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Il rapporto tra sport professionistico e media

Il Libro Bianco dello Sport pubblicato dal CONI nel 2012 rileva che le famiglie italiane spendono oltre 2.2 miliardi di euro all’anno per abbonamenti televisivi, giornali, DVD a tema sportivo.

Altrettanto significativi possono essere anche alcuni numeri relativi alla sola carta stampata. Andando a confrontare le tirature dei quotidiani possiamo infatti renderci conto sia dell’importanza sia del valore, in termini di quote di mercato, dei quotidiani che trattano specificatamente lo sport. Secondo quanto riportato dalla Federazione Italiana Editori Giornali (2013), La Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport e Tutto Sport hanno tirature, seppur variabili a seconda dei giorni della settimana, con picchi di vendita il lunedì, in linea con i dieci maggiori quotidiani nazionali. Per fare un esempio numerico, a fronte delle oltre 472 mila copie giornaliere del Corriere della Sera e delle oltre 455 mila di Repubblica, l’edizione del Lunedì della Gazzetta dello Sport supera le 346 mila copie vendute, che si riducono a circa 300 mila negli altri giorni della settimana. Nel 2008 il Rapporto Sport–Società elaborato da Coni–Censis, evidenziava che la quota di mercato dei quotidiani sportivi era pari al 15% del totale dei quotidiani venduti in Italia, con oltre 250 milioni di copie vendute.

Per quanto concerne la televisione, non si può che constatare la sempre maggiore capillarità delle trasmissioni a tema sportivo. Se le tv generaliste hanno continuato a concentrarsi su alcuni tipi di discipline sportive (quelle più popolari), le pay per view o

pay TV hanno cercato di differenziarsi grazie ad un tipo programmazione più ampio e

maggiormente personalizzabile da parte dello spettatore, che può scegliere tra un ampio ventaglio di eventi in contemporanea (Cherubini ed al. 2000).

Il rapporto tra i vari mezzi di comunicazione e il mondo dello sport ha radici profonde e si deve all’avvento dei mezzi di comunicazione di massa la progressiva e sempre maggiore spettacolarizzazione degli eventi. I ritmi televisivi hanno dettato i tempi delle stesse manifestazioni, con modifiche che hanno riguardato anche gli orari di svolgimento delle competizioni. Inoltre le scelte televisive hanno contribuito a rendere popolari alcune discipline e a decretare l’impopolarità di altre. Ma, più di ogni altra cosa, l’interesse dei media, ed in particolare delle televisioni, ha portato ad una modifica dell’evento sportivo, non solo dal punto di vista estetico e tecnologico, ma soprattutto dal punto di vista economico, contribuendo ad una rapida crescita delle sponsorizzazioni (Whannel, 2009).

Nel momento in cui si analizza il rapporto tra sport e media occorre considerare questi ultimi sotto un duplice aspetto. Da una parte possono essere visti come finanziatori che, come abbiamo annotato nel paragrafo precedente, consentono alle società professionistiche di sopravvivere, sia grazie ai finanziamenti diretti legati all’acquisto dei diritti televisivi, sia indirettamente, essendo gli artefici del coinvolgimento degli sponsor. Dall’altra non possiamo che considerarli attori primari dell’offerta sportiva, in grado di offrire l’evento anche a chi non può parteciparvi come spettatore dal vivo. Prima di addentrarci nelle specificità relative alla vendita, all’acquisto, alla gestione dei diritti televisivi è importante sottolineare quanto l’interesse dei media abbia inciso non solo sotto un profilo strettamente economico ma anche sociologico e culturale, andando ad incrementare il divario esistente tra lo sport professionistico di elite, lo sport professionistico non-televisivo e lo sport amatoriale. A ciò si va ad aggiungere un’altra conseguenza non trascurabile: la progressiva scomparsa di quei legami campanilistici, legati ad una territorialità a piccolo raggio (la squadra della città, della Regione) e il graduale consolidarsi dello spirito nazionalista legato ai grandi eventi sportivi (Olimpiadi, Mondiali) (Whannel 2009).

Quando si parla di media e sport, l’intero argomento è ancora inevitabilmente sbilanciato a favore delle televisioni, considerate attualmente il principale veicolo di diffusione dello sport, in grado, con l’avvento del digitale, di rendere lo spettatore maggiormente partecipe dell’evento sportivo.

