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La necessità legittima la tortura?

2 Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti

2.1 La necessità legittima la tortura?

Una particolare attenzione merita la questione della tortura.

Come noto, la tortura si è espressa storicamente - giustificata, teorizzata e

legalmente ammessa- a due fini: nel processi penale come strumento inquisitorio, per

strappare la verità all’imputato in processi penali, ovvero come strumento di ricerca

prova; oppure come sanzione penale.

La tortura è fenomeno antico che affonda le proprie radici nella storia dell’uomo

e la campagna abolizionista vittoriosamente condotta dai riformatori illuministi

446

ha

446 In argomento, non può non accennarsi agli autori italiani hanno contribuito alla condanna della tortura con le loro opere. Tra questi Beccarla (Dei Delitti e delle Pene 1764), Verri (Osservazioni sulla Tortura -1804), e Manzoni (Storia della Colonna Infame -1840).

Il primo Autore analizza la tortura del reo perpetrata per costringerlo a confessare un delitto, per verificare le contraddizioni nelle quali il reo incorre, o per facilitare la scoperta dei complici. Sul presupposto che in assenza di una condanna definitiva un uomo non può essere chiamato “reo” ne può essere privato di pubblica protezione, e su quello che il delitto può essere certo o incerto, l’Autore afferma che nel primo caso sarà punito con la pena prevista per il reato commesso, mentre nel secondo non vi è alcun diritto di tormentare un innocente.

Quanto alla tortura inflitta nella ricerca della verità, l’Autore chiarisce che se tale verità difficilmente si scopre in un soggetto tranquillo e non sottoposto a tortura, molto meno la si può ricavare da un uomo in cui il dolore altera ogni sensazione e comportamento, e che può essere indotto a dichiarare qualsiasi cosa solo per eliminare o almeno sospendere la sofferenza.

relegato le pratiche di tortura nel mondo dell’illecito, ma non ha potuto estirparla dalla

realtà fattuale.

In altre parole, si è avuto (solo) un mutamento della nozione di tortura, che ha

assunto una dimensione oscura e illecita, divenendo l’oscuro e denegato strumento cui

ricorrono servizi di sicurezza, forze di polizia e apparati militari per estorcere

informazioni, punire colpevoli o reprimere nemici ideologici. Chi subisce atti di tortura

viene degradato dallo status di cittadino a oggetto senza diritti e senza tutele.

In epoca relativamente recente, inoltre, la tortura è riapparsa, con scopi

differenti, non solo in stati illiberali, dove mancano le garanzie istituzionali e

processuali, rappresentando una ricaduta nella barbarie in paesi essenzialmente

democratici

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, e si esprime con modalità più sofisticate, mediante l’inflizione di dolori

fisici con strumenti sempre più raffinati, che non lasciano tracce

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.

Quanto alle teorizzazioni sulla legittimità della tortura stessa, merita attenzione

la tesi di Dershowitz

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, che non deve essere liquidata in chiave semplicistica. Il noto

professore americano parte dalla constatazione, ineccepibile, che le forze dell’ordine,

Anche il Verri è stato deciso fautore dell’abolizione della tortura, quale “pretesa ricerca della verità con i tormenti”: in caso di rei robusti decisi a morire di spasmi per i tormenti stessi piuttosto che autoaccusarsi la tortura appare infatti inutile, negli altri casi potrebbe provocare una confessione menzognera, dettata dalla sola regione di sottrarsi al dolore fisico. Tale constatazione del Verri ha invitato alla riflessione molti studiosi e criminologi che hanno più tardi affrontato il medesimo problema.

Nella Storia della Colonna Infame anche il Manzoni stigmatizza la tortura, affinché non divenga modo di affrontare situazioni eccezionali dando ascolto alle voci della paura e dei più profondi istinti anziché alla voce della ragione e della civiltà. Cfr. BIANCHI,Commento alla storia della colonna infame, Milano, 1980.

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Ad esempio, i paesi balcanici hanno conosciuto la tortura sistematica su base etnica, inflitta alla popolazione civile durante i conflitti di Bosnia (1991-1995) e Kosovo (1997-1999). Le torture a sfondo sessuale sono state predominanti e ne sono state vittime soprattutto le donne

Inoltre, i decessi durante il periodo di custodia, causati dai maltrattamenti e dalle torture, non sono, purtroppo, una prerogativa dei paesi in cui vigono norme di emergenza. Questo accade in Belgio, Austria, Irlanda del Nord, Grecia, Svizzera, Spagna e soprattutto nell’Est europeo (Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca ed Ungheria) dove si ha notizia di torture e maltrattamenti da parte della polizia. Amnesty InternationalI ha rilevato che nella Federazione Russa esistono dei “campi di selezione” nei quali cittadini ceceni vengono detenuti senza accusa né processo V. Concerns in Europe, op. cit., pp. 5-8. Fonte primaria delle preoccupazioni di Amnesty International è anche la situazione delle carceri: dal Portogallo arrivano continue denunce di maltrattamenti da parte della polizia penitenziaria. Grande scalpore ha inoltre suscitato di recente, in Francia, la pubblicazione di un libro scritto dall’ex responsabile medico del carcere La Santé di Parigi, in cui denunciava le condizioni di detenzione inumane e degradanti. Anche in Italia, in diverse carceri e in alcuni centri di detenzione temporanea per stranieri, le condizioni di vita dei detenuti sono al limite di trattamenti degradante, perpetrati in un generale clima di impunità.

