ambientale e di poter utilizzare le infrastrutture anche dopo la chiusura dell’evento. In un documento del National Heritage Commitee del 1995 si sottolineò che:
una volta che ha avuto luogo la riqualificazione urbana, l’esistenza di strutture di alta qualità ha reso la città capace di attrarre altri eventi sportivi. L’impatto tuttavia non termina qui. Molte strutture possono avere altre destinazioni, potranno essere utilizzabili, ad esempio, per conferenze e concerti. Inoltre, la positiva pubblicità che porterà un evento di successo potrà incrementare l’attrattiva della città, migliorare la reputazione all’estero e di conseguenza incrementare il numero di turisti.
Per quanto sia largamente condivisa l’opinione che per valutare le conseguenze positive o negative di un evento occorre tenere in considerazione anche gli effetti di lungo periodo, la maggior parte degli studi si concentrano però sul breve periodo, dando così maggior peso ai benefici (e alle criticità) che insistono su un territorio abbastanza limitato. Bisognerebbe pertanto, nel tentativo di giustificare gli investimenti pubblici in questo ambito, fare una distinzione su quale sia il livello istituzionale maggiormente coinvolto nell’organizzazione: per le istituzioni locali sarebbe infatti sicuramente più facile dimostrare ai propri cittadini un possibile ritorno dell’investimento effettuato; più complicato sarebbe invece dimostrare benefici su un territorio più ampio. E’ comunque vero che nella valutazione dei benefici deve rientrare anche quella dei costi non monetari che incidono sul territorio interessato: dal maggior inquinamento ai problemi legati alla sicurezza.
Se si pensa alle numerose polemiche innescate ogniqualvolta una città decide di presentare la propria candidatura per ospitare un grande evento sportivo, si capisce chiaramente quanto sia alta la difficoltà di avere dati incontrovertibili sulla resa di questi grandi eventi. Senza approfondire il tema, che meriterebbe una trattazione a parte, è bene avere sempre presente che ogni evento sportivo (anche di medie dimensioni) necessita del supporto pubblico. Anche laddove l’investimento non è diretto, vi è in ogni caso un coinvolgimento che interessa settori strategici quali la viabilità, i trasporti pubblici, la sicurezza e la sanità. Il territorio deve essere pertanto in grado di sfruttare
questa opportunità, resa ancora più rilevante dalla possibile visibilità mediatica, e di utilizzarla come uno dei migliori strumenti di marketing territoriale a sua disposizione (Cherubini e al. 2010) .
3.1.3. L’impiantistica sportiva
Parlando di impiantistica sportiva non si deve pensare unicamente alle grandi strutture (magari realizzate proprio in concomitanza con lo svolgimento di qualche evento) ma avere in mente un’idea molto ampia di ciò cui stiamo parlando. Proprio per questo motivo, all’interno del paragrafo relativo all’intervento pubblico in materia di sport, non può mancare un riferimento alla parte infrastrutturale dell’offerta sportiva. Dai dati mostrati precedentemente risulta infatti molto chiaro il ruolo di primo piano svolto dagli enti pubblici e il loro impegno in termini di risorse destinate sia realizzazione che alla manutenzione dell’impiantistica sportiva disseminata sul territorio nazionale. Secondo i rilevamenti dello CNEL (2005), basati su indagini risalenti però al 2003, il 55% degli spazi dedicati allo sport è di proprietà pubblica, mentre (tolta una piccola percentuale di proprietari non identificati dallo studio) il restante 41% risultava di proprietà di privati. La particolarità della situazione italiana in relazione alla proprietà degli impianti sportivi può essere messa in evidenza soprattutto facendo riferimento ai grandi impianti cittadini. Se negli altri paesi europei si è andata progressivamente sviluppando la convinzione che lo stadio o il palazzetto devono essere dei poli multifunzionali capaci di attrarre anche prima e dopo l’evento sportivo, questo non è certo avvenuto in Italia. In molti paesi europei, nonostante le agevolazioni e i contributi pubblici, i principali centri sportivi sono di proprietà delle stesse società che hanno avuto in questi anni la possibilità di sfruttate al massimo il potenziale del loro investimento. Attorno e all’interno dei principali stadi sono cresciuti centri congressi, aree ristoro, veri e propri centri commerciali. E’ il caso, solo per citarne alcuni, dell’Amsterdam Arena, dell’Allianz Arena Monaco di Baviera e dell’Old Trafford di Manchester. Quelli elencati sono tutti esempi di impianti su cui le stesse società sportive hanno potuto investire ingenti risorse proprie sfruttando tutte le potenzialità che un immobile di questo tipo può offrire (basti pensare alle infrastrutture presenti in prossimità di un impianto di questo tipo: strade, parcheggi, collegamenti ferroviari, linee metropolitane).
Nel nostro paese, ad eccezione del caso isolato dello Juventus Stadium di Torino40, tutto