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Il mercato dello sport: un'analisi dell'offerta

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione 3

Cap. 1 Il quadro normativo 10

1.1 Il processo di affermazione dello sport e delle politiche sportive a livello europeo

10

1.1.1 Il libro Bianco sullo Sport e i documenti successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona

13

1.2 La struttura del sistema sportivo italiano 16

1.3 Le competenze regionali in materia di Sport 21

Cap. 2 Lo sport come bene economico 26

2.1 La domanda di sport 29

2.1.1 La domanda di sport in cifre 29

2.2.2 Le caratteristiche della domanda 34

Cap. 3 L’offerta di sport: l’interrelazione tra settori 37

3.1 L’intervento pubblico in ambito sportivo 38

3.1.1 La quantità di risorse pubbliche investite nello sport 38 3.1.2 Il fallimento del mercato e i motivi dell’intervento pubblico 40

3.1.3 L’impiantistica sportiva 47

3.2 Il ruolo dell’Unione Europea: finanziamenti diretti e indiretti 50

3.3 Il ruolo degli attori no-profit e l’importanza del volontariato nello Sport 52 3.3.1 Gli enti no-profit in ambito sportivo: una panoramica 52

3.3.2 L’apporto del lavoro volontario 55

3.3.3 Associazionismo e capitale sociale: il valore economico del terzo settore

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Cap. 4 Il ruolo del privato for profit: lo sport che genera profitto 61

4.1 Le società professionistiche 64

4.1.1 L’introduzione dello scopo di lucro per società sportive professionistiche italiane

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4.1.2 Le fonti di finanziamento delle società calcistiche 66

4.2 Il rapporto tra sport professionistico e media 69

4.2.1 Diritti televisivi e competitive balance: la situazione italiana 72

4.3 Turismo sportivo 75

Cap. 5 Le Regioni e l’offerta di sport: il caso della Toscana 79

5.1 La legge Regionale 72/2000 79

5.2 I piani Regionali per lo sport 80

5.3 Il caso: i mondiali di ciclismo 2013 90

Conclusioni 93

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INTRODUZIONE

Nel 2007 l’Unione Europea pubblicò il Libro Bianco sullo sport. Questo documento, voluto fortemente dalla Commissione Europea, rappresenta il frutto di un’evoluzione lunga anni, in cui le istituzioni europee si sono confrontate nel tentativo di analizzare un fenomeno di larga diffusione e molto variegato. Il Libro Bianco può essere a pieno titolo considerato la bussola di questo lavoro, il punto da cui partire per analizzare gli elementi caratterizzanti del mercato dello sport.

Come vedremo successivamente, la stessa definizione di sport non ha un significato univoco e condiviso; solo recentemente si è giunti, anche in questo caso a livello europeo, ad una precisa determinazione di quei prodotti e di quei produttori, che nel loro insieme formano il mercato dello sport. Aver anche soltanto sentito la necessità di definire i contorni di questa importante fetta di mercato, attraverso l’adozione della Vilnius Definition, è prova inequivocabile che vi è ormai consapevolezza della rilevanza del fenomeno sportivo, sia in termini economici sia sociali. Avere un metro di giudizio con cui paragonare lo stato dell’arte tra i diversi paesi europei, con cui confrontare le politiche di promozione dell’attività sportiva, con cui misurare la crescita di tutto il settore è un ottimo punto di partenza affinché possano essere imitate le buone pratiche di ciascuno e si arrivi progressivamente ad un’uniformità, livellata ovviamente verso l’alto, dell’offerta.

Per il momento ci possiamo però limitare al significato di sport a cui fa riferimento proprio il Libro Bianco, la stessa data dal Consiglio di Europa: «qualsiasi forma di attività fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli». Scorrendo i principi enunciati dal Libro Bianco sullo Sport, non si può non cogliere la trasversalità del fenomeno sportivo. La prima dimensione messa in evidenza è quella sociale, seguita da quella economica e da quella organizzativa. Quest’ultima parte, per quanto possa sembrare secondaria, affronta due problematiche da sempre oggetto di regolamentazione a livello europeo: la libera circolazione dei lavoratori (in questo caso gli sportivi professionisti) e la libera concorrenza (relativamente alle modalità di vendita dei diritti televisivi).

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La tesi, seguendo la strada tracciata dal Libro Bianco, cerca di verificare in quale modo le indicazioni lì contenute si siano tradotte in Italia in azioni concrete (avendo pur sempre come riferimento il quadro di insieme). La domanda a cui si cerca di rispondere è se effettivamente, come suggerisce il documento della Commissione Europea, siamo stati in grado di utilizzare lo sport come uno degli strumenti attraverso il quale perseguire gli obiettivi posti dalla Strategia di Lisbona: crescita economica e creazione di posti lavoro. Uno degli aspetti più interessanti è che il Libro Bianco non ha come unico interlocutore, per quanto sia quello privilegiato, l’istituzione pubblica, ma si rivolge in modo diretto agli operatori del settore. Nonostante questo, resta però evidente che dovranno essere le politiche nazionali, e la stessa regolamentazione europea, a creare politiche di indirizzo e mettere a disposizione risorse che siano di supporto all’intero sistema.

Abbiamo pertanto preliminarmente delineato il contesto giuridico italiano, soffermandoci su quelle norme che ci permettono di definire la struttura organizzativa dello sport nel nostro Paese e, di conseguenza, gli organismi ai quali l’ordinamento statale (e quello sportivo) attribuiscono responsabilità precise in relazione alla gestione e alla programmazione dell’offerta sportiva: da una parte il CONI, le Federazione e gli enti di promozione, dall’altra gli assessorati allo sport dei vari livelli territoriali.

Nella parte immediatamente successiva abbiamo invece cercato di capire la consistenza in termini numerici del fenomeno sportivo. Anche in questo caso sono stati di supporto alcuni recentissimi documenti commissionati dagli organismi europei per studiare il settore sportivo. Tra questi ricordiamo lo “Study on the contribution of Sport to

Economic Growth and Employment in the EU”, pubblicato nel 2012 e le analisi

contenute nello “Study on the funding of grassroots sports in EU”, pubblicato l’anno precedente: il primo richiesto dalla Direzione Generale Educazione e Cultura, il secondo dalla Direzione Generale Mercato Interno e Servizi. A questi due documenti si aggiunge l’indagine Eurobarometro del 2010 “Sport and Phisical Activity”. Grazie a questa documentazione è stato possibile avere uno spaccato dell’intero contesto europeo, in termini di numero e tipologia di praticanti (suddivisi per età e sesso) e mettere in correlazione alcuni dati macroeconomici, come quello del PIL procapite con la frequenza dell’attività sportiva praticata

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Per completezza si è ritenuto necessario confrontare queste fonti statistiche con quelle elaborate anche da istituzioni italiane (ISTAT, CENSIS) e riferite al nostro specifico contesto. Le rilevazioni europee hanno però il vantaggio di riportare dati molto recenti, mentre le fonti italiane, come ad esempio l’indagine ISTAT “I cittadini e il tempo

libero”, riporta valori riferiti al 2006.

Proprio partendo da questi dati, sono state messe in luce le caratteristiche della domanda di sport, assimilandolo ad una qualsiasi altra attività ricreativa, che l’individuo sceglie di praticare o meno sulla base delle proprie preferenze personali e del proprio reddito individuale.

Dopo questa necessaria premessa, il corpo centrale del lavoro analizza da vicino l’offerta di sport. Questa parte è suddivisa in tre macroaree, ognuna delle quali corrispondenti ad un gruppo di attori in grado di fornire il bene sport agli utilizzatori, attivi o passivi: il settore pubblico, il terzo settore ed il settore for profit.

L’intervento del settore pubblico e del terzo settore sono stati analizzati all’interno dello stesso capitolo, data la complementarietà della loro azione e anche degli obiettivi perseguiti. Nel quarto capitolo si è cercato invece di dare, seppur parzialmente, un’idea del giro di affari legato direttamente o indirettamente all’attività sportiva.

