2 Lo stato di necessità in altri ordinamenti
2.7 Cenno ai principi generali del diritto penale
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, una scusante di duress è pressoché dovunque
espressamente contemplata nelle varie legislazioni, con requisiti affini a quelli previsti
nel diritto inglese. Molti degli ordinamenti statunitensi inseriscono poi nei codici penali
una defence di necessity
420, orientata oggettivamente sul requisito che il danno evitato
sia maggiore di quello cagionato, che cioè dalla condotta risulti un saldo sociale attivo.
Sono poi riconducibili al paradigma del male minore quelle norme che consentono al
personale medico di commettere fattispecie di reato per evitare un maggior danno al
paziente.
2.7 Cenno ai principi generali del diritto penale internazionale
In chiusura del presente capitolo, meritano un cenno i principi generali del
diritto penale internazionale.
Con riguardo alle scriminanti (differenti dalle cause di esclusione della
giurisdizione della Corte penale internazionale), infatti, è discusso se almeno le
principali siano già recepite dal diritto internazionale penale, in quanto ricavabili dai
principi generali del diritto, ovvero in quanto limiti taciti dell’illecito penale. Per porre
fine ad ogni dubbio, lo statuto della Corte ha provveduto all’espressa previsione delle
tre scriminanti principali, quali legittima difesa, stato di necessità e ordine del superiore.
419
VIGANÒ,Stato, cit. pag. 110. 420
Esse si basano tanto sul canone generalissimo del bilanciamento degli interessi
che comporta un giudizio di non punibilità di fatti che offendono interessi equivalenti o
inferiori a quelli salvaguardati, quanto sul principio, esso pure generalissimo, del
condizionamento della volontà, ossia dell’anormalità della motivazione della persona
che si è trovata ad agire in situazioni eccezionali tali che la punibilità deve essere
esclusa o comunque diminuita
421.
Quanto allo stato di necessità, l’art. 31/1d dello Statuto di Roma prevede che
una persona non sia penalmente responsabile se al momento del suo comportamento “il
comportamento qualificato come sottoposto alla giurisdizione della Corte è stato
adottato sotto una coercizione risultante da una minaccia di morte imminente o da un
grave pericolo continuo o imminente per l’integrità di tale persona o di un’altra
persona e la persona ha agito spinta dal bisogno ed in modo ragionevole per
allontanare tale minaccia, a patto che non abbia inteso causare un danno maggiore di
quello che cercava di evitare. Tale minaccia può essere stata: i) sia esercitata da altre
persone, o ii)costituita da altre circostanze indipendenti dalla volontà”.
L’articolo in parola configura un’ipotesi articolata di necessità causata dalla
coercizione risultante da una minaccia per la vita che rievoca la necessity by
circumstances se scaturisce da eventi naturali e la duress per le ipotesi di minaccia
portata da altro soggetto. A ciò si aggiungono i requisiti della ragionevolezza
dell’azione e della inevitabilità altrimenti del pericolo.
Quanto al requisito della proporzione, esso viene criticato, in quanto, anziché
risultare da un giudizio prognostico oggettivo, viene rimesso alla valutazione soggettiva
dell’autore necessitato, con ciò prestandosi a scelte arbitrarie e ad una ampia
discrezionalità del giudice in tema di prova dello stesso
422.
Tuttavia si rileva che le suddette scriminanti sono di possibilità applicative
pressoché nulle con riguardo ai crimini di genocidio e contro l’umanità sui quali è
chiamata a giudicare la Corte, o, comunque, al più marginali rispetto ai fatti costituenti
altrimenti crimini di guerra, se posti in essere come reazione difensiva necessitata
dall’altrui ingiusta aggressione
423.
Nella terminologia internazionalistica duress, qualifica la situazione di colui che
si trovi ad agire sotto la minaccia, proveniente da una terza persona, di un grave ed
irreparabile danno per la vita o per l’intergità fisica, e, in capo al soggetto che ha agito
sotto l’effetto di una simile minaccia, non possa essere riconosciuta alcuna
responsabilità penale.
La necessity, anche se spesso utilizzata come sinonimo di duress, invece
rappresenta una categoria più ampia, e si riferisce tanto ai pericoli per la vita o
l’integrità fisica determinati dalla minaccia che promana da una terza persona (duress),
quanto ai pericoli che scaturiscono da circostanze naturali incontrollabili per
l’uomo-medio (necessity by circumstances).