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Ad esempio, anche nell’Irlanda del Nord, i detenuti erano sottoposti a forme di tortura consistite in lunghe privazioni di cibo e acqua, di sonno, a veglie in piedi per ore, incappucciamenti, o disorientamento con rumori e suoni frastornati prima degli interrogatori.

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Docente di etica del diritto presso la prestigiosa law school di Harvard, l’l’Autore è uno dei più autorevoli avvocati degli Stati Uniti. L’A. analizza le tecniche per combattere il terrorismo: disincentivazione, inabilitazione, persuasione e prevenzione attiva. La deterrenza contro il terrorismo è ardua dal momento che il terrorista suicida non è intimorito dalla minaccia di morte nei suoi confronti. Vi è solo un deterrente ipotizzabile contro le rivendicazioni, - per quanto legittime -, attuate col ricorso al terrorismo: non vi sarà alcuna considerazione delle istanze mosse. Di contro, il trattare con i terroristi costituisce un’agevolazione, anche perché il terrorismo viene peraltro alimentato dall’attenzione dell’opinione pubblica. La macrostrategia di contrasto al terrorismo sta, quindi, nel trasformarlo in una proposta perdente.

specie in momenti di tensione, a poco a poco tendono ad abusare della propria autorità

sui detenuti, fino a torturarli senza nessuna certezza che i sospetti siano a conoscenza di

ulteriori obiettivi terroristici. A maggior ragione se essi sono sicuri che il sospettato sia

depositario di importanti informazioni.

La questione posta dall’avvocato americano, quindi, non è se la tortura debba o

meno essere utilizzata, perché è evidente che essa lo è, ma se debba essere usata dentro

o fuori dalla legge, ossia con o senza le garanzie di un sistema legale.

L’Autore ritiene che le democrazie richiedano una sorta di “mandato di

tortura” emanato da un giudice in grado di stabilirne l’uso ed evitarne l’abuso. In tal

modo, il peso morale della decisione sarebbe in capo al giudice (e non al funzionario di

polizia), che sarebbe chiamato a decidere dopo l’esperimento di una precisa procedura

apparentemente garantista, nei casi nei quali si ritenga che una persona nasconda

illegalmente informazioni decisive per scongiurare un imminente atto di terrorismo che

farebbe morire un grande numero di persone.

In tale ricostruzione le informazioni assunte non possono trovare ingresso nel

processo contro il sospettato, ma servono a prevenire un attentato o una strage già

programmata. In tal modo, la tortura verrebbe tratta dall’ombra nella quale è praticata,

similmente a quanto è stato fatto in Israele. Tuttavia, per quanto le premesse di fatto

siano condivisibili, (anzi, innegabili), non si può accedere alla tesi prospettata in quanto,

fatto venir meno un tabù, la discesa e il decadimento del sistema democratico

diventerebbe inevitabile.

Nondimeno, siffatta teoria è stata propugnata in modo assai articolato e

giuridicamente motivato, effettuando un particolarissimo bilanciamento tra tre valori

che sono in gioco in presenza del terrorismo: il primo è la sicurezza e l’incolumità dei

cittadini di una nazione, il secondo è il mantenimento delle libertà civili e dei diritti

umani, il terzo la responsabilità pubblica e la trasparenza che sono proprie di una

democrazia.

Poiché dunque l’Autore ritiene che l’integrità fisica sia un bene meno importante

della vita, ne consegue che infliggere un dolore non letale ad un terrorista colpevole sia

un male minore e rimediabile rispetto alla morte di molte persone innocenti

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.

A tali teorizzazioni si obietta che non sarebbe mai possibile avere la ragionevole

certezza che il soggetto da sottoporre a tortura disponga davvero delle informazioni

indispensabili, che la tortura nulla potrebbe contro persone che siano disponibili anche

ad attentati suicidi, che comunque - come già ricordava secoli fa già Verri nelle sue

Osservazioni sulla tortura - le dichiarazioni rese dal malcapitato potrebbero essere non

attendibili. O ancora che, come ricordava Beccaria, cederebbero a simili trattamenti

soprattutto le persone fisicamente e psicologicamente meno forti, ma anche in esito

all’estorsione di siffatte informazioni, non è affatto sicuro che l’intervento delle autorità

possa giungere a buon fine evitando il compimento degli atti terroristici.