Quello che ci interessava capire nel momento in cui è stata analizzata l’offerta pubblica di sport era, da una parte, la consistenza dell’intervento pubblico nel settore, dall’altra le motivazioni alla base di questo intervento. A questo si è aggiunta poi la necessità di mettere in evidenza la diversa ripartizione della spesa tra i vari livelli territoriali, per la quale ci sono state d’aiuto ancora una volta alcuni fonti statistiche tra le quali l’indagine CONI/CENSIS del 2008 sullo sport in Italia.

Per giustificare un intervento pubblico in economia, per far comprendere ai contribuenti il perché della spesa di denaro pubblico occorre che sussistano delle precise condizioni. Premettendo che l’intervento pubblico in economia è generalmente dettato dalla presenza di un fallimento del mercato, trovandoci di fronte al bene sport bisogna chiederci se questo può essere classificato come bene privato oppure bene pubblico, se si è in una condizione di informazione completa, se il consumo di quel determinato bene può generare delle esternalità positive o negative ed infine se i benefici (o le conseguenze negative) generate dal suo consumo vanno a ricadere su soggetti terzi rispetto a chi ha pagato per questo. Da un’analisi dello stato delle cose sembra

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effettivamente che il bene sport possa ricadere in quasi tutte queste casistiche. Può essere infatti considerato un bene pubblico e produce numerose esternalità, sia che si faccia riferimento allo sport praticato (e quindi alle azioni delle istituzioni pubbliche volte ad incentivare la pratica dell’attività fisica) sia che si faccia invece riferimento allo sport passivo (e quindi a tutte quelle azioni volte al potenziamento dello sport spettacolo). A tal proposito basta pensare alle positive ripercussioni sociali: lo sport, come indicato anche nel Libro Bianco, è un ottimo strumento di lotta al razzismo, di promozione dell’inclusione sociale e contribuisce alla sensibilizzazione nei confronti di uno stile di vita salutare. In questo contesto l’ente pubblico può intervenire utilizzando un’enorme varietà di strumenti che intervengono sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda.

Un discorso a parte merita in questo contesto la questione dell’impiantistica sportiva, trattandosi per il nostro paese di uno dei cardini dell’offerta pubblica di sport. Numerose azioni dei nostri enti pubblici in ambito sportivo sono infatti rivolte proprio a questo settore, poiché sia che si parli di grandi impianti, sia delle piccole infrastrutture di quartiere, a detenere la proprietà è ancora l’ente comunale (per una quota superiore al 50% del totale degli impianti presenti su tutto il territorio). Ne consegue che, vista la sempre maggiore ristrettezza dei bilanci pubblici, è sempre più difficile mantenere o raggiungere alti standard qualitativi; spesso gli interventi finanziati sono rivolti alla mera sopravvivenza delle strutture più che ad un loro potenziamento o miglioramento. Al momento non esistono dati più recenti, ma le rilevazioni effettuate nel 2003 avevano individuato che gli impianti inattivi si attestavano intorno al 10% di quelli presenti sul territorio nazionale.

La seconda parte del terzo capitolo si concentra sull’attività svolta dall’associazionismo sportivo. Anche in questo caso siamo partiti dai dati, che sono risultati fondamentali nel comprendere che l’ossatura dell’intero sistema nazionale è costituita proprio dagli attori del terzo settore.

A mitigare la portata di questo dato vi sono comunque delle considerazioni legate alla convenienza: gran parte delle associazioni dichiarano finalità sportive, senza svolgere realmente questo tipo di attività, solamente per poter usufruire di sovvenzioni o privilegi fiscali. Tenendo pertanto presente che un censimento preciso delle associazioni sportive è praticamente impossibile da effettuare, quello che è certo è che tra tutte le associazioni

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registrate, quelle che dichiarano nei propri statuti di avere finalità di carattere sportivo sono di gran lunga la maggioranza.

Bisogna annotare anche che la legislazione ha contribuito affinché la base dello sport fosse costituita da questo tipo di soggetto, non prevedendo nessun particolare obbligo per i soggetti che svolgono attività sportiva a livello dilettantistico. Solamente per le società professionistiche la legge ha stabilito infatti che debbano configurarsi come società di capitali o società per azioni.

La parte della tesi relativa all’associazionismo sportivo analizza anche la questione del volontariato. All’interno delle associazioni che offrono attività sportive di base o giovanili, sono i volontari a portare avanti l’intero lavoro. Andando ad analizzare gli organigrammi risulta che quasi tutti i dirigenti ricoprono i loro incarichi a titolo gratuito. Ma la gratuità (o quasi) del lavoro all’interno di questi organismi riguarda anche, seppur in percentuale inferiore, i tecnici. Alcuni stime sulla portata del fenomeno del volontariato sportivo ci dicono che il valore prodotto da questi lavoratori si attesta intorno ai 3,4 miliardi di euro all’anno. A questo valore monetario si devono aggiungere gli effetti positivi derivati dalla presenza di un fitta rete associativa attiva sul territorio. Per quanto siano solamente studi teorici, abbiamo ritenuto opportuno, vista l’alta percentuale di associazioni di carattere sportivo sul totale di quelle registrate, riportare in questa sede alcune considerazioni relative alla valutazione dei possibili effetti positivi in termini economici di un alto livello di capitale sociale indotto dall’associazionismo. L’ultima parte della tesi riguarda il ruolo di alcuni attori del settore profit in ambito sportivo. L’ampiezza del mercato che stiamo analizzando non ci ha permesso di prendere in considerazione in questa sede tutta l’offerta riconducibile a questo segmento; sono stati tuttavia trattati tre settori che riteniamo caratterizzanti della componente market oriented in ambito sportivo: le società professionistiche, i media e il turismo.

Le società professionistiche e i loro campioni sono la componente essenziale dello sport spettacolo. A differenza dell’offerta pubblica e di quella terzo settore, che riguardano prevalentemente i servizi sportivi per chi intende praticare in prima persona un’attività sportiva, ora ci concentriamo invece su un’offerta indirizzata al fruitore passivo di sport. Occorre purtroppo annotare che in Italia quando si parla di professionismo vi sono due componenti critiche: da una parte l’assoluta discrezionalità lasciata alle Federazioni e

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alle Leghe sportive di auto-identificare la propria attività come professionistica e, dall’altra, i pochissimi dati a disposizioni su tutte quelle discipline sportive diverse dal calcio.

Il primo aspetto ha influito poco su questo lavoro dal momento che non è stato trattato il tema del mercato dei lavoratori dello sport; per quanto riguarda invece il secondo aspetto, sarebbe stato molto utile avere a disposizione una maggiore quantità di dati in grado di fotografare e descrivere come le società sportive professionistiche di altre discipline riescono a stare sul mercato. Limitandoci quindi obbligatoriamente a quanto avviene nel calcio professionistico, abbiamo analizzato le principali fonti di finanziamento delle società italiane, mettendo in luce il diverso stato di salute dei nostri principali team rispetto ai competitor europei. Da questo confronto emergono abbastanza chiaramente due aspetti tra loro probabilmente connessi: da una parte l’assoluta dipendenza finanziaria dagli introiti derivanti dai diritti televisivi, dall’altra lo scarso appeal dello spettacolo dal vivo che si traduce in entrate derivanti da vendita dei biglietti decisamente limitate.

Il legame tra sport professionistico e media è ormai inscindibile, essendo proprio questi ultimi a garantire sia la sopravvivenza delle società sportive, sia gli introiti necessari allo svolgimento delle principali manifestazioni; e questo sarà possibile fino a quando esisterà un pubblico spettatore disposto a spendere per poter usufruire di tutti i servizi offerti dalla TV digitale.

In relazione a questo legame, che tende ormai a configurarsi come vera e propria dipendenza, sono sorte numerose problematiche di carattere giuridico, anche a livello europeo. Proprio per comprendere quanto i media possono potenzialmente andare ad influire sullo stesso andamento della competizione, nella tesi è stato riproposto un assaggio del dibattito scaturito a livello internazionale relativamente al rapporto tra diverse modalità di vendita dei diritti televisivi e competitive balance.

