CAPITOLO 3 Importazione e rilascio di organismi esotici ai fini di difesa biologica
3.4 Problematiche legate all’introduzione di entomofagi
L’introduzione di entomofagi in programmi di controllo biologico è, da anni, oggetto di discussione. Per molti autori l’inserimento di un organismo all’interno di nuove reti ecologiche può comportare rischi, per cui dovrebbe essere obbligatorio condurre, a priori, accurate valutazioni (Barratt et al., 2010; Cock et al., 2010; Tiberi, 2009; Bigler et al., 2006; van Lenteren et al., 2006; IPPC, 2005), mentre per altri non sarebbe nient’altro che l’accelerazione del normale processo di diffusione delle specie (Bale, 2011). Questo dibattito può ritardare la diffusione degli organismi utili ma, di fatto, finora non ha scoraggiato l’adozione di questa strategia (Cock et al., 2010; Kairo et al., 2003), a cui si è abbondantemente ricorso anche in carenza di legislazione specifica e che – probabilmente soltanto per questo motivo – non ha mai evidenziato effetti negativi (Bale, 2011).
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In prospettiva dell’introduzione di un IBCA, gli studi sono perlopiù concentrati su:
a) adattabilità dell’entomofago all’areale e sua dispersione. In particolare, si ritiene che gran parte del successo nell’importazione di agenti di controllo biologico derivi dall’equilibrio nella distribuzione spaziale dell’entomofago, secondo la cosiddetta ‘Goldilocks Hypothesis’ (Heimpel e Asplen, 2011; Roy et al., 2011), evitando cioè sia un’eccessiva che una scarsa dispersione, scegliendo distanze intermedie tra un areale di lancio e l’altro, massimizzando così la probabilità di stanzializzazione senza che il parassitoide tenda ad allontanarsi, a ibridarsi con specie autoctone – estinguendosi o diminuendo la propria fitness – né, altresì, divenire invasiva, pur tenendo presente che ogni specie possiede una propria velocità di distribuzione all’interno di un areale (Heimpel e Asplen, 2011). La dispersione avviene quando una popolazione, una volta stabilita, incrementa fortemente di numero e si trova a dover espandere il proprio areale (Engelkes e Mills, 2011), ma il suo grado è difficile da valutare perché non è un tratto fisso della specie (Lawson Handley et al., 2011) e agisce, assieme, alla selezione naturale, nei meccanismi interni di regolazione di un habitat.
b) differimento temporale tra rilascio ed establishment dell’entomofago (Bale, 2011; Santi, 2002; Angelet et al., 1979), il cui potenziale è, generalmente, valutato sulla base della capacità di svernamento e altri aspetti relativi ai range termici nella biologia dell’organismo (Bale, 2011), nonché alla sincronizzazione del ciclo del parassitoide con quello della vittima nello specifico areale.
c) interazioni con altri insetti utili (Engelkes e Mills, 2011; Santi, 2002; Rosenheim et al., 1995) come il caso di Harmonia axyridis (Pallas) (Coleoptera Coccinellidae), attivo predatore di afidi e cocciniglie di origine asiatica. Introdotto intenzionalmente in Europa dal 1982 (Bailey et al., 2010; Brown et al., 2008) nonostante un’analisi retrospettiva l’abbia definito soggetto a rischio da non importare (Bailey et al., 2010; van Lenteren et al., 2008; van Lenteren et al., 2003), al giorno d’oggi ha mostrato un significativo impatto sulla biocenosi utile di 13 paesi, dalla Danimarca al Sud della Francia (Bailey et al., 2010), nei quali si è, nel frattempo, diffuso.
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Altro caso riguarda eventuali fenomeni d’ibridazione con entomofagi indigeni, dai risultati poco prevedibili, come già avvenuto in Giappone tra Torymus sinensis e T. beneficus Yasumatsu & Kamijo (Gibbs et al., 2011; Tiberi; 2009, Yara et al., 2007). Quest’ultimo aspetto, in particolare, potrebbe provocare forti cambiamenti in una popolazione, inserendovi cioè fenotipi ibridi particolarmente competitivi (Lawson Handley et al., 2011) rispetto alle specie incrociate, a causa dell’eterosi indotta dalla ricombinazione dei loro genotipi. L’instaurazione di nuove popolazioni porta a nuove interazioni e il successo è definito in termini di maggior capacità, da parte delle specie aliene, di competere per le risorse o di inserirsi in catene trofiche equilibrate (Engelkes e Mills, 2011). In particolare gli studi odierni si stanno basando sulla cosiddetta ‘ecologia molecolare’ (Lawson Handley et al., 2011), che ricerca patterns genetici che determinano i comportamenti e si riflettono nei fenotipi di ospiti e parassiti, in modo da indagare le interazioni, le meccaniche e le tempistiche di diffusione.
