2 Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti
2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento
2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento
Come visto, per contrastare le pratiche di una introduzioni di prassi di tortura,
per quanto chirurgiche e mirate contro i soli “nemici”, vi sono moltissime norme cui
attingere.
È quindi compito del giurista individuare un catalogo di principi fondamentali
inderogabili anche durante le emergenze e in presenza del terrorismo.
Siffatto catalogo può dividersi in tre gruppi:
a) del diritto alla vita, con i corollari del divieto della pena di
morte, e i connessi divieti di estradizione e di espulsione;
b) del diritto all’integrità e del conseguente divieto di torture e
trattamenti inumani e degradanti;
c) del principio di non discriminazione, sullo sfondo, anch’esso
imprescindibile, dei principi del giusto processo.
Quanto al diritto alla vita, esso costituisce il presupposto necessario di ogni
altro diritto costituzionale, e il suo rispetto viene imposto al legislatore prima ancora
che ad ogni cittadino.
Esso è inderogabile sia a mente dell’art. 2 CEDU, sia dell’art. 6 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici. Il diritto alla vita da un lato, quindi, si pone
fondamento delle misure preventive e repressive poste a tutela della vita delle persone
coinvolte da situazioni emergenziali o lese o minacciate da atti terroristici, dall’altro
configura un limite alle misure adottabili in situazioni di emergenza e nella repressione
del terrorismo
475.
Si è fatto notare, peraltro, che il fenomeno terroristico ha posto gli Stati di fronte
a due delicati aspetti connessi alla tutela effettiva del diritto alla vita, cioè l’uso
legittimo della forza letale e il divieto della pena di morte e il connesso divieto di
estradizione
476.
475
Cfr. VIARENGO, Deroghe e restrizioni alla tutela dei diritti umani nei sistemi internazionali di garanzia, in Riv. Dir. Internazionale, 2005, 4, 955; cfr. CADOPPI,Crimine organizzato, collaborazione internazionale, tutela dei diritti umani - Diritto penale sostanziale,in DPP, 1999, 12, p. 1545.
In proposito, non si può dimenticare che l’art. 2 CEDU consente l’uso della
forza da parte dei pubblici poteri, anche quando abbia esiti letali, in determinati casi. In
tali circostante, però, si chiarisce che l’evento morte deve essere un evento involontario,
non intenzionalmente connesso all’uso della forza, che deve sempre risultare necessario
e proporzionato ex ante.
Peraltro per molti Paesi membri dell’ONU il diritto alla vita viene implementato
dall’abolizione della pena di morte in tempo di pace.
A questo è connesso il divieto di estradizione del soggetto accusato di atti
terroristici verso un Paese in cui rischia di essere sottoposto alla pena di morte.
Quanto al diritto all’integrità fisica e al conseguente divieto di tortura e di pene
e trattamenti inumani e degradanti, si ribadisce l’assolutezza del divieto, ancorché non
manchino prassi e teorie possibiliste verso un uso moderato della coercizione fisica
durante l’emergenza terroristica.
Nei sistemi costituzionali democratici si tende a riconoscere un “nucleo duro” e
mai limitabile della libertà personale; tuttavia, le Costituzioni degli Stati democratici
sono molto spesso lacunose: ad esempio l’VIII emendamento della Cost. degli USA si
limita a vietare ogni punizione crudele o inusuale ma un simile divieto non comporta un
divieto assoluto della pena di morte, e non riguarda l’eventuale tortura che preceda o
accompagni l’irrogazione della pena; la Costituzione italiana sembra più completa
vietando ogni violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a misure limitative della
libertà personale (art. 13, comma 4) e vietando I trattamenti contrari al senso di umanità
(art. 27, comma 3).
Quanto al divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti,
previsto dall’art. 3 CEDU e nell’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e
politici, viene oggi applicato ad una tipologia di pratiche sempre più ampie,
comportando per gli Stati obblighi assai più vasti rispetto al mero obbligo di astenersi
da pene corporali, mutilazioni e vessazioni fisiche o psicologiche al fine di ottenerne
una qualche rivelazione utile.
Peraltro, la convenzione internazionale contro la tortura, al fine di
implementare l’assolutezza del divieto, impone agli Stati di prevedere come reato il
comportamento da essa descritto. Sotto tale profilo, per il vero, il nostro ordinamento è
inadempiente
477rispetto all’obbligo di dare un’’attuazione completa di quegli obblighi
costituzionali ed internazionali, ancorché detta previsione non sembri ammettere
eccezioni.
Ancora poco prima degli attentati del settembre 2001 la Corte europea ripeteva
che anche nel caso in cui si trovi in presenza di terroristi riconosciuti ogni stato ha
comunque l’obbligo di applicare le procedure repressive in modo da minimizzare ogni
minaccia alla vita
478, fermo restando che “nessuna circostanza eccezionale, quale che
essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica
interna o di qualsiasi altro stato di emergenza pubblica, può essere invocata per
giustificare la tortura”.