Infine, si è voluto lasciare spazio ad un argomento trasversale: il turismo sportivo. Affinché si possa offrire questo tipo di prodotto occorre che vi sia un’assoluta complementarietà dell’azione di attori pubblici e privati e, talvolta, anche di quelli appartenenti al terzo settore. Praticamente a chiusura del lavoro risulta pertanto interessante un’analisi delle possibili sinergie tra tutti gli attori precedentemente presi in considerazione. Nel paragrafo in questione abbiamo messo in luce il valore che può

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generare un sistema turistico-sportivo, attivato in occasione di specifici eventi, oppure promosso come strumento permanente di valorizzazione di risorse naturali o infrastrutturali presenti in quel determinato territorio.

Nella parte conclusiva della tesi si è voluto invece presentare un caso concreto, cercando di capire, attraverso la presentazione del Piano Regionale per la Promozione della Cultura e della Pratica dell’Attività Sportiva e Motorio Ricreativa della Regione Toscana, come si articola l’azione pubblica in materia sportiva e quali sono le esternalità attese dall’applicazione di un piano pluriennale di questo tipo.

All’interno del Piano sono infatti puntualmente analizzati i possibili effetti sulla salute ed è stata presa in considerazione la conseguente riduzione della spesa sanitaria. Il documento presenta anche una previsione dei possibili investimenti esterni che sarà possibile attivare grazie agli stanziamenti per la realizzazione o ristrutturazione degli impianti sportivi. Viene infine preso in considerazione l’impatto ambientale, con una valutazione dei probabili effetti positivi e negativi.

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Capitolo 1

Il quadro normativo

1.1. Il processo di affermazione dello sport e delle politiche sportive a livello europeo

Solitamente si fa risalire la nascita dello sport come argomento di interesse comunitario agli anni ’90. E’ infatti nel 1991 che si svolge il primo Forum Europeo sullo Sport voluto dalla Commissione Europea: un’occasione per promuovere il confronto tra istituzioni nazionali e organismi sportivi nel tentativo di individuare una strada condivisa su come sostenere politiche sportive di comune interesse.

Già nel 1984 l’Europa parlava però di sport e lo faceva tramite la Commissione Adonino che individuò otto skills deputati a rafforzare all’interno e all’esterno l’immagine della futura Unione Europea, tra i quali uno riguardava "youth, education,

exchanges and sport". In riferimento all’ultima voce, la Commissione Adonino precisò

che si sarebbero dovute incoraggiare le associazioni capaci di promuovere ed organizzare eventi che "attraversassero" i paesi dell'Europa, creare team europei ed un programma di scambio tra atleti e allenatori. Tra le proposte vi fu quella di aggiungere, sulle divise degli atleti, ai loghi nazionali, anche quello europeo1. L’impostazione data alle politiche sportive dalla Commissione Adonino era però destinata a tramontare rapidamente e questo avvenne proprio in coincidenza del primo Forum Europeo dello Sport.

Da quel momento in poi l’azione comunitaria in ambito sportivo è andata progressivamente a concentrarsi sulla sua capacità di creare valore economico e sulla sua utilità a fini sociali. Aspetto, quest’ultimo, che risulta esplicitato in modo assolutamente chiaro dalle successive pronunce in materia e dalla prima formalizzazione dello sport in un trattato. Questo avvenne nel 1997 con il Trattato di Amsterdam dove l’attività sportiva era cosi inquadrata:

       1

Uniformandosi alle direttive della Comissione Adonino l’UE sponsorizzò, prima della fine degli anni ’80, un ingente numero di manifestazioni sportive tra le quali si ricordano l’European Sailing Regatta, la

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La conferenza sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare l'identità e nel ravvicinare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell'Unione Europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che riguardano lo sport. In quest'ottica, un'attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico2.

Lo sport ha proseguito il suo processo di legittimazione a livello comunitario e nel 1998 fu la Commissione a pubblicare un Working Paper intitolato “The Development and

Prospect for Community Activity in the Field of Sport”, particolarmente importante

poiché in grado di riassumere tutte le funzioni dello sport, sottolineandone l’assoluta trasversalità. Lo sport è strumento educativo, è attività di intrattenimento, favorisce la salute pubblica, può contribuire a sconfiggere le intolleranze razziali, la violenza, l’abuso di droghe e di alcool. Oltre a questo, lo sport ha però una valenza economica e l’Unione Europea è obbligata a prenderne atto dal momento che già nel 1998 l’attività sportiva era al centro del 3% degli scambi commerciali mondiali ed esistevano, solo negli stati allora membri, oltre 545 mila club sportivi.

Negli anni Novanta il fenomeno era così cresciuto che le istituzioni europee si erano trovate ad affrontare più volte aspetti connessi allo sport, partendo da politiche comunitarie diverse, dal momento che il settore non si era ancora conquistato uno spazio autonomo. Oltre alle già menzionate politiche sociali, l’Unione Europea si era pronunciata in relazione alla libertà di movimento3 e aveva dovuto affrontare il tema della vendita dei diritti televisivi, principale fonte di introiti per lo sport professionistico. Inoltre non poteva essere in alcun modo trascurata dall’Unione Europea la rilevanza dello sport in relazione alle possibilità di occupazione dei più giovani, tema trattato specificatamente dalla prima relazione della Commissione sullo sviluppo locale.

       2

Dichiarazione n.29 sull’articolo 141, paragrafo 4, del Trattato che istituisce la Comunità Europea; dichiarazione adottata ad Amsterdam il 2 ottobre 1997. Occorre sottolineare che essendo una dichiarazione manca, in quanto tale, di potere vincolante e la sua applicazione è lasciata alla volontà degli Stati membri. Cfr. : J. Tognon (2009). 

3

A tal proposito il punto di svolta universalmente riconosciuto è la causa 415/93 della Corte di Giustizia Europea, meglio nota come “Sentenza Bosman”. Con tale sentenza la Corte di Giustizia Europea sancì che: «è fatto divieto di richiedere indennità di trasferimento per un atleta professionista che intenda esercitare la propria attività in un altro Stato dell’Unione, successivamente alla scadenza del suo contratto. Inoltre, le squadre europee possono schierare un numero illimitato di giocatori che siano cittadini dell’Unione».

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Dalla metà degli anni Novanta l’Unione Europea ha prodotto una serie di documenti volti a fissare gli elementi chiave e studiare più da vicino quello che sarebbe progressivamente diventato un tema di suo specifico interesse. Tra le numerose pubblicazioni sul tema troviamo anche un Consultation document of DG X che analizza, così come ci suggerisce la stessa intitolazione, lo stato delle cose relativamente al “The European Model of Sport”. Nel documento in questione veniva puntualmente descritta la struttura piramidale dello sport che caratterizzava (e continua a caratterizzare) l’attività sportiva in tutti i paesi dell’Unione Europea: veniva identificata la base nei club (caratterizzati da un rilevante ruolo del volontariato), mentre al gradino superiore venivano collocate le Federazioni Sportive (organizzate a livello territoriale, nazionale e continentale). La stessa pubblicazione conteneva inoltre una sommaria analisi delle problematiche concernenti la vendita dei diritti televisivi in rapporto alla regolamentazione sulla libera concorrenza.

Questi sono solamente alcuni dei documenti che hanno affrontato la tematiche di nostro interesse, nei quali il punto di riferimento erano sempre stati i principi sanciti nel Trattato di Amsterdam e ribaditi anche dal successivo trattato di Nizza del 2000.

L’avvio del processo che avrebbe dovuto portare all’adozione di un Trattato Costituzionale dell’Unione Europea rappresentò per lo sport un momento molto significativo poiché l’articolo III – 282 conferì all’Unione Europea specifiche competenze nell’ambito della promozione dello sport. Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa individuava come topic “ Education, training and youth,

sport” e l’articolo III – 282 così recitava: «[…] L'Unione contribuisce alla promozione

dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale e educativa» ed al punto g) del medesimo articolo precisava che l’azione dell’Unione Europea è intesa a: «a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'imparzialità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei giovani sportivi»4.

La bocciatura referendaria in Francia e Danimarca bloccò l’entrata in vigore del Trattato Costituzionale europeo ma l’affermazione dello sport a livello comunitario era ormai

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avviata e la formula contenuta nel Trattato Costituzionale venne così riproposta con il successivo Trattato di Lisbona. Oggi, l’articolo 165 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea recita questo: « […]L'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa […]» e prosegue, così come era avvenuto nella stesura del Trattato Costituzionale, precisando che l’azione dell’Unione deve essere intesa a «sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi»5.

