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CAPITOLO 3 Importazione e rilascio di organismi esotici ai fini di difesa biologica

3.11 La legislazione nazionale

Le legislazioni nazionali, laddove presenti, solitamente fanno ricadere la regolamentazione riguardante gli ‘Invertebrate Biological Control Agents’ – o parte di essi – in 3 categorie: quella relativa alla salute delle piante, quella sui fitofarmaci o quella sull’ambiente (Hunt et al., 2011). Tali norme scaturiscono, generalmente, da linee guida di Direttive Comunitarie: ad esempio, la legislazione di Regno Unito, Danimarca e Olanda deriva dai documenti in materia di conservazione ambientale, mentre quella di Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Svezia, dalla Direttiva 91/414/CEE (Hunt et al., 2011). Questa difformità rende del tutto soggettivi i criteri di valutazione, secondo i quali gli esperti chiamati a giudicare potrebbero definire sicuro un organismo in una nazione e rischioso in un’altra.

C’è da rimarcare, infine, come – eccetto la Nuova Zelanda, che li considera ‘specie nativa protetta’ (Hunt et al., 2011) – nessun Paese applica restrizioni nell’uso di IBCAs autoctoni oltre alla normale registrazione.

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('Evaluating Environmental Risks of Biological Control Introductions into Europe'); 5(International Organization for Biological Control of Noxious Animals and Plants/West Palearctic Regional Session’) 6

‘Commission on the harmonization of Invertebrate Biological Control Agents’, 7‘International Biocontrol Manifactures Association’, 8'Regulation of Biological Control Agents'.

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Inoltre, in Europa, la legislazione riguardante i PPPs – e, conseguentemente, i Microbial BCAs – segue una procedura articolata in due passi. Innanzi tutto, essi vengono valutati dall’Unione Europea, dopodiché il dossier contenente tutte le informazioni, assieme a dei campioni, viene sottoposto a uno Stato Membro che funge da rappresentante (RMS, ‘Rapporteur Member State’) (Hauschild et al., 2011). Una volta valutato il prodotto e incluso nell’Annex I, il suo utilizzo è a discrezione degli interessati.

In Italia, per anni, è esistita una regolamentazione per l’importazione dei microrganismi utili e altre sostanze attive tradizionalmente usate in agricoltura biologica, estremamente semplificata: l’unico obbligo delle compagnie era indicare il nome scientifico dell’agente sull’etichetta del prodotto (Hauschild et al., 2011) anziché un marchio commerciale (DPR n. 290 del 23 aprile 2001). Bacillus thuringiensis, Trichoderma harzianum e altri sono stati, cioè, commercializzati senza alcuna necessità di valutazione della sicurezza fino al 2006, ma fortunatamente, non si è mai registrato alcun danno (Ehlers, 2011).

Per quanto riguarda, invece, lo specifico ambito degli entomofagi, l’Italia ha, negli anni, firmato e ratificato diverse Convenzioni internazionali e le Direttive Europee precedentemente descritte. Tuttavia, non esiste normativa nazionale specifica sull’introduzione di agenti di controllo biologico esotici, come non esiste a livello europeo, per cui i riferimenti sono da ricercare nella legislazione sull’introduzione di specie alloctone, cioè il DPR n. 357 dell’8 settembre 1997, ratifica della Direttiva 92/43/CEE, successivamente integrato dal DPR n. 120 del 12 marzo 2003.

Questi decreti regolamentano le introduzioni di specie in molti ambiti, dall’acquacoltura alla fauna venatoria, dal ripopolamento naturalistico alla botanica, agli organismi utili. Definiscono la tutela di habitat naturali e specie (indicate nei propri allegati A, B, D, E), sancendo di fatto il divieto di introduzione, reintroduzione e ripopolamento (art. 12 DPR 120/03), da estendersi a tutte le specie alloctone vegetali e animali, al fine di prevenire ogni possibile impatto sulle biocenosi naturali. Sono escluse dal divieto le specie per cui, sulla base di adeguate valutazioni tecnico – scientifiche, è accertata l’assenza di rischi per l’ambiente a seguito della loro introduzione.

Definendo (art. 2, comma 1, lett. O – sexies) ‘autoctone’ ‘le popolazioni o specie facenti parte, per motivi storico – ecologici, della fauna e flora italiana’ e ‘parautoctone’

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quelle introdotte attraverso naturali fenomeni di espansione prima del 1500, di riflesso considera ‘alloctone’ le escluse, giunte su un territorio per intervento indiretto – intenzionale – o diretto – accidentale – dell’uomo, comprese le specie alloctone naturalizzate e i rilasci operati in strutture di contenimento o aree isolate, dalle quali non è possibile escludere rischi di fuga (Min. Ambiente e del Territorio e del Mare e Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, 2007).

A tal proposito, il Ministero dell’Ambiente, assieme all’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, ha pubblicato, nel 2007, per approfondire le molte sfaccettature dei decreti, il n. 27 di ‘Quaderni di Conservazione della Natura’ contenente ‘Linee guida per l’immissione di specie faunistiche’, nel quale è presente anche un breve paragrafo di indirizzamento per chi si occupa di difesa biologica.

Dunque, di fatto, in Italia, è vietata l’introduzione di organismi alieni, sia in ecosistemi che in strutture protette e controllate.

In caso di necessità per il controllo biologico, solitamente è un ente di ricerca a proporre l’introduzione di un entomofago allo scopo di sperimentarne l’efficacia e, soprattutto, l’impatto nel nuovo ecosistema, poiché il primo obiettivo risulta sempre quello di non sconvolgerne gli equilibri, come riportato dall’articolo 22 comma b della Direttiva 92/43/CEE.

L’ente proponente deve, infatti, produrre una rigorosa valutazione del rischio nell’introduzione dell’organismo, accertandone l’assenza o la scarsa rilevanza, sotto forma di un dossier fornito al Ministero dell’Ambiente, il quale, di conseguenza, può rilasciare o no l’autorizzazione all’uso.

L’analisi del rischio dovrà basarsi su una scrupolosa disamina delle informazioni tecnico scientifiche disponibili, su opinioni di esperti e su analisi quali – quantitative, come:

- analisi del contesto geografico in cui si intende introdurre l’organismo - capacità di dispersione dell’organismo

- possibile impatto derivante dall’insediamento della specie.

Essa deve prevedere i rischi derivanti dall’impatto dell’organismo sull’ambiente, valutandone la capacità d’insediamento, la dispersione, l’impatto su specie ‘non – target’ e le eventuali misure di contenimento da adottare. In caso d’inadeguate informazioni e valutazioni tecniche, il principio solitamente adottato è quello della

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precauzione, anche se, al giorno d’oggi, esso appare più una giustificazione storica dovuta alla carenza di legislazione che una reale necessità (Ehlers, 2011), in caso si seguano corrette procedure di valutazione.

Per quanto riguarda la conduzione pratica dell’analisi, gli Standard di riferimento sono quelli già elencati: il ‘Code of conduct for the import and release of exotic biologicalcontrol agents’ (IPPC, 1996), le ‘Guidelines for pest risk analysis’ (ISPM), gli Standard EPPO e la recente Guida metodologica proposta dalla Commissione del progetto REBECA. Sulla base dell’analisi del rischio presentata e della sua valutazione tecnica, verrà autorizzata o meno l’introduzione.