477 FIORAVANTI, Divieto di tortura e ordinamento italiano: sempre in contrasto con obblighi internazionali?, in Quad. cost., 2004, p. 555.
Si ricorda, poi, che anche la Corte ha stabilito che le necessità di un’inchiesta e
le innegabili difficoltà della lotta contro la criminalità, anche in materia di terrorismo,
non possono limitare la protezione dovuta all’integrità fisica della persona
479.
L’inderogabile divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti ha
senz’altro alla base la protezione dell’insopprimibile dignità della persona e della sua
corporeità: il suo rispetto è condizione e presupposto dello stesso principio personalista
che sta a fondamento di ogni Stato democratico-sociale.
Ciò nonostante, le autorità governative di alcuni Stati europei, come la Francia
ed il Regno Unito, l’hanno ugualmente violato in situazioni eccezionali di repressione
del terrorismo
480.
Inoltre, lo scatenarsi del terrorismo internazionale contro gli USA ha favorito il
risorgere negli Stati Uniti di alcune teorie possibiliste in materia di tortura
481, secondo le
quali la tortura o trattamenti inumani o degradanti potrebbero essere utilizzati per
costringere una persona che si trovi sotto il controllo della polizia, a rilevare
informazioni che siano assolutamente indispensabili per salvare vite umane da morte
certa, quando tali informazioni non siano altrimenti ottenibili e la loro mancata
acquisizione comporta con ragionevole certezza conseguenze letali per le persone
sottoposte a pericolo.
In argomento si ricorda, peraltro, che il dilemma del bilanciamento tra beni
costituzionalmente garantiti (vita da proteggere rispetto a possibili attentati terroristici e
integrità personale dei sospettati di terrorismo) è stato esaminato in una sentenza
pronunciata dalla Corte suprema di Israele, la quale si pronunciò sull’uso da parte dei
membri del General Security Service (GSS), di sistemi di coercizione fisica durante
479
Cfr. CEDU, sent. 27 agosto 1992, Tomasi c. Francia, par. 115.
480 Nel caso francese in realtà non si trattò di violazioni di obblighi internazionali perché l’uso di metodi di tortura e di pratiche vessatorie da parte delle forze di polizia e delle forze armate in Algeria fu praticato prima che la Francia ratificasse la CEDU, ma le denunce della stampa sui trattamenti subiti costrinsero l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Mendès-France a far redigere un rapporto dall’ispettore generale dell’amministrazione Roger Willaume, nel quale l’uso delle pratiche di tortura fu confermato e addirittura si propose di autorizzare legalmente la polizia giudiziaria ad usare alcune delle tecniche meno gravi. Quelle proposte non furono accolte, ma dall’anno successivo fino al 1962 l’approvazione della legge sulla disciplina generale dell’état d’urgence, che lo instaurò di diritto e fin da subito in Algeria, comportò che quelle pratiche divennero ancor più usuali, ancorché formalmente clandestine, in quella particolare situazione eccezionale nella quale si dispose il soggiorno obbligato di ogni persona la cui attività risultasse pericolosa per la sicurezza pubblica e l’affidamento della tutela dell’ordine pubblico alle forze armate. In quell’occasione l’uso clandestino della tortura non fu formalmente punito e cessò soltanto perché la Francia concesse l’indipendenza all’Algeria. Diverso fu il caso britannico, poiché il Regno Unito fu uno dei primi Paesi che ratificarono la CEDU, ma ciò non gli impedì nell’agosto 1971 di reintrodurre nell’Irlanda del Nord l’internamento senza processo che era previsto dallo Special Power Act del 1921, durante il quale le forze di polizia praticarono quei trattamenti vessatori per finalità investigative, che poi portarono alle citate pronunce della Corte europea, la quale più volte dovette intervenire per condannare quelle pratiche. In quell’occasione esse furono attenuate e poi furono soppresse soprattutto sulla base dell’autorevolezza e della pubblicità del giudizio instaurato dalla Corte europea sia su richiesta degli interessati, sia su richiesta dell’Irlanda, cioè di un altro Stato membro del Consiglio d’Europa. Per un approfondimento sul tema cfr., da ultimo, PAPA, La democrazia violenta. Breve storia della tortura in Occidente, in Tortura di Stato. Le ferite della democrazia, a cura di A. Granelli e M.P. Paternò, Roma, 2004, pp. 101-103.
481
Occorre ricordare che gli USA hanno ratificato la Convenzione internazionale contro la tortura con la riserva di applicarla soltanto nella misura in cui essa sia coerente con l’VIII emendamento della Costituzione che proibisce soltanto le punizioni crudeli ed inusuali, ma non proibisce di per sé l’uso della forza fisica al di fuori e prima dell’esecuzione di una pena.