Contemporaneamente le Commissione Europea aveva portato a compimento l’elaborazione del Libro Bianco sullo Sport, pubblicato nel 2007 (Marassi, 2011).

1.1.1. Il Libro Bianco sullo Sport e i documenti successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona

Non è difficile capire, nell’ambito di questa trattazione, i motivi per cui il Libro Bianco sullo Sport riveste un’importanza fondamentale. Dopo aver conquistato legittimità, era infatti necessario fissare degli obiettivi all’azione europea in materia sportiva, imprimendo a questa degli indirizzi. Le varie sezioni del Libro Bianco riprendono in larga misura aspetti già visti, nel tentativo però di metterli a sistema e di individuare precise responsabilità in carico agli organi istituzionali comunitari, nazionali e locali. Le istituzioni non sono però le uniche destinatarie degli inviti contenuti nel Libro Bianco, ma la Commissione si rivolge, in varie occasioni, anche a chi opera direttamente nel settore.

Gli interventi che si sono susseguiti negli anni avevano più volte evidenziato il ruolo sociale dello sport giustificando in questo modo la necessità di un intervento pubblico, più o meno diretto, a supporto del settore. Siamo di fronte ad un’accezione di valore sociale che è molto ampia e che comprende il sostegno ad azioni volte a tutelare la salute di tutti grazie ad una più frequente attività fisica, a sensibilizzazione i giovani contro l’utilizzo di sostanze dopanti, a coinvolgere i cittadini in attività di volontariato e

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che possono costituire uno strumento di lotta al razzismo, alla violenza e all’esclusione sociale. Ma rientrano nei valori sociali dello sport, e lo Commissione lo ribadisce anche in questa occasione, le sua capacità di essere motore di occupazione, soprattutto per gli strati più giovani della popolazione.

La Commissione Europea ha voluto poi dedicare un’apposita sezione della pubblicazione all’importanza economica del settore sportivo e, anche se i dati economici e statistici contenuti nel Libro Bianco sono purtroppo aggiornati solo al 2006, possono in ogni caso dare un’idea precisa dell’impatto che l’attività sportiva aveva a livello continentale: «uno studio presentato nel 2006 durante la presidenza austriaca afferma che lo sport in senso ampio ha generato un valore aggiunto di 407 miliardi di euro nel 2004, il che corrisponde al 3,7 % del PIL dell’UE, e occupazione per 15 milioni di persone, pari al 5,4 della forza lavoro»6.

Partendo dalla lettura di questi dati il Libro Bianco evidenziava innanzitutto la provenienza degli introiti conferendo un ruolo centrale ai diritti di proprietà declinati sottoforma di: comunicazioni commerciali, marchi registrati, diritti di immagine e di trasmissione. Nonostante tale rilevanza economica, poche righe dopo si sottolineava un altro aspetto chiave dell’attività sportiva che, nella sua componente maggioritaria «si svolge in strutture senza scopo di lucro, molte delle quali hanno bisogno di aiuti pubblici per poter dare accesso alle attività sportive a tutti i cittadini»7.

L’elemento più rilevante che emergeva dalle pagine del Libro Bianco con riferimento alla dimensione economica dello sport era però la volontà della Commissione Europea di creare, di concerto, e in stretta collaborazione con gli stati membri, un sistema di monitoraggio del reale impatto del settore sull’economia, sia in termini percentuali di PIL che occupazionali.

Il Libro Bianco e la successiva entrata in vigore del nuovo articolo 165 del TFUE hanno indubbiamente costituito il momento di svolta per lo sport, come lo dimostrano i successivi atti adottati.

Tra questi occorre prendere necessariamente in considerazione le Comunicazione della Commissione Europea del 2011 redatta seguendo l’impostazione di base del Libro Bianco e quindi con un ampio spazio dedicato sia agli aspetti sociali che a quelli economici dell’attività sportiva. La Commissione Europea si è soffermata ancora una

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volta sulla necessità di predisporre degli strumenti utili alla misurazione dell’impatto socioeconomico dello sport nei paesi membri, sottolineando l’importanza del settore di base e di conseguenza l’esigenza, anche per questo specifico ambito, di un apposito studio che consenta di:

individuare l'importanza reale per lo sport di base delle diverse fonti di finanziamento, ad esempio le sovvenzioni pubbliche (statali, regionali e locali), i contributi delle famiglie e del volontariato, le sponsorizzazioni, i proventi derivanti dalla trasmissione degli eventi sportivi e dall'organizzazione dei servizi connessi al gioco d'azzardo8.

Ribadita ancora una volta, nella Strategia Europa 20209, l’importanza dello sport in termini occupazionali e la sua possibilità di essere uno dei settori economici in grado di contribuire alla crescita, nel 2012 è stato pubblicato lo studio “Study on the

Contribution of Sport to Economic Growth and Employment in the EU ” (SpEA – Sport

EconAustria, 2012) nel quale vengono riuniti i tanto attesi dati relativi all’impatto economico dello sport a livello europeo. Nello studio del 2012 vengono messi nuovamente in evidenza alcuni aspetti chiave quali la distribuzione dell’impatto economico dell’attività sportiva individuando, seppur con dati disomogenei a seconda del Paese, come settore trainanti di questa industria, il turismo legato all’attività sportiva, le attività sportive che si svolgono nei club privati, la vendita dei diritti televisivi e l’educazione sportiva, nella quale però solamente alcuni dei Paesi membri UE investono ingenti risorse.

Non devono inoltre essere trascurate le forti potenzialità di crescita esportabili anche verso altri settore economici a seconda delle politiche di sviluppo adottate dai singoli paesi. Un investimento in ambito sportivo può infatti contribuire, e in modo non indifferente, a trainare il settore tessile (abbigliamento sportivo) e alimentare (bevande e cibi energetici). Può inoltre incrementare il giro di entrate legate al sistema delle scommesse e si può puntare, come avvenuto principalmente nei paesi nord europei, a sviluppare uno specifico e redditizio sistema di educazione allo sport. Infine non

       8

Commissione Europea (2011). 

9 Europa 2020 è una strategia decennale per la crescita sviluppata dall'Unione Europea. L’obiettivo non è

soltanto quello di uscire dalla crisi che continua ad affliggere l'economia di molti paesi, ma le indicazioni contenute intendono colmare anche le lacune del nostro modello di crescita e creare le condizioni per un diverso tipo di sviluppo economico: più intelligente, sostenibile e solidale.

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possono essere dimenticati in alcun modo gli investimenti infrastrutturali che il settore sportivo richiede e sui quali spesso si ha una confluenza di risorse pubbliche e private. In relazione a questi dati occorre accennare ad una distinzione sulla quale torneremo più approfonditamente nel successivo capitolo. Quando si parla di livelli occupazionali e dell’impatto dello sport sulla crescita economica i dati si riferiscono ad un’accezione ampia del settore sportivo, che non include pertanto soltanto le attività sportive come manifestazioni, corsi, diritti televisivi, ma anche tutte quelle attività che forniscono mezzi strumentali all’attività sportiva (attrezzature, abbigliamento, infrastrutture).

1.2 . La struttura del sistema sportivo italiano10

Se le istituzioni europee si sono pronunciate nel tentativo di definire progressivamente le modalità di intervento nel settore dello sport e di fissare gli obiettivi da perseguire attraverso gli strumenti a disposizione degli organismi comunitari, la legislazione nazionale ha invece come principale obiettivo quello di definire la struttura e di conseguenza gli attori del sistema sportivo.

L’analisi dell’ordinamento sportivo ci consente di compiere pertanto un discreto passo in avanti proprio nella definizione dell’offerta di sport nel nostro Paese. Ma, nel momento in cui si vuole descrivere l’ordinamento sportivo italiano, occorre sottolineare in partenza un elemento di assoluta criticità, ossia l’assenza di una normativa quadro e l’anzianità della disciplina vigente. Ovviamente, viste le finalità di questo lavoro, non andremo a prendere in considerazione l’intero corpus normativo riguardante la materia sportiva ma ci soffermeremo unicamente su ciò che può esserci utile a delineare i soggetti sui quali ricade la responsabilità di offrire sport e ad individuare i principi sulla base dei quali è determinata la loro azione in questo contesto.