Inoltre, legittimando un uso circoscritto della tortura, non è comunque

prevedibile ex ante fino a quale punto potrebbe giungere la degenerazione dell’abuso,

cosicché anche soggetti estranei potrebbero trovarsi travolti da una strumentali chiamate

in correità. In fin dei conti, qualora si legalizzasse la tortura, il cittadino sarebbe

sottoposto a due nemici: il nemico terrorista “esterno” all’ordinamento, ed un nuovo e

assai più forte nemico “interno” costituito dai pubblici poteri le cui funzioni non

sarebbero più conformate alla tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, ma al solo

mantenimento dell’ordine costituito.

Finora il divieto della tortura è stato proclamato in vari atti internazionali di

carattere generale: Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948; il Patto

dell’ONU sui diritti civili e politici del 1966 e la Convenzione ONU contro la tortura e

le altre pene e trattamenti crudeli inumani o degradanti.

Tuttavia risulta assai arduo definire il termine tortura in maniera compiuta,

rischiando ogni definizione o accezioni troppo late o letture troppo anguste.

Sotto il profilo della “vittima”, va peraltro segnalato che non esiste una rigida

linea di demarcazione tra la punizione inflitta legittimamente dallo Stato e l’atto della

tortura: può accadere che l’una implichi l’altra, e la sottile distinzione dipende

largamente dalla reazione individuale della vittima alla sofferenza fisica e mentale. Nel

contempo, l’uso del termine di punizione, anche in caso di tortura, non ha consentito

una piena e adeguata comprensione dell’ampiezza della sua effettiva applicazione, sia

passata che presente

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.

Vi è poi una ulteriore forma di tortura di natura psicologica, che può affiancare

quella di natura fisica, ma può anche essere inflitta indipendentemente da essa,

stimolando i meccanismi dell’ansia della paura, della solitudine, della disperazione.

Da ultimo, si ricorda anche un tipo di tortura farmacologica, tesa a debilitare

l’equilibrio psico-fisico ed la personalità della vittima mediante la somministrazione di

farmaci.

La proibizione, disposta dal diritto, di ogni forma di tortura e persecuzione, sia

nella fase investigativa che in quella detentiva, non dà invero alcuna garanzia che lo

Stato stesso non utilizzi di fatto tali metodi

452

, laddove si può addurre a giustificazione

la necessità di tutelare valori o raggiungere scopi accettati e condivisi.

Come detto, infatti, residuano nella prassi numerose sacche di tortura: non

soltanto a causa dell’estrema vaghezza dei principi fondamentali, ma anche per un

malcelato richiamo alla ragion politica, che tende sempre a far valere la forza sulla

ragione ed il raggiungimento del fine sulla scelta dei mezzi, supportato dall’assetto della

gerarchia di valori proposti dalla cultura prevalente, che tra l’offesa a una persona e

l’offesa alla collettività, tra la salute del singolo e quella di molti, tra la vita di uno e la

vita di molti, tende a scegliere di tutelare il bene quantitativamente maggiore

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.

451

Vero è comunque che la maggior parte delle pene inflitte oggi nei paesi civilizzati non può essere inserita in genere entro la categoria delle violenze fisiche, e, paradossalmente, anche laddove via la pena di morte, questa non è considerata forma di tortura: si ritiene, infatti, che la tortura esista laddove la morte sia preceduta e causata da azioni implicanti sofferenza o dolore ingiustificati.

452Per esempio in Gran Bretagna sebbene sia formalmente vietata la tortura, tanto allo Stato quanto ai singoli individui è ancora prescritta dal codice penale la fustigazione. La punizione corporale è così legittimata di fatto come misura correttiva; non è ritenuta dunque una forma di supplizio. Anche negli Stati Uniti d’America, d’altra parte, dove la tortura è proibita da molti decenni, dal codice penale e nell’ambito della vita privata, accade che la fustigazione continui nondimeno a essere inflitta, in vari stati e in diverse occasioni, dal 1868; la polizia americana ha reintrodotto il “terzo grado”, che raggruppa varie forme di supplizio, allo scopo di estorcere confessioni.

Tant’è che Amnesty International ha individuato alcune precondizioni sociali

che possono favorire l’uso sporadico o sistematico della tortura: in primis, situazioni di

emergenza presentate come tali all’opinione pubblica, con conseguenti legislazioni

speciali o eccezionali

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.

Gli scopi sottintesi o dichiarati della pratica della tortura possono essere

individuati nell’intimidazione individuale o generalizzata non più ai fini inquisitori o

punitivi, ma di prevenzione e dissuasione rispetto a qualsiasi attività di contrasto

all’ordine costituito.

Attese siffatte considerazioni di ordine generale, vale comunque la pena di

ricordare la definizione legale di tortura e gli strumenti internazionali volti alla

repressione del fenomeno.

2.2 Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della Corte