421 MEZZETTI,Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della corte internazionale penale, in Riv.it.dir.proc..pen., 2000, 1, 237.
422 MEZZETTI,Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della corte internazionale penale, in Riv.it.dir.proc..pen., 2000, 1, 252
Per quanto concerne le condizioni necessarie all’applicabilità della defence di
duress, possono essere individuate quattro stringenti condizioni di applicabilità, delle
quali è richiesta la contemporanea presenza per l’operatività come defence.
In particolare:
a) l’azione incriminata deve essere posta in essere sotto l’effetto di una minaccia
imminente di un grave ed irreparabile danno alla vita o all’integrità fisica;
b) non esistevano mezzi alternativi per evitare tale danno;
c) il crimine commesso non risulta essere sproporzionato rispetto al danno
minacciato. In altre parole, il crimine commesso sotto duress deve consistere nel minore
dei due mali;
d) la situazione che conduce alla duress non deve essere stata volontariamente
prodotta dalla persona coartata.
All’evidenza, i requisiti sopra menzionati riecheggiano quelli comunemente
richiesti nei diversi ordinamenti penali nazionali, anche di civil law.
È qui sufficiente rilevare che è il requisito della proporzionalità a presentare da
sempre i maggiori aspetti problematici: se la proporzionalità è intesa in senso ampio
allora tale condizione è soddisfatta quando il bene salvato e quello sacrificato si
equivalgono o quando quello salvato ha un valore superiore
424. Se, invece, la
proporzionalità è intesa in senso stretto allora si richiede un saldo positivo tra i beni
giuridici in gioco
425.
Invero, anche nei sistemi di common law è richiesto il requisito la
proporzionalità, che viene desunta dal c.d. test oggettivo: in sostanza, si richiede che la
minaccia abbia un’intensità tale da indurre ad agire, nel modo in cui ha agito l’autore
del fatto, una persona di ragionevole forza d’animo. Per l’operatività della defence di
duress, è necessario che tale test abbia un esito positivo. Si segnala che, però, in caso di
condotte omicidiarie il risultato è invece sempre considerato negativo.
Questa diversità rende evidente che nei paesi di common law la defence di
duress non viene ascritta alla logica della giustificazione, ma a quella della scusa,
restando la condotta antigiuridica, ma venendo scusato il soggetto perché si ritiene che
non potesse esigersi da lui, in quella particolare situazione, una condotta diversa. Fermo
restando che, laddove ci si trovi di fronte a situazioni nelle quali si deve scegliere tra la
propria vita e quella di un innocente, gli ordinamenti di common law impongono
l’eroismo del self sacrifice.
Infine è opportuno soffermarsi sul requisito della causazione volontaria della
situazione necessitante, in ragione della sua particolare rilevanza nelle situazioni di tipo
bellico.
424 Secondo un tale approccio un soggetto minacciato di morte sarebbe giustificato nel caso in cui uccidesse una o più persone per salvare la propria vita, dato che i beni giuridici in gioco si equivalgono sotto il profilo qualitativo.
425
Allora se ad esempio una persona è stata minacciata di morte nel caso in cui non proceda all’uccisione di altre persone, e decide di agire, la defence di duress opera nei suoi confronti come scriminante solo previa dimostrazione che anche senza l’esecuzione dell’ordine da parte dell’agente le persone minacciate sarebbero comunque state uccise e che, di conseguenza, al sacrificio delle loro vite si sarebbe aggiunto il sacrificio di vita dell’agente stesso. In questo modo si dimostrerebbe l’esistenza di un saldo positivo.
L’elemento di maggiore complessità è connesso alla diversità di approccio alla
defence di duress tra i sistemi di common law e quelli di civil law: nei secondi, infatti,
verificati i requisiti, la defence opera con riguardo a qualsiasi condotta criminosa, a
prescindere dalla gravità del reato in cui essa si concreta. Negli ordinamenti giuridici di
common law, invece, consta l’importante eccezione all’operatività della defence nel
caso di commissione di delitti omicidiari.
Questa notevole differenza tra gli ordinamenti giuridici di common law e di civil
law si riverbera nel diritto penale internazionale, dal momento che le fattispecie di
diritto penale internazionale, qualificate come crimini di guerra e crimini contro
l’umanità, si concretano molto spesso in omicidi di persone innocenti.
E, di fronte ad atti di genocidio o a crimini di guerra che si sostanzino in
uccisioni, sembra dubitabile che possa invocarsi la defence di duress.