Al vertice dello sport nazionale troviamo il CONI, Comitato Olimpico Nazionale, istituito formalmente con la legge 426 del 1942 “Costituzione e ordinamento del Comitato olimpico nazionale italiano” con la quale il legislatore conferiva all’organismo la natura di ente pubblico e la funzione di promuovere e rafforzare lo sport nazionale. Si tratta di una legge che ha portato ad una configurazione del tutto particolare, se non unica nel suo genere, del vertice dello sport nazionale. In Italia, rispetto a quanto

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accaduto nel resto dei paesi occidentali, il legislatore (fascista) aveva optato per un’organizzazione di tipo verticistico e centralizzato nella quale il CONI andava ad assorbire quelle funzioni che sarebbero dovute essere proprie di un Ministero dello Sport, appropriandosi, in quel periodo, di precise finalità politiche, oltre che pubbliche. La trasformazione del sistema, rispetto a come era stato delineato in epoca fascista, non è stata sicuramente rapida e per certi versi la si può considerare ancora incompleta, soprattutto se si vanno ad analizzare gli strumenti normativi adottatati, spesso dal potere esecutivo, per dare una forma allo sport italiano.

Quello che è certo, nonostante i vari interventi normativi, è che il CONI resta il punto di riferimento intorno al quale ruota tutta l’organizzazione dello sport italiano. A tal proposito basta andare a vedere quanto sancito dalla legge di riforma del sistema sportivo italiano, il D.lgs 242 del 1999 (meglio noto come Decreto Melandri) e poi successivamente modificato dal decreto n. 15 del 2004 (Decreto Pescante).

In questi atti venne ribadita la personalità giuridica di diritto pubblico del CONI e il suo duplice inquadramento all’interno dell’ordinamento sportivo nazionale e di quello internazionale. Viene previsto per la prima volta uno statuto e si precisa che l’azione del CONI deve essere esercitata «in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato Olimpico Internazionale» e che l’ente deve avere tra i suoi compiti quello di occuparsi dell’«organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale […] nonché della promozione della massima diffusione della pratica sportiva»11.

Se ovviamente il compito di organizzare e promuovere l’attività sportiva può essere considerato incorporato nella natura stessa dell’ente, lo Statuto, definendo le funzioni del CONI, precisa che ricadono su di esso anche la responsabilità di dettare, in ambito sportivo: «i principi contro l’esclusione, le diseguaglianze, il razzismo e la xenofobia»12 ed i «principi per conciliare la dimensione economica dello sport con la sua inalienabile dimensione popolare, sociale, educativa e culturale» 13.

L’altra importante novità introdotta dal Decreto Melandri riguarda invece le Federazioni Sportive, per molti anni aventi una personalità giuridica di natura incerta, poiché considerate organi del CONI. Esse assumono formalmente la configurazione di enti di

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Testo Coordinato con le Modifiche al Decreto Legislativo "Riordino del Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI" del 23 Luglio 1999, N. 242, art. 2.

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Statuto CONI, art. 1, comma 4.

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diritto privato, pur mantenendo in larga parte aspetti propri di un ente pubblico, a partire dalle loro fonti di finanziamento.

Il dettato del Decreto Melandri, con le successive modifiche apportate, ci consente di approfondire, partendo dal vertice, i lineamenti dello sport italiano. Immaginando una struttura piramidale (come quella illustrata nel Consultation Document of DG X), le Federazioni e le Discipline Sportive Associate14 occupano il gradino immediatamente sottostante rispetto a quello occupato dal CONI. Il ruolo attribuito a queste associazioni di diritto privato è esplicitato nello stesso testo normativo dove si precisa che «le Federazioni Sportive Nazionali e le Discipline Sportive Associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle Federazioni internazionali e del CONI»15. E’ poi lo stesso Statuto del CONI ad indicarne la composizione permettendo di avere un quadro completo della struttura piramidale: «le Federazioni Sportive Nazionali sono costituite dalle società, dalle associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti in relazione alla particolare attività, anche dai singoli tesserati»16.

Siamo pertanto arrivati alla base della struttura dello sport, costituita dalle società e dalle associazioni sportive. In modo preliminare, quello che interessa ora sottolineare, è che fin dalla legge n. 426 del 1942, le «società e le sezioni sportive»17 erano individuate come i soggetti posti alla base della struttura sportiva nazionale. Si tratta di un’impostazione che non è mutata nel tempo e che è stata ribadita nei successivi atti normativi, seppur con l’inevitabile distinzione tra sport dilettantistico e professionistico. Una separazione, quella tra sport dilettantistico e professionistico, che ha trovato puntuale definizione nel 2002 in un testo normativo alquanto insolito per la tematica di nostro interesse: una legge finanziaria.

E’ infatti contenuta nell’art. 90 della l. 289 del 2002 la classificazione delle società e associazioni sportive di tipo dilettantistico e delle forme giuridiche che queste possono

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Le Discipline Sportive Associate vengono riconosciute dal CONI sulla base dell’attività sportiva svolta (viene valutata la consistenza numerica del movimento, la sua sovranazionalità, le modalità di formazione di tecnici e atleti) e la sussistenza di principi statutari conformi con quelli del CONI. Tra le Discipline Sportive Associate ricordiamo, a titolo di esempio: la Federazione Italiana Biliardo Sportivo, la Federazione Italiana Palla Tamburello, la Federazione Italiana Rafting. In totale le Discipline Sportive Associate attualmente riconosciute dal CONI sono diciannove.

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Testo Coordinato con le Modifiche al Decreto Legislativo "Riordino del Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI" del 23 Luglio 1999, N. 242, art. 15.

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assumere. Si tratta di un riferimento normativo che troviamo anche all’interno dello statuto del CONI dove si precisa che «le società e le associazioni sportive riconosciute ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 28 […] non hanno scopo di lucro»18. Per quanto concerne invece le società professionistiche, con la l. 91 del 1981 viene introdotto lo scopo di lucro. Uno scopo di lucro però mitigato dalle finalità indicate dallo stesso Statuto del CONI :

Le società ed associazioni sportive, e in particolare quelle professionistiche, devono esercitare le loro attività nel rispetto del principio della solidarietà economica tra lo sport di alto livello e quello di base, e devono assicurare ai giovani atleti una formazione educativa complementare alla formazione sportiva19.

Sempre nel 2002 il Decreto Legge dell’8 Luglio n.138 ha poi introdotto l’ultima, in ordine temporale, grande modifica all’assetto dell’ordinamento sportivo del nostro paese andando ad istituire una società per azioni denominata CONI Servizi Spa, il cui capitale è comunque interamente detenuto dal Ministero delle Finanze. Coni Servizi Spa ha rilevato il personale fino a quel momento alle dipendenze del CONI, le attività e le passività dell’ente pubblico e acquisito la titolarità sui beni. Dopo questo ultimo intervento normativo il CONI è andato configurandosi come ente committente di Coni Servizi Spa che risulta invece essere la componente operativa.

Anche quest’ultimo intervento, inserito in un decreto urgente di natura finanziaria (“Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche in aree svantaggiate”), ci permette di confermare quanto accennato in apertura e cioè quanto l’organizzazione dello sport in Italia abbia sempre sofferto a causa dell’assenza di una disciplina organica ed anche di una precisa attribuzione delle competenze in materia di sport (Cherubini e Franchini, 2004).

A completamento del quadro occorre fare riferimento a due ulteriori livelli organizzativi dello sport italiano. Non può infatti essere assolutamente trascurato il ruolo chiave che hanno avuto, soprattutto nella promozione dello sport di base, gli enti di promozione

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Statuto CONI, art. 29, comma 1.

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sportiva (Martinelli e Saccaro, 2008). Lo Statuto del CONI, all’art. 26, ne riconosce le funzioni:

Sono Enti di promozione sportiva le associazioni riconosciute dal CONI, a livello nazionale o regionale, che hanno per fine istituzionale la promozione e la organizzazione di attività fisico-sportive con finalità ricreative e formative, e che svolgono le loro funzioni nel rispetto dei principi, delle regole e delle competenze del CONI, delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate20.

