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Il Sistema di Controlli Italiano

4.5 Il Caso Parma

Come scritto nei capitoli precedenti, una delle squadre italiane maggiormente colpite dalla cattiva gestione è stata senza ombra di dubbio il Parma Calcio. Militante per decenni tra la seconda e terza serie italiana (eccetto una breve apparizione nella prima nel lontano 1925), il

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Pagina | 87 team emiliano si affacciò al grande calcio nella stagione 1990/1991. A capo della società vi era Calisto Tanzi, già proprietario dell’azienda Parmalat (all’epoca primo sponsor del Parma Calcio), giunto a capo del club a seguito del decesso dell’allora presidente Ernesto Ceresini. La squadra gialloblu iniziò da subito a collezionare ottimi risultati sportivi, divenendo ben presto la cenerentola del campionato e issandosi già nella sua prima stagione di militanza in Serie A ad un ottimo sesto posto. L’annata successiva, invece, fu quella del primo alloro: la Coppa Italia. Questo fu solo l’inizio di un ciclo vincente venutosi a creare in terra emiliana, infatti, tra gli anni Novanta e i primi Duemila, il Parma riuscì ad impreziosire la propria bacheca con: due Coppe UEFA, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, altre due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Inoltre, furono ottenuti anche ottimi risultati in campionato (su tutti lo scudetto sfiorato di soli due punti nella stagione 1996/97). Come scritto in precedenza, le malefatte della famiglia Tanzi all’interno di Parmalat ebbero gravi ripercussioni anche sulla società Parma Calcio. Infatti, nonostante maxi cessioni come quelle di Hernan Crespo alla Lazio per 55 milioni di euro, Gianluigi Buffon e Lilian Thuram alla Juventus per 95 milioni e Fabio Cannavaro al’Inter per 23 milioni di euro, nel 2004 la società emiliana si ritrovò ad un passo dal fallimento.88 Nonostante ciò, grazie allo creazione di una nuova società a cui vennero trasferiti tutti i diritti dell’allora Parma Calcio, svincolandosi così da Parmalat, si riuscì a far rientrare il club emiliano nei parametri per l’applicazione della Legge Marzano del 2004, deviando così il pericolo di ripartire dai dilettanti. Dopo svariate vicissitudini e tre anni di commissariamento, la società emiliana trovò finalmente un nuovo proprietario: Tommaso Ghirardi. Il giovane presidente, se in prima battuta sembrò restituire dignità al club, al termine dei fatti fu invece il definitivo carnefice del glorioso Parma Calcio.

Ghirardi, imprenditore bresciano, già conosciuto all’interno del settore calcistico per aver portato la piccola società dell’A.C. Carpenedolo dai dilettanti alla Serie C, acquistò il Parma Calcio per un cifra attorno ai 4,5 milioni di euro e, inoltre, grazie ad alcuni crediti derivanti dal calciomercato ceduti in capo al nuovo Parma, acquistò per 12,6 milioni di euro anche il marchio del vecchio club emiliano. Dopo una serie di buoni campionati che sembravano aver scacciato i fantasmi del passato, il Parma, sotto la guida tecnica di Roberto Donadoni, raggiunse grazie ad un lusinghiero sesto posto la qualificazione per l’Europa League (la vecchia Coppa UEFA) nella primavera del 2014. Ben presto, però, quello che sembrava essere un sogno ad occhi aperti per i tifosi emiliani si rivelò l’inizio di un terribile