L’interesse dello spettatore nei confronti dello spettacolo sportivo e la sua convinzione che la manifestazione a cui assiste sia un qualcosa di unico e non sostituibile, ha reso le trasmissioni di eventi sportivi «un driver fondamentale per l’acquisizione di rilevanti quote di audience, che gli editori sia FTA-TV che pay TV, inseriscono all’interno dei propri palinsesti» (Preta, 2012). La possibilità di trasmettere l’evento diventa infatti un importante elemento distintivo tra un’emittente televisiva e l’altra, andando a costituire un indiscutibile elemento di forza, non solo nei confronti dei telespettatori ma anche degli sponsor. L’acquisizione dei diritti di trasmissioni degli eventi più seguiti consente infatti di aggiudicarsi uno share superiore alla media nazionale e qualificato (uomini dai sedici anni in su) e, di conseguenza, di vendere spazi televisivi a prezzo elevato (Cherubini e Canigiani, 2000).

Bisogna tuttavia sottolineare che l’attenzione del pubblico televisivo per l’evento sportivo non è distribuita in modo omogeneo su tutte le discipline e non è la medesima per ogni manifestazione sportiva. Se in Europa il ruolo dominante è svolto indiscutibilmente dal calcio, negli Stati Uniti lo scettro spetta a Basket, Football Americano, Baseball e Hockey su ghiaccio. A queste discipline si aggiungono poi le grandi manifestazioni sportive internazionali come le Olimpiadi o i Mondiali delle discipline più seguite (Calcio, Atletica, etc). Per queste il prezzo di acquisto dei diritti di trasmissione è cresciuto a dismisura negli ultimi quindici anni. Le emittenti non hanno infatti avuto alcuna difficoltà a sostenere questo straordinario sforzo economico ripagate abbondantemente dai ricavi derivanti dagli sponsor, oltre che, nel caso delle Pay TV, dalla sottoscrizione dei pacchetti (Gratton ed al., 2012). Non dimentichiamo però che per alcuni sport o manifestazioni, la conquista di uno spazio TV ha addirittura un costo. La disciplina relativa alla vendita dei diritti televisivi varia a seconda dei paesi e a seconda del tipo di competizione. Nel caso del più grande evento sportivo mondiale, le Olimpiadi, sia invernali che estive, a detenere in maniera assoluta il potere di vendita e di contrattazione dei diritti di trasmissione dell’evento è il Comitato Olimpico Internazionale. Per quanto concerne le Olimpiadi l’interesse dello stesso CIO, nella

pienezza dello spirito che contraddistingue questa competizione, è quello di riuscire a raggiungere un più largo pubblico possibile. Con l’avvento della tecnologia digitale e di strumentazioni sempre più all’avanguardia, questo obiettivo è diventato sicuramente più facile da perseguire. Ogni emittente che si aggiudica per il proprio paese i diritti di trasmissione ha infatti ora la possibilità di personalizzare gran parte del palinsesto, andando a scegliere gli atleti e le discipline maggiormente seguite dal proprio bacino di utenza. Per capire la consistenza economica del fenomeno basta andare a guardare le cifre relative alle ultime edizioni olimpiche: dal 1992 (Olimpiadi di Barcellona) al 2008 (Olimpiadi di Pechino) le entrate derivanti dalla vendita dei diritti di trasmissione sono più che triplicate passando dagli oltre 630 milioni di dollari a ben oltre 1 miliardo. A tal proposito è interessante andare a constatare anche il rilievo di questo tipo di entrate rispetto a quello derivante da altre fonti. Prendendo in considerazione il periodo 1993- 2008, risulta che il 47% dei ricavi sia derivato proprio dalla vendita dei diritti di trasmissione, mentre una percentuale minore (rispettivamente il 37% e il 14% ) da sponsorizzazioni e biglietti di ingresso (Gratton ed al. 2012).

Complessivamente, e anche in questo caso si parla di stime riferite al 2008, il valore generato dalla vendita dei diritti televisivi all’interno dell’EU 27 è stato di 5 miliardi di euro; la parte più consistente dei quali è riconducibile ad eventi calcistici (sia campionati nazionali che coppe europee) (Eurostrategies, 2011).