Completamente diversa è invece la natura delle Leghe, di cui non si trova alcuna traccia in nessuno degli atti normativi preposti a disciplinare lo sport in Italia. Le Leghe non sono previste neppure dallo Statuto del CONI ma la loro esistenza è legittimata dagli Statuti e dai regolamenti delle Federazioni. Alcune Federazioni hanno infatti previsto la possibilità che le società a loro affiliate si strutturino dando vita a delle associazioni senza scopo di lucro. Alle Leghe vengono così deferiti non solo compiti legati strettamente all’attività sportiva (come l’organizzazione delle manifestazioni a cui le associate partecipano), ma anche compiti di carattere prettamente economico: sono le Leghe, dove istituite, ad occuparsi delle attività di marketing relative alla promozione della disciplina o di specifiche competizioni e della raccolta fondi attraverso la vendita dei diritti televisivi (Morzenti e Pellegrini 2007; Sanino 2005).

Delineate le funzioni del CONI (e Coni Servizi Spa) e una volta presentati gli attori dello sport, resta ora da capire come l’attività sportiva viene assorbita all’interno del nostro ordinamento statale e quali competenze ricadono in capo alle varie amministrazioni pubbliche presenti sul territorio. Sono infatti le amministrazioni locali a dover interagire con i soggetti che compongono quella piramide di cui abbiamo fino ad ora parlato (società, associazioni sportive, federazioni, enti di promozione e lo stesso CONI). Dall’azione combinata di questi soggetti nasce l’offerta di sport, perlomeno quella intesa in senso stretto, che comprende l’attività sportiva di cui si può usufruire come atleti o come spettatori.

Diviene quindi fondamentale capire come si sono poste di fronte alla necessità di offrire sport le nostre istituzioni. Se il coinvolgimento del livello statale è chiarito dal decreto legislativo 242/1999, che riconduce al Ministero dello Sport la responsabilità di vigilare

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sulle attività svolte dal CONI, occorre necessariamente approfondire il ruolo che hanno in questo ambito le Regioni e di conseguenza anche gli enti locali.

1.3. Le competenze regionali in materia di sport

Andando ad analizzare le fonti normative emerge l’importante ruolo giocato dalle Regioni in ambito sportivo. Il testo a cui fare riferimento in proposito è il DPR 616 del 1977 nel quale si attribuivano, sia in materia di promozione dello sport che nel complicato settore dell’impiantistica sportiva, le competenza ai due distinti livelli legislativi (statale e regionale21). Occorre comunque sottolineare che ben prima dell’entrata in vigore del presente testo normativo, le Regioni a statuto speciale avevano già legiferato in ambito sportivo utilizzando come aggancio le loro competenze nel settore turistico. I casi più emblematici sono indubbiamente quelli di Sicilia e Trentino Alto Adige, due regioni che utilizzarono ampiamente i loro poteri in questo settore per procedere all’ammodernamento, alla ristrutturazione e all’implementazione dell’impiantistica sportiva.

Rispetto a questo panorama l’introduzione del DPR 616/77 costituì una vera e propria svolta nell’attribuzione delle competenze permettendo di individuare i ruoli dei vari livelli istituzionali, dalle Regioni a agli enti locali minori.

L’elemento chiave di ripartizione delle competenze tra Regioni e CONI si poggiava sulla distinzione tra sport agonistico e sport non agonistico. Alle Regioni venivano attribuite le competenze relative a:

la promozione di attività sportive e ricreative e la realizzazione dei relativi impianti ed attrezzature, di intesa, per le attività e gli impianti di interesse dei giovani in età scolare, con gli organi scolastici. Restano ferme le attribuzioni del CONI per l'organizzazione delle attività agonistiche ad ogni livello e le relative attività promozionali. Per gli impianti e le attrezzature da essa promossi, la regione si avvale della consulenza tecnica del CONI22 .

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In realtà, come emerge dalla stesso testo del DPR in oggetto, le competenze a livello statale relative alla gestione dell’attività sportiva vengono delegate al CONI.

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DPR 616/77, “Titolo IV Sviluppo economico - Capo III Turismo ed industria alberghiera”, Art. 56 - Turismo ed industria alberghiera, comma 2, lettera b).

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Le leggi di settore emanate all’indomani dell’entrata in vigore del DPR 616/77 andarono a disciplinare in modo preminente il settore dell’impiantistica. Oltre a questo aspetto le Regioni concentrarono la loro azione sul rafforzamento delle manifestazioni a carattere sportivo, sul supporto all’associazionismo, sulla formazione del personale ed iniziarono ad imporre le prime normative volte al sostegno e alla promozione dello sport per disabili ed anziani.

Per quanto concerne il criterio di ripartizione, nonostante possa sulla carta sembrare chiaro, nella realtà la distinzione tra le attività classificabili come agonistiche e quelle non agonistiche non è mai stata semplice e le Regioni hanno sempre partecipato in maniera attiva alla promozione di attività sportive che avevano numerosi caratteri propri dell’agonismo23, creando in questo modo un doppio canale di finanziamento a sostegno delle attività svolte dalle associazioni sportive dilettantistiche.

Quello che preme sottolineare in questa sede è che, nonostante le dichiarazioni di intenti contenute nei vari statuti regionali, a proposito di uno sport inquadrato come strumento di coesione e del quale venivano innanzitutto sottolineati i positivi risvolti dal punto di vista sociale, l’attenzione degli organi regionali si è spostata frequentemente verso altri orizzonti. Se da una parte non si può negare che il sostegno allo sport dilettantistico abbia in una certa misura consentito la promozione dello “sport per tutti”, dall’altra non si può negare il ruolo di assoluto primo piano svolto dallo sport agonistico (soprattutto se declinato nell’ulteriore sottocategoria di sport/spettacolo). A tal proposito basta andare a vedere le numerose leggi regionali, approvate dai consigli, predisposte per favorire lo svolgimento sul territorio di medi e grandi eventi sportivi.

Nonostante gli evidenti problemi interpretativi, l’impostazione delineata nel 1977 venne comunque ribadita dal Decreto Melandri, che sulla ripartizione delle competenze rimandava direttamente al precedente testo normativo.

Il DPR 616/1977 resta pertanto ancora oggi il punto di riferimento sulla base del quale, a cavallo del 2000, le Regioni italiane hanno elaborato una nuova tranche di leggi in materia di sport. Anche le modifiche apportate al Titolo V dalla Legge Costituzionale 3/2001 non hanno infatti portato ad alcun cambiamento nell’impostazione delle

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Il finanziamento o le agevolazione alle società dilettantistiche erano, tra gli anni ’70 e ’80, una prassi. Ma bisogna tener ben presente che il dilettantismo non è sinonimo di non agonismo. In Italia lo sport

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competenze. Se da una parte bisogna valutare positivamente l’introduzione dello sport24, classificato come materia di legislazione concorrente25, all’interno della nostra Carta Costituzionale, bisogna allo stesso tempo prendere atto del fatto che alla riforma costituzionale non ha fatto seguito una legge quadro a livello nazionale che rivedesse l’impostazione del DPR 616/77.

Se si vanno a prendere in esame i nuovi statuti regionali, varati all’indomani della riforma del Titolo V della Costituzione, lo spazio riservato alla materia sportiva ha conosciuto in alcuni casi persino una contrazione. Le leggi Regionali hanno invece assunto spesso la configurazione di Leggi Quadro nelle quali vengono riproposti i vari temi già precedentemente trattati dalla legislazione regionale, con un occhio ovviamente sempre rivolto alle funzioni sociali dell’attività sportiva (Blando 2009b).

Nell’ultimo capitolo di questo lavoro sarà affrontato il caso della Regione Toscana. Appare quindi opportuno, per comprendere la situazione delle varie realtà regionali, andare ad osservare, a titolo di esempio, la legislazione adottata in altre Regioni italiane. La Regione Lazio è una di quei casi in cui la materia è stata disciplinata adottando un T.U. sullo sport. Approvato nel giugno 2002, all’art. 1 vengono elencate le finalità:

La Regione, in armonia con i principi della legislazione statale vigente e nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 e successive modifiche, promuove e sostiene la diffusione della cultura e della pratica delle attività motorie e sportive, riconoscendone la centrale funzione sociale, al fine di favorire il benessere della persona e della comunità, la prevenzione della malattia e delle cause del disagio, le precipue politiche occupazionali e di promozione turistica26.

