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CAPITOLO 1 La castanicoltura in Lunigiana

1.4 La coltura del castagno e l’evoluzione del settore in Italia

1.4.1 La castanicoltura in Toscana e Lunigiana

Toscana

Fonti storiche collocano l’inizio della castanicoltura toscana prima del X secolo. In Toscana la superficie coperta è seconda soltanto al cerro e riguarda circa 160.000 ha, di cui oltre 127.000 in formazioni miste con latifoglie (INFC, 2005), ma sono discrepanti le fonti. Sebbene ricopra un’ampia superficie, gli impianti da frutto sussistono su meno di 20.000 ha (tabella 5), situati soprattutto nelle province di Arezzo, Lucca, Firenze, Massa Carrara e Grosseto.

La gestione è, prevalentemente, a ceduo (108.604 ha, contro 14.091 a fustaia e restanti 34.174 di impianti da frutto, non definiti o non classificati), per il 95,6% allo stadio adulto o invecchiato e, per l’89% circa, di origine seminaturale (INFC, 2005).

Il 69,8% dei castagneti toscani sono collocati in quota tra i 501 e i 1000 m slm, e 11.772 ha risultano situati in aree non accessibili (INFC, 2005). Tutta la superficie è sottoposta a vincolo idrogeologico, ma soltanto 31.796 ha risultano sottoposti a vincolo naturalistico (INFC, 2005).

Secondo vari autori, i castagneti toscani sono suddivisi in quattro tipologie forestali (Giannini, 2010; Mondino e Bernetti, 1998):

 ‘Castagneto mesofilo su arenaria’, rappresentati da castagneti da frutto di grandi dimensioni o cedui rigogliosi, di II classe di fertilità (e, nei compluvi, anche di I classe). Hanno rese elevate ma necessitano, per la fertilità del terreno, di costanti potature. La loro prima ceduazione caus formazione di ceppaie grosse e rade, con polloni sciabolati, mentre dalla seconda ceduazione si ottengono soprassuoli densi con polloni più regolari. I cedui sono molto produttivi: con turni di 25 - 30 anni e 1 – 3 diradamenti forniscono buone quantità di assortimenti da lavoro.  ‘Castagneto acidofilo’. I castagneti da frutto di questa categoria presentano un

modesto sviluppo. I cedui appartengono alla III e IV classe di fertilità. La loro gestione ha turni brevi e produce assortimenti di piccole dimensioni.

 ‘Castagneto neutrofilo su rocce calcaree e scisti marnosi’. Questa categoria evolve, rapidamente, in ostrieto.

 ‘Castagneto mesotrofico su rocce vulcaniche del Monte Amiata’, localizzato esclusivamente sul suo cono vulcanico.

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Per quanto riguarda la tipologia ‘da frutto’, la produzione regionale, nel periodo 1997 – 2007, si è attestata su 41.529 quintali di frutti, il 7,7% della produzione totale nazionale (dopo Campania, Calabria e Lazio, nelle quali un ruolo importante è rivestito dall’industria della trasformazione e da prodotti di pregio) (ISTAT, 2001) e appena il 10% di quanto la Toscana produceva negli Anni ’30.

Tabella 5 - Evoluzione delle superfici a castagno da frutto in Toscana, Campania, Calabria, Piemonte, Lazio e in Italia (ha e percentuali) nell’ultimo trentennio. (Elaborazione propria su dati ISTAT Censimenti in Agricoltura 1982, 1991, 2000).

Regione 1982 1991 2000 ha % ha % Ha % Toscana 35.257 25 21.218,67 20 16.138,26 21 Campania 17.498 12 16.682,73 16 15.915,93 21 Calabria 27.474 20 21.269,5 20 14.278,29 19 Piemonte 19.673 14 15.537,36 14 9.179,78 12 Lazio 6.333,41 5 6.349,24 6 5.567,5 7 Italia 140.133 (100) 107.608 (100) 75.985 (100)

Nelle zone montane della Toscana i castagneti, per lungo tempo, hanno costituito un’importante, se non unica, fonte di sostentamento delle popolazioni rurali montane e pedemontane. Dal secondo dopoguerra (tabella 6), si è assistito al progressivo abbandono dell’economia del castagno, che ha rappresentato la perdita di una risorsa occupazionale e delle conoscenze a essa legate, generando i problemi in precedenza descritti.

Tabella 6 – Evoluzione storica nell’ultimo secolo delle superfici coltivate a castagno in Toscana (fonte: Piano Settore Castanicolo 2008 – 2013 e Inventario Forestale Toscana, 2005).

periodo superficie (ha) fine XIX secolo 150.000

Anni ‘30 125.000

fine Anni ‘40 120.000

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La Lunigiana ha una superficie boschiva di 70.560 ha su un totale di 86.713 della provincia di Massa Carrara (INFC, 2005) e l’Indice di Boscosità di 0,7 (72,41 %), il più alto se si considerano tutte le ex Comunità Montane della Toscana, decisamente superiore alla media regionale del 47,24%, con una tendenza alla progressiva espansione stanti le premesse sul paesaggio. Secondo i dati ISTAT del 5° Censimento in Agricoltura (2000), solo 22.476,03 ha sono accorpate alle superfici aziendali, però nel calcolo della SAT (Superficie Agricola Totale) non è considerata la superficie boschiva extra – aziendale, altrimenti il rapporto SAT/ST salirebbe consistentemente e risulterebbe superiore alla media regionale (Berti, 2005; ISTAT, 2001). I dati parziali del 6° Censimento in Agricoltura, al momento riferiti alla provincia di Massa Carrara, mostrano un numero di aziende produttrici di colture legnose agrarie in netto calo (2.757, nel 2010, contro le 6.839 rilevate nel 5° Censimento, per un decremento di circa 2.400 ha – 3.429 contro i 5.808 del 2000) (ISTAT, 2012).