4.2.1. Diritti televisivi e competitive balance: la situazione italiana

Tornando ad analizzare quanto avviene nel nostro Paese per capire le dinamiche del mercato dei diritti televisivi occorre partire dal contesto giuridico nel quale la loro vendita va a collocarsi e dal motivo di una così elevata attenzione rivolta alla tutela dei diritti di trasmissione e alla loro esclusività. In relazione a quest’ultimo aspetto è necessario fissare preliminarmente le caratteristiche dell’evento sportivo:

il bene evento sportivo nasce nel momento stesso in cui si disputa la gara e termina con il finire della stessa […]. Da qui la sua concentrazione nella predefinita unità spazio temporale, l’irripetibilità e l’unicità ontologica: trattasi di un bene infungibile, specifico e non generico, indivisibile. Questa sua peculiarità lo rende sfruttabile economicamente nella

sua dimensione naturale soltanto nel momento stesso della sua creazione, ciò che avviene tramite la vendita dei biglietti e la trasmissione in diretta (Di Nella, 2010)

Trovandoci di fronte ad un bene, il cui valore decade nell’istante stesso in cui prende forma, si comprende il motivo alla base della tutela di tutti i suoi aspetti.

Per quanto concerne la legislazione italiana in materia, l’attuale normativa in vigore risale al 2008 quando, con il d.lgs. n. 9, il legislatore ha inteso, ancora una volta sulla scia di quanto stava avvenendo in ambito calcistico, di cercare gli strumenti più opportuni affinché fosse garantito un certo equilibrio competitivo.

Pertanto, dopo un periodo in cui era rimasto in vigore un sistema misto di vendita dei diritti radiotelevisivi, a partire dalla stagione 2010/2011 l’Italia è tornata alla vendita e alla proprietà centralizzata, nel tentativo di produrre una più equa ripartizione delle risorse. E’ la stessa legge delega (luglio 2007, n. 106) che fissa con l’articolo 1 l’obiettivo di creare una situazione in grado di «garantire l'equilibrio competitivo dei soggetti partecipanti alle competizioni sportive».

Oggetto della regolamentazione del decreto legislativo sono «i diritti audiovisivi degli eventi sportivi di campionati, coppe e tornei professionistici a squadre e delle correlate manifestazioni sportive, organizzati a livello nazionale (art.1 d.lgs. 9/2008)». Un’ulteriore enfasi sulla necessità di operare in senso redistributivo è fissata nello stesso articolo 1, dove si precisa che le disposizioni contenute dovranno prevedere la destinazione di «una quota di tale risorse a fini di mutualità».

Un altro punto chiave è quello della attribuzione «dell’esercizio dei diritti audiovisivi», che il decreto legislativo conferisce all’organizzatore della competizione, ossia, come definito nello stesso testo normativo al «soggetto cui e' demandata o delegata l'organizzazione della competizione da parte della federazione sportiva riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, competente per la rispettiva disciplina sportiva»44.

A questo punto occorre comprendere il motivo di una tale rilevanza attribuita al potere di riequilibrio che dovrebbe avere una vendita di tipo centralizzato dei diritti televisivi. Alla base di questa teoria ci sono una serie di studi condotti negli Stati Uniti ed in

       44

Nel caso del campionato italiano, come visto nel primo capitolo di questo lavoro, le responsabilità relativa all’organizzazione delle manifestazioni, inclusi i campionati, sono spesso affidate alle Leghe. E’ il caso del calcio ma anche del Basket o della Pallavolo.

Inghilterra tesi a dimostrare l’esistenza di un legame tra condizioni di equilibrio all’interno di ogni campionato, equità delle risorse a disposizione dei club e un conseguente maggiore interesse suscitato dalla stessa competizione.

La disputa sull’equilibrio competitivo nasce ben prima che si imponesse con forza la questione dei diritti televisivi. Il già citato Neale (1964) fu uno dei precursori di questa teoria tesa a dimostrare che l’equilibrio tra i contendenti costituiva un elemento imprescindibile all’interno delle Leghe Professionistiche, senza il quale l’interesse degli spettatori sarebbe progressivamente andato a scemare e, di conseguenza, sarebbero diminuiti anche gli incassi derivanti, allora, dalla sola vendita dei biglietti per assistere dal vivo allo spettacolo.