Pur presentando alcune inevitabili differenze, le varie leggi regionali ricalcano lo schema che abbiamo qui preso a titolo di esempio.

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Per la precisione l’articolo 117 (Titolo V) della Costituzione parla di «ordinamento sportivo».

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Si precisa, ma lo fa lo stesso articolo 117 della Costituzione, che «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». 

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L.R. 20 Giugno 2002, n. 15, Testo unico in materia di sport (Regione Lazio), art. 1 (Finalità). Altrettanto significativo per comprendere i limiti e il raggio di azione regionale è anche il punto relativo agli obiettivi dove si specifica che le finalità ricomprese all’interno dell’art. 1 sono perseguite attraverso: realizzazione di nuovi impianti e potenziamento delle attrezzature sportive; valorizzazione dello sport quale strumento di integrazione sociale, di medicina preventiva e riabilitativa; attivazione di forme di coordinamento tra la promozione sportiva e la promozione turistica nell’ambito di politiche di sviluppo di aree di cooperazione territoriale; formazione, qualificazione e aggiornamento degli operatori in ambito sportivo.

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Avendo come punto di riferimento proprio questo testo normativo è evidente un altro aspetto che contraddistingue l’azione regionale in materia di sport. Come abbiamo visto la carta costituzionale classifica l’ordinamento sportivo come materia concorrente, ma tra le competenze concorrenti vi è anche quella della tutela della salute. Di conseguenza, nel momento in cui gli enti regionali si trovano a dover disciplinare i loro obiettivi nel campo dell’attività sportiva, viene sempre rivolto un sguardo ai benefici che essa porta anche in campo medico, diventando questo uno dei pilastri intorno ai quali far ruotare la propria azione e per il quale investire risorse proprie.

Resta inoltre invariato l’apporto delle Regioni nella promozione dello sport come strumento di marketing territoriale.

Come accennato ad inizio paragrafo, l’azione in ambito sportivo delle istituzioni pubbliche non si ferma a livello regionale, ma specifiche competenze ricadono in capo anche agli enti locali (Province e Comuni).

Anche in questo caso il principale testo normativo di riferimento resta il DPR 616/77 che attribuiva ai Comuni:

[…] ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, le funzioni amministrative in materia di:

a) promozione di attività ricreative e sportive;

b) gestione di impianti e servizi complementari alle attività turistiche;27

E’ evidente che le funzioni amministrative relative all’attuazione delle politiche sportive si sono strutturate nel nostro Paese in attuazione di un principio di sussidiarietà verticale (Vaccà, 2006).

L’azione degli enti locali trova la sua legittimazione non solo all’interno dell’ordinamento statale ma è confermata anche dall’ordinamento sportivo. Da una parte il Testo Unico del Enti Locali (D.lgs. n. 267/2000) elabora questo tipo di ripartizione tra i livelli amministrativi: «La provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, promuove e coordina attività, nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo»28.

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Dall’altra parte, la necessità di una capillare azione sul territorio viene ribadita anche dallo Statuto del CONI che nel promuovere «la massima diffusione della pratica sportiva, anche al fine di garantire l’integrazione sociale e culturale degli individui e delle comunità residenti sul territorio[…]» dovrà tener «[…] conto delle competenze delle Regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli Enti locali»29.

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Capitolo 2

Lo sport come bene economico

I beni economici sono classificati dall’economia aziendale sulla base di alcune loro caratteristiche fisiche (materiali e immateriali) e sulla base di caratteristiche relative al tipo di utilizzo (uso durevole o uso immediato) che se ne può fare.

Possiamo parlare genericamente di beni economici materiali riferendoci ai prodotti, mentre nei beni di tipo immateriale vengono inclusi i servizi.

Per quanto concerne invece il tipo di utilizzo occorre valutare se il bene in questione può essere utilizzato più di una volta o se, viceversa, la sua utilità si esaurisce dopo un unico utilizzo. In riferimento alla durevolezza del bene economico bisogna infine distinguere se si tratta di un bene destinato a soddisfare immediatamente i bisogni del consumatore (bene di consumo finale) oppure se si tratta di un bene di consumo intermedio utilizzato all’interno del processo produttivo (Marchi, 2007).

Questa classificazione è ovviamente applicabile a qualsiasi settore merceologico e come vedremo anche il settore sportivo offre sul mercato beni riconducibili ad ognuna di queste categorie.

Quando si parla di mercato si intende invece quel complesso di strumenti istituzionali e infrastrutturali che permettono l’incontro tra la domanda e l’offerta. E’ il mercato che consente la determinazione del prezzo nel punto in cui la disponibilità all’acquisto dei compratori eguaglia la disponibilità alla vendita degli offerenti. Per comprendere le caratteristiche di ogni mercato occorre quindi aver ben chiari i comportamenti degli acquirenti (domanda) e quello dei venditori (offerta). I venditori, nel nostro particolare mercato, offrono l’attività sportiva (e gli strumenti per poterla praticare), mentre gli acquirenti, come vedremo più dettagliatamente in seguito, sono coloro che sono disposti a pagare un determinato prezzo per poter praticare l’attività sportiva o poterne beneficiare come spettatori.

Le precisazioni iniziali sulle varie tipologie di beni economici esistenti appaiono rilevanti proprio per comprendere che, parlando di domanda e di offerta di sport, lo si fa riferendoci non ad un solo bene ma ad un insieme di beni.

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L’individuo determinerà la sua domanda individuale di attività sportiva sulla base di una serie di valutazioni che tengono conto dei prezzi di una molteplicità di beni che concorrono, nel loro insieme, a dare forma alla sua immagine di sport.

Per chiarire la dinamica basta pensare ad una famiglia che intende avviare il proprio figlio ad uno sport. La scelta terrà in considerazione i prezzi alternativi dei corsi (tennis per sei mesi o calcio per sei mesi), di quelli dell’attrezzatura (racchette, palline e abbigliamento oppure scarpette), di quelli di trasporto (utilizzo del mezzo privato oppure presenza di collegamenti pubblici).

Il mercato del bene sport si configura quindi come quello spazio all’interno del quale le imprese (e successivamente vedremo approfonditamente di quale tipo) offrono i molteplici servizi sportivi che consentono ai consumatori la pratica dell’attività sportiva. Si tratta di un insieme di attività che, secondo le stime riferite all’anno 2011 e riportate dal Libro Bianco sullo Sport italiano pubblicato del CONI nel Luglio 2012, costituiscono l’1,6 % del PIL italiano (pari a circa 25 miliardi di euro). I miliardi di euro raddoppiano se si va a considerare anche il valore della produzione indirettamente attivata dall’attività sportiva, andando a toccare i 53,2 miliardi di euro(Bartoloni, 2012). Quello che appare anche da un’analisi solo sommaria è che sia il lato della domanda che il lato dell’offerta, sul quale ci soffermeremo in modo particolare, presentano un’elevata frammentarietà.

Prescindendo però dalle dinamiche dei singoli prodotti, e volendo analizzare lo sport nel suo insieme, occorre in modo preliminare darne una definizione.

Nel capitolo iniziale abbiamo visto la definizione di sport che nel 1992 dette il Consiglio d’Europa30, il quale definiva lo «sport qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l'espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l'ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli». Accanto a questa definizione possiamo prenderne in considerazione un'altra, grazie alla quale è possibile allargare la nostra prospettiva. Sembra infatti più corretto, nell’ambito della nostra analisi, riferirsi al più ampio concetto di sistema sportivo. A tal proposito possiamo prendere come riferimento la definizione proposta nella normazione del 1984 dell’Ente di Unificazione

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Italiano, dove si precisa che per «sistema sportivo intendiamo l’insieme di tutti i praticanti e di tutti i servizi sportivi».