In una ripartizione zonale, la SAU a coltivazioni legnose agrarie (tra le quali il castagno) della provincia di Massa Carrara è di 5874,1 ha, dei quali 208 di arboricoltura da legno. La Comunità Montana della Lunigiana ha una SAU a legnose agrarie di 4.569,8 ha, 22.628,3 di boschi e 207,7 di arboricoltura da legno.

Nella superficie boschiva, costituita principalmente da cerro, carpino e faggio, il castagno riveste un’importanza tale da costituire una specifica categoria di uso del suolo, i cosiddetti ‘Castagneti da frutto’, ovvero soprassuoli coltivati per la produzione del frutto, suddivisi in varie sottocategorie che ne descrivono il diverso stato di conservazione. I dati sulle superfici castanicole regionali più recenti sono quelli dell’Inventario Forestale Nazionale, che riferisce, per la provincia di Massa Carrara, 26.015 ha (INFC, 2005), ovvero il 16% circa della superficie castanicola regionale. Sia per questi dati, sia per quanto si è potuto osservare direttamente, sia considerata la globale contrazione, più o meno pronunciata, in termini di SAU, del settore agricolo toscano, evidente dai risultati parziali del 6° Censimento, si può ragionevolmente dedurre un drastico abbandono delle superfici castanicole. Ciò è dovuto a una congiunzione di fattori particolarmente negativi, purtroppo concomitanti, quali, ad esempio, le recrudescenze delle storiche epidemie fungine, legate anche

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all’indebolimento causato dal Cinipide, oltre agli effetti globali della crisi economica, che si ripercuotono in maniera ancor più grave sui micro – settori dell’agricoltura. Questi fattori stanno impedendo il rinnovamento, o anche solo le normali pratiche gestionali di cura degli impianti, dei quali il settore boschivo e, in particolar modo, castanicolo, necessiterebbe, ancor più in Lunigiana, dove il bosco è l’elemento chiave del paesaggio e costituisce un’importante risorsa da valorizzare.

Il limite fra il castagneto coltivato e quello abbandonato è spesso sfumato, ed è presumibile che sia praticata la raccolta anche in castagneti non più curati, soprattutto dove esistono piante di particolare importanza, sia per l'abbondanza che per la qualità del frutto. La coltura del castagneto da frutto, negli anni, si è ulteriormente contratta: quelle che, un tempo, erano estensioni uniformi di decine di ettari, si presentano come un mosaico di strutture eterogenee. Ciò è determinato dall'alternanza di cedui di diversa età, ai quali si affiancano tratti di castagneto da frutto ancora in coltura o, più spesso, in vari stadi di abbandono.

Già verso la fine degli Anni ‘70 una buona percentuale dei castagneti presenti in Lunigiana risultava in abbandono, presentando una fisionomia mista tra coltivato e ceduo. Col passare degli anni il ceduo ha, di fatto, conquistato buona parte degli spazi all'interno dei castagneti da frutto, modificando significativamente struttura e fisionomia di questi soprassuoli. Oggi, nell’area considerata, si possono individuare due tipologie di conduzioni dei castagneti da frutto:

a) Castagneti in coltura

Si tratta, ormai, di formazioni di limitata estensione, situate nei pressi di centri antropizzati, in discreto stato di conservazione poiché, nel tempo, gli sono stati preservati i migliori suoli, col progressivo abbandono degli altri. Presentano, comunque, minime spese gestionali: le uniche operazioni colturali effettuate sono saltuarie ripuliture, come l’eliminazione dei ricacci e delle piante infestanti, arboree e arbustive, oltre alla pulizia del terreno prima della raccolta in autunno e, saltuariamente, pratiche di gestione fitosanitaria.

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Difficilmente riconducibili a un’unica tipologia, a causa della vegetazione che si è succeduta, sono spesso condizionati dall’alternarsi di periodi di parziale utilizzo e successivi abbandoni. In alcune zone, soprattutto in prossimità degli abitati, è frequente l'insediamento, nell’areale, di Robinia pseudoacacia L., specie che storicamente ha gradualmente sostituito i castagneti su tutto il territorio italiano (figura 9). Essa sembra trovare condizioni favorevoli, soprattutto, laddove si sono verificati frequenti incendi, per cui spesso il vecchio castagneto risulta trasformato in un bosco misto a struttura irregolare, nel quale il castagno si compenetra, a tratti, con ceduo misto. Questi soprassuoli sono disomogenei e, spesso, irrecuperabili a un sistema razionale di coltivazione. Si riterrebbe più opportuna la loro riconversione a ceduo, specie dove si ha accesso facile con macchinari, mediante taglio a raso (http://portale.provincia.ms.it/pag e.asp?IDCategoria=2102&IDSezione=9947&IDOggetto=11775&Tipo=GENERICO).