Partendo proprio dalle posizioni di Neale numerosi studiosi hanno cercato di verificare questa teoria analizzando innanzitutto il rapporto tra affluenza negli stadi e equilibrio del match e successivamente tra questo e i diversi indici di audience televisiva.

Se prima dell’avvento delle televisioni e delle dirette, il problema era circoscritto alle presenza fisica di spettatori negli stadi e nei palazzetti, ora la questione assume connotati sicuramente più significativi dal punto di vista economico.

Stefan Szymanski (2001, 2003) ha proposto, nei suoi numerosi studi sull’argomento, una differenzazione delle preferenze tra il pubblico pagante, che assiste all’evento di persona, e gli spettatori televisivi. Gli studi empirici da lui condotti e i dati rilevati hanno effettivamente confermato l’esistenza di una sostanziale differenza tra i due tipi di pubblico. Se coloro che vanno allo stadio possono essere persino scoraggiati dall’idea di dover assistere ad incontri equilibrati, al contrario, il pubblico televisivo dimostra un maggior interesse proprio per questo tipo di match. A muovere il pubblico da stadio è nella maggior parte dei casi il legame con la squadra o l’atleta del posto: ci si sposta per seguire un evento perché si vuole vedere la vittoria della propria parte. Il pubblico televisivo si configura, al contrario, per una maggiore attenzione nei confronti della qualità del match.

La lunga disputa sui diritti televisivi, tra grandi club calcistici e i club provinciali, nasce proprio dalla difficoltà di capire se effettivamente l’interesse del pubblico è mosso più dalla presenza di grandi squadre con grandi campioni, piuttosto che da una maggiore competitività dell’intero campionato.

Numerosi autori hanno cercato di applicare le analisi sulla competitive balance anche al caso italiano, nel tentativo di dare credito o, al contrario, mettere in evidenza l’eccessiva enfasi posta su questo aspetto dalla legislazione vigente. Di Domizio (2010), prendendo in considerazione i dati audience ed una serie di variabili che tendenzialmente dovrebbero incidere sull’appeal delle partite di calcio di serie A (tra i quali: il giorno, l’orario di svolgimento, la presenza di super star e l’equilibrio, supposto, del match) è giunto alla conclusione che, per quanto esista una relazione positiva tra dati share e ed equilibrio della competizione (closeness of the game), questa non è particolarmente significativa. Non può pertanto, almeno riferendoci al caso italiano, essere attributo un eccessivo valore commerciale all’equilibrio competitivo, probabilmente a causa di una forte presenza di tifosi committed (Pierini 2011), ancora attirati dalla presenza in campo della propria squadra, a prescindere da quello che potrebbe essere l’andamento della partita o il risultato conseguibile al termine del match.

4.3. Il Turismo sportivo

Quando si parla di turismo sportivo si pensa ad un fenomeno tipicamente attuale e moderno, eppure la pratica di prendersi cura di se stessi, fruire di percorsi benessere e termali, partecipare ad eventi sportivi, affonda le sue radici in un passato non recente. Solo nell’ultimo ventennio, però, le ricerche nel campo hanno consentito una conoscenza più approfondita dei due singoli segmenti e del profondo legame che unisce lo sport al turismo e viceversa.

Innanzitutto, vista l’ampiezza del fenomeno, si è reso necessario porre dei limiti a cosa di intende per turismo sportivo. Solitamente si può parlare di turismo quando si intraprende un viaggio pernottando almeno un giorno fuori dalla propria dimora di residenza (anche se su questo ultimo punto le opinioni sono alquanto discordanti, dal momento che anche lo spostamento dalla propria città per un giorno può presentare certe caratteristiche assimilabili) (Capocchi, 2006). Il turismo sportivo si definisce tale, invece, quando la motivazione che spinge ad intraprendere il viaggio è proprio lo sport, sia che sia si tratti di assistere a qualche manifestazione sportiva sia che si decida di praticare sport. Il turista sportivo è pertanto quel turista che non si sarebbe spostato, non