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Pagina | 88 incubo. Infatti, la qualificazione ad una competizione europea rese necessario per il club emiliano l’ottenimento della Licenza UEFA, con l’annesso rispetto di tutti i parametri da essa richiesta. Quando UEFA e FIGC, a pochi giorni dall’euforia per la qualificazione sul campo, rigettarono la richiesta di Licenza del Parma per mancati pagamenti Irpef pari a 260 mila euro, iniziarono a venire a galla i prime grandi dubbi. Poi, qualche giorno dopo il mancato ottenimento della Licenza, arrivarono anche le dimissioni del presidente Ghirardi che in un intervista rilasciata di fronte alla stampa definì la vicenda come surreale e minacciò il ricorso alle vie legali, arrivando addirittura a sollevare dubbi sulla malafede delle alte sfere.89 Purtroppo, però, di erroneo nella mancata concessione della Licenza UEFA non c’era nulla, anzi, essa portò a galla un sistema gestionale ampiamente deficitario. Infatti, dall’estate 2012 il club emiliano aveva iniziato ad attuare una politica di gestione del parco giocatori molto particolare e di dubbio valore reddituale. Questo sistema si basava sull’acquisto, anche nelle leghe minori, di un numero altissimo di giocatori, quasi tutti poi parcheggiati in squadre satelliti di Serie B, Lega Pro o estere (soprattutto il Nova Gorica in Slovenia), nell’attesa di trovare un giovane talento con cui creare una maxi plusvalenza. Sfortunatamente, anche per alcune regolamentazioni sugli stipendi nelle serie minori (in Serie B era presente un tetto agli ingaggi, mentre la Lega Pro imponeva il totale pagamento degli emolumenti da parte della società proprietaria del cartellino), la politica gestionale del Parma portò solo frutti amari, con le casse del team presto dissanguate. La società ducale arrivò addirittura a tesserare la quota monstre di 230 giocatori professionisti90: una situazione ingestibile (alla luce anche del mancato accesso agli introiti delle competizioni europee) deflagrata in tutta la sua brutalità nell’estate 2014, quando la società non fu più in grado di pagare totalmente gli stipendi. Ghirardi, intanto, dopo aver ritirato le sue dimissioni nel settembre dello stesso anno, il 7 dicembre annunciò di aver ceduto il club emiliano ad una cordata di petrolieri russo-ciprioti rappresentati dall’avocato Fabio Giordano. Il nuovo presidente venne individuato nella figura di Pietro Doca, gioielliere italo-albanese, il quale, però, dopo appena un giorno smentì il tutto. Seguì un mese alquanto turbolento, con i nomi della cordata sempre più aleatori; in particolare, piuttosto strana fu la figura di Rezart Taci, che sembrò muoversi come plenipotenziario del club anche in sede di mercato nonostante non possedesse, di fatto, alcuna carica. Il 21 gennaio avvenne un ulteriore colpo di scena: tramite una nota ufficiale sul sito del

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Tosi Andrea, Parma, Ghirardi: “La società è in vendita, ho chiuso con il calcio”, www.gazzetta.it, 30/05/2014