d) eventuale impatto su specie non - target (Tiberi, 2009; Santi, 2002; Howarth, 1991) e sui livelli trofici superiori (Barratt et al., 2010; Tiberi, 2009, van Lenteren et al., 2006), come il fenomeno dell’iperparassitismo, dovuto alla voracità dell’entomofago o a una crescita esponenziale della sua popolazione a seguito di un adattamento più che ottimale. Ad esempio, T. sinensis, in Giappone, ha fatto registrare, in circa 10 anni, incrementi di densità di popolazione a discapito di quella del parassitoide indigeno T. beneficus (Tiberi, 2009; Moriya et al., 1992).
e) interazioni ospite – parassita (o predatore – preda) (Lawson Handley et al., 2011), al giorno d’oggi valutate tramite marcatori molecolari.
L’efficacia d’introduzione viene, dunque, misurata sulla base dell’equilibrio tra due tratti essenziali del soggetto: deve stabilirsi in maniera permanente ma deve, altresì, mostrare spiccata ospite – specificità, per non nuocere agli organismi non target, una volta compiuta l’opera di contenimento del fitofago (Bailey et al., 2010). Al momento, però, non esiste una scala di valutazione, condivisa e univoca, dell’impatto di un organismo esotico introdotto (De Clercq et al., 2011).
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Gli aspetti sopraelencati rappresentano obiettivi minimi preliminari per un programma d’introduzione. Per quanto l’organismo utile possa rivelarsi efficiente, vanno ben ponderate le conseguenze ecologiche derivanti dalla formazione ex novo di rapporti trofici (Santi, 2002): ad esempio, un lancio di ausiliari andato a buon fine potrebbe comportare l’occupazione della nicchia, in precedenza occupata dalla specie dannosa, da parte di ulteriori organismi, potenzialmente anche più nocivi (Santi, 2002; Howarth, 1991; Harris, 1990).
Al giorno d’oggi sono oltre 11.000 le specie animali aliene (Bailey et al., 2011; http://www.europe-aliens.org/default.do;jsessionid=FBE43A2DD6E16DA3BDB0F942 15592913) ed esiste uno specifico programma, denominato DAISIE (‘Delivering alien invasive species in Europe’), condotto da 19 istituzioni provenienti da 15 diversi Paesi (Roy et al., 2011a) e sviluppato dalla Commissione Europea nel biennio 2008 – 2009, per censirle e inserirle in un database (‘European Species Database’, http://www.europe-aliens.org/) correlato di mappe di distribuzione. Il suo scopo è informare e incrementare le conoscenze sulla biologia delle specie aliene, monitorandone, così, nel tempo, il grado d’invasività (Roy et al., 2011a; Roy et al., 2011) ed elencando quelle con potenziale rischio.
Nonostante il gran numero di introduzioni, tuttavia, è in genere assodato come le specie introdotte per il controllo biologico mostrino un successo inferiore, nello stabilirsi, rispetto ai fitofagi (Engelkes e Mills, 2011).
Sono 1590 le specie di artropodi terrestri aliene presenti in Europa, tra le quali 513 predatori o parassitoidi (Roy et al., 2011a; Roy et al., 2011), di cui almeno il 34% introdotti intenzionalmente per il controllo biologico (Roy et al., 2011a). Solo una piccola frazione di essi ha mostrato impatto economico o ecologico. Tra di esse, almeno 7 specie d’insetti appaiono di rilevante importanza economica per l’agricoltura (Bailey et al., 2010), più molti altri dannosi per specie d’interesse paesaggistico e/o ornamentale. Per ognuna di esse è stata statisticamente stimata l’esistenza globale di un numero compreso tra le 50 e le 250 specie di nemici naturali (Bailey et al., 2010; van Lenteren, 2000), tra i quali scegliere il più efficace antagonista – in termini di caratteristiche e di possibilità di allevamento, studio ed eventuale riproduzione – sebbene, per ragioni economiche, solo una piccola parte venga sperimentata dopo aver mostrato efficacia d’azione. In tutto il mondo sono state, sinora, documentate oltre 7000
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introduzioni di 2700 specie di organismi all’interno di oltre 50 Paesi, misurando un flusso di materiale da 119 verso 146 Stati (van Lenteren et al., 2011; Bailey et al., 2010; van Lenteren et al., 2006). Tra di esse sono circa 30 le specie a costituire il 90% del mercato globale. In particolare, per quanto riguarda l’Europa sono circa 130 le specie di nemici naturali usati (Sheppard et al., 2006).