Questa breve definizione delinea chiaramente da chi e che cosa è costituita la domanda di sport, i praticanti, e da cosa è invece costituita l’offerta di sport, tutti i servizi sportivi, ma dal punto di vista della rilevanza economica, a livello europeo, si è sentita recentemente la necessità di definire con maggior precisione quali prodotti fossero in grado di individuare il mercato dello sport, in modo tale che si potessero avviare degli studi in grado di permettere una comparazione a livello continentale su quale fosse l’effettivo apporto dello sport alle economie nazionali. L’Unione Europea ha pertanto deciso di uniformare la sua accezione di beni sportivi andando ad identificarli con la “Vilnius Definition”che includeva al suo interno tre ulteriori definizioni (Statistics Netherlands, 2012). La prima di queste è riconducibile alla tabella ATECO 2002: si tratta di una “definizione statistica” che prende in considerazione l’attività istituzionale delle organizzazioni sportive; dalla gestione degli impianti, alla promozione dello sport di alto livello portata avanti da Federazioni, Enti di Promozione Sportiva e Società/Associazioni Sportive (ATECO 2002). Alla definizione statistica di ATECO si aggiunge la cosidetta “definizione ristretta” che comprende tutti quei beni che sono necessari alla pratica dello sport (dall’abbigliamento alle infrastrutture). Infine, a completare la Vilnius Definition, anche la “definizione allargata” che comprende, oltre i precedenti settori anche tutte quelle attività connesse allo sport ma non necessarie alla pratica (alberghi, ristoranti, trasporti, media).

Per quanto concerne invece il lato della domanda, abbiamo assistito negli ultimi anni al suo progressivo espandersi e diversificarsi: basti pensare a tal proposito al crescente numero di praticanti tra le donne, gli anziani e i bambini. Bisogna poi tener ben presente che a questa domanda di sport, da parte di praticanti attivi, se ne affianca una, di simile consistenza in termini numerici, che è quella dei cosi detti praticanti passivi. Tenendo infine presente la molteplicità di discipline, l’esasperata settorializzazione del materiale tecnico necessario per la loro pratica, si può bene comprendere quanto la domanda possa apparire articolata.

Forse ancora più complesso è il versante dell’offerta, dove va ad incrociarsi l’azione di tre diversi attori: le aziende che mirano al profitto; le associazioni e le cooperative,

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caratterizzate da un’alta percentuale di volontariato; le istituzioni sportive e le istituzioni pubbliche.

2.1. La domanda di sport

2.1.1. La domanda di sport in cifre

Seppur rapidamente occorre a questo punto delineare le caratteristiche della domanda di sport, capendo come questa ha potuto evolversi nel corso degli anni. A tal fine ci sono utili alcune fonti statistiche che forniscono dati sulla diffusione della pratica sportiva in Italia e in Europa e nelle quali sono sottolineate anche le diverse distribuzioni sul territorio, per fascia d’età, sesso e condizioni sociali.

Innanzitutto è importante soffermarsi sulle motivazioni che portano un individuo a praticare uno sport e di conseguenza a far si che si crei una domanda di questo bene . Gli elementi che spingono le persone alla pratica sportiva sono essenzialmente due: da una parte l’aspetto ludico, strettamente correlato al tempo libero a disposizione di ciascuno; dall’altra la volontà di migliorare il proprio benessere psicofisico.

Il Censis, in collaborazione con il CONI, ha pubblicato nel 2008 il Primo Rapporto Sport e Società, dal quale emergono alcuni dati significativi che ci permettono di fotografare sia l’offerta che la domanda di sport nel nostro Paese.

In relazione a quest’ultima il Rapporto ha messo in evidenza (dati del 200631) che:

sono stati circa 170.170.000 i cittadini italiani in età pari o superiore ai tre anni che affermano di aver praticato con continuità o saltuariamente uno o più sport, pari a poco più del 30% del totale della popolazione. Di questi più di 11 milioni (il 20.1%) lo fanno con continuità, mentre circa sei milioni (10.1%) praticano sport saltuariamente.

16 milioni e 120.000 cittadini, circa il 28.4% dell’insieme degli individui di tre o più anni residenti nel nostro Paese, non praticano invece nessuna disciplina sportiva ma svolgono comunque attività fisica (fanno passeggiate, escursioni, nuotano, usano la bicicletta ecc.).

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Una quota rilevante, infine, pari a 23.300.000, dichiara di non praticare né sport, né alcuna forma di attività fisica. Costituiscono il popolo dei sedentari che rappresenta il 41% del totale della popolazione italiana.

Occorre inoltre tenere in considerazione anche la distribuzione della diffusione della pratica sportiva a seconda dell’età e del sesso. Per quanto riguarda il primo aspetto, i dati, ricavabili dal Libro Bianco dello Sport Italiano, indicano chiaramente il picco di pratica sportiva nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 14 anni (nel 2011, il 56 % dei ragazzi praticava un’attività sportiva con continuità). Gli stessi dati mettono anche in evidenza che la frequenza di pratica sportiva si abbassa drasticamente dai 15 anni ai 19 scendendo intorno al 42%. Sulla base di dei dati disponibili si può notare un altro aspetto: mettendo a confronto le percentuali relative al 2001 con quelle del 2011, la fascia di età che ha fatto registrare la crescita più consistente è quella degli over 60, passata, nel corso di dieci anni dal 4% all’8%.

Fig.1

Fonte: Libro Bianco dello sport italiano

Per quanto riguarda invece i livelli di pratica continuativa di un’attività sportiva tra uomini e donne, il divario nel 2011 era di quasi nove punti percentuali (il 17,9 % delle donne contro il 26,3 % degli uomini).

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Senza limitarci all’ambito nazionale, è interessante una panoramica di quelli che sono i dati su scala europea. A tal proposito risulta molto utile uno studio pubblicato nel 2011 da un consorzio guidato da Eurostrategies32. I numeri riportati contengono i risultati ricavati nel 2009 da Eurobarometro, che ha condotto l’analisi sui 27 stati membri dell’Unione Europea. La percentuale di popolazione che ha dichiarato di praticare attività sportiva con regolarità si attesta intorno ad un valore molto vicino al 40%, ma la quota sale ulteriormente (arrivando al 65%) chiedendo agli intervistati se hanno praticato «una forma qualsiasi di attività fisica nell’ultima settimana». Traducendo in numeri queste percentuali si arriva ad una cifra che oscilla tra i 150 e i 175 milioni di praticanti assidui. Se invece si scorrono le percentuali di individui che hanno dichiarato di non praticare mai attività sportiva, la media UE 27 è del 39% sul totale del campione. E’ interessante a questo punto cercare di comprendere sulla base di quali fattori si determina a livello nazionale, o sovranazionale, una maggiore o minore diffusione tra la popolazione di pratica sportiva. Trovandoci di fronte alla determinazione di una quantità domandata di un bene, possiamo innanzitutto mettere in relazione la pratica sportiva con il reddito della popolazione. Stando anche in questo caso ai dati, riportati da Eurostrategies, risulta esserci una correlazione tra il Prodotto Interno Lordo Pro Capite e la percentuale di popolazione che ha dichiarato di aver praticato un’attività sportiva nella settimana precedente all’indagine.

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Fig. 2: Correlazione tra il livello di partecipazione sportiva e il reddito procapite (2008) – (da: Eurostrategies)

La stessa relazione può essere evidenziata anche prendendo in considerazione la diffusione dello sport nelle varie regioni italiane. La quota di popolazione che pratica con continuità un’attività sportiva è infatti decisamente maggiore laddove si registrano livelli più alti di reddito procapite. Le punte di partecipazione vengono registrate nelle regioni del Nord Italia (Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto e Lombardia) e i livelli più bassi riscontrati invece nelle Regioni a più basso reddito medio per cittadino (Puglia, Campania, Calabria). (CONI, 2012).

Per quanto questi dati mostrino un legame tra PIL procapite e frequenza della pratica sportiva, alcune realtà si discostano da questa relazione. La presenza di dati fuori dalla media chiama inevitabilmente in causa altre variabili. Proprio alla luce di queste situazione, per capire con maggiore esattezza che cosa può determinare una diversa quantità domandata di attività sportiva, risulta utile l’indagine Eurobarometro, pubblicata nel 2010, “Sport and Phisical Activity” (TNS Opinion & Social, 2010) . In questa indagine sono state messe in evidenza le motivazioni che spingono gli intervistati a non praticare una regolare attività sportiva. L’esito delle interviste, condotte a livello europeo, ha messo in luce che solo il 5% degli intervistati vede il costo come la causa

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