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Pagina | 89 club venne annunciato un nuovo presidente: Ermir Kodra, specializzato nella gestione dei rischi finanziari. I soldi, però, continuavano a languire e i giocatori, che stavano riversando sul campo tutte le loro frustrazioni (si trovavano infatti tristemente come fanalino di coda del campionato), iniziarono a rescindere i contratti (fu il caso di Antonio Cassano, Francesco Lodi e Felipe) oppure a lanciare ultimatum per il saldo degli ingaggi. Tra il 5 e l’8 febbraio, il club continuò la propria via crucis finanziaria con un susseguirsi di colpi di scena. Prima, tramite una nota sul sito ufficiale, venne comunicata la cessione del club ad un gruppo di imprenditori locali, con Fiorenzo Alborghetti come manager di riferimento, appena due giorni dopo, invece, Giampietro Manenti, imprenditore milanese che millantava collegamenti con un potente gruppo petrolifero russo, si auto-proclamò presidente. L’indomani l’auto- proclamazione di Manenti, Doca (rimasto comunque all’interno della cordata a capo del Parma) confermò la cessione del club per l’irrisoria cifra di un euro, poiché, come confermò in un’intervista, «il problema sono i debiti», sottintendendo quindi che nessuno si sarebbe accollato la situazione finanziaria del club elargendo ulteriori milioni per pagare il reale valore del club. Dai dati dell’ultimo bilancio depositato in Camera di commercio, infatti, la situazione debitoria del club al 30 giugno 2014 risultava gravissima: una cifra pari a 197,4 milioni di euro, con un aumento del 1.100% in otto anni. Solo le plusvalenze dovute alle cessioni dei giocatori avevano parzialmente lenito la forbice tra costi a ricavi, la quale faceva comunque segnare una perdita di oltre cinquanta milioni. Il 16 febbraio, giorno della scadenza dell’ultimatum dato dai calciatori, gli stipendi non erano ancora stati saldati. Scattò così il pignoramento da parte di Equitalia di diversi beni societari (alcuni furgoni e auto) e la richiesta formale di fallimento per inadempienze fiscali da parte della Procura di Parma. Manenti, intanto, pur essendosi dichiarato fiducioso, sparì dalla circolazione. I dipendenti del Parma iniziarono a far trapelare le pessime condizioni di lavoro in cui si stavano trovando; la più autorevole fu firmata dall’ex calciatore Hernan Crespo (allora allenatore della Primavera) che esternò la difficile situazione a cui erano sottoposti i suoi ragazzi e tra le altre cose affermò «Com’è stato possibile iscrivere una squadra che non arriverà a fine campionato?»91

. Vennero intanto rinviate due partite di campionato del Parma, che in caso fossero diventate quattro avrebbero portato il club a perdere tutte le successive a tavolino. In questo modo, però, si sarebbe rischiato di falsare il campionato, dato che comunque qualche squadra aveva già perso dei punti col club emiliano nelle partite precedenti. Al fine di salvaguardare la regolare conclusione del campionato, la Lega di Serie A si riunì a Milano il 6 marzo e

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Pagina | 90 deliberò, con maggioranza di sedici su venti squadre, una soluzione “politica” che prevedeva l’aiuto dei club al Parma, qualora il curatore fallimentare avesse ritenuto validi gli estremi per la continuazione dell’esercizio, tramite la concessione di circa 5 milioni di euro provenienti dal fondo multe comminate dal giudice sportivo.92 Si riuscì così a rimettere in moto la squadra che concluse regolarmente il campionato (senza però arrivare alla salvezza).

Nel frattempo Manenti venne arrestato per ordine della Procura di Roma con l’accusa di reimpiego di capitali illeciti. Infatti, stando a quanto scoperto dalla Guardia di Finanza, l’obiettivo di Manenti e dei suoi soci era quello di servirsi del Parma attraverso alcune sponsorizzazioni per ripulire soldi rubati telematicamente.

La gravità dei fatti appena descritti può essere riassunta con la sensazione di sollievo con il quale i tifosi accolsero, dopo mesi di inganni e truffe, la sentenza del Tribunale di Parma, che dichiarò ufficialmente fallito nel pomeriggio del 19 marzo 2015. Il Parma, traghettato fino a fine stagione dai commissari, e nonostante l’opera di FIGC e Lega nel trovare una soluzione che gli permettesse di rimanere perlomeno nel calcio professionistico, non trovò alcun acquirente e si ritrovò così costretto a ripartire dai dilettanti.

La triste vicenda accaduta al Parma Calcio ha per ultima cosa dimostrato la fragilità del sistema di controlli del Calcio Italiano, incapace di prevenire una situazione davvero spiacevole per i tifosi e lesiva dell’immagine della Serie A nel mondo. Il vecchio sistema di controlli basato sugli indici descritti nel paragrafo precedente ha mostrato tutte le sue falle e così, visto anche gli obblighi previsti per quei club che partecipano alle competizioni europee, la FIGC ha scelto di muoversi anch’essa in un ottica di maggiore attenzione dei conti, decidendo di introdurre un nuovo sistema di Licenze Nazionali.