CAPITOLO TERZO
Stato di necessità e tutela della collettività
1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il
riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee ... 85
1.1 Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività ... 87
1.2 Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo
attuale? ... 89
1.3 La gravità del male minacciato ... 91
2 Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti “comprimibili”? ... 92
2.1 La necessità legittima la tortura? ... 92
2.2 Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della
Corte Europea ... 96
2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento ... 103
2.4 Lo scenario italiano ... 106
2.5 Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo.
Prime conclusioni in tema di tortura ... 108
3 Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition ... 110
4 Segue: la tutela della legalità in quanto tale ... 112
5 Conclusioni ... 113
1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il
riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee
È a tutti noto che dopo l’attacco kamikaze alle Torri Gemelle dell’11 settembre
2001 è alta l’allerta mondiale nei confronti del terrorismo di matrice islamica. Dalle
pagine dei quotidiani o dai servizi televisivi si apprendono notizie di nuovi attacchi
kamikaze, non solo nelle zone calde del vicino oriente, ma nei luoghi più diversificati. Il
problema riguarda tutti, ed anche la società e l’ordinamento italiani, perché gli
estremisti islamici hanno fondi e strutture in tutta Europa, comprese cellule nel nostro
Paese. Il terrorismo ha assunto dimensioni globali e, sia tra la gente comune che tra i
responsabili della sicurezza quali mezzi, anche eccezionali, siano giustificati
dall’importanza del fine della lotta contro il terrorismo, e dalle condizioni d’emergenza
in cui è giocoforza perseguirlo
426.
In altre parole, capita di chiedersi sempre più spesso se nella lotta al terrorismo
sia consentito alle pubbliche autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni
giuridicamente disciplinate, violare il limite della legalità, assumendo condotte
integranti fattispecie di reato, al fine di tutelare la collettività, evidentemente in danno di
terroristi o presunti tali, giovandosi poi della scriminante dello stato di necessità.
È cosa nota che il legislatore italiano ha affrontato l’emergenza adottando una
disciplina specifica e predisponendo una serie di riforme in tema di reati terroristici,
segreto di stato e servizi segreti. Ma, nondimeno, vale la pena indagare se condotte
asseritamente tenute in nome della tutela della collettività (dal pericolo terroristico)
possano venire giustificate e/o scusate sulla base di principi generali dell’ordinamento.
Al centro dell’analisi vi è il conflitto tra legalità e sicurezza, che si gioca tra le
opinioni di chi ritiene che il rispetto dell’una vada a scapito dell’altra e chi, invece,
sostiene che l’una venga rafforzata dal rispetto dell’altra.
Vale segnalare che già dall’anno 2006 ha preso avvio un interessante dibattito
anche al di fuori del mondo accademico, sul ruolo del diritto penale nel contrasto al
terrorismo di matrice islamica
427, con la contrapposizione delle tesi di chi ritiene che
l’emergenza terroristica imponga un compromesso tra sicurezza nazionale e stato di
diritto, identificando una zona grigia tra legalità e illegalità, (in cui gli operatori di
sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi, ovvero uno “stato di
eccezione”); e di chi ritiene che lo stato di diritto debba avere la precedenza su tutto
428.
In Italia la questione è stata sollevata da un intervento di Angelo Panebianco
429,
il quale ha sostenuto che, in situazioni di emergenza, sia giusto accettare quello che
viene definito come il giusto compromesso. “Lo stato di diritto deve convivere, se si
vuole sopravvivere, con le esigenze della sicurezza nazionale. Il che significa che si
deve accettare per forza un compromesso, riconoscere che, quando è in gioco la
sopravvivenza della comunità (a cominciare dalla vita dei suoi membri), deve essere
ammessa l'esistenza di una «zona grigia», a cavallo tra legalità e illegalità, dove gli
operatori della sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi”.
In tale prospettiva, si sostiene che lo Stato di diritto è solo uno strumento che
serve per la convivenza della società in situazioni di normalità. Quando invece si
creano situazioni di emergenza è necessario riconoscere che per la sopravvivenza stessa
della democrazia si deve far ricorso a mezzi straordinari, perché non si posso usare gli
stessi “strumenti con cui ci si difende dai ladri di polli o dai rapinatori di banche” per
combattere il terrorismo.
Il dibattito appena accennato trova eco anche nella dottrina penalistica
internazionale, dove si rinviene anche una corrente di pensiero che, descrivendo le
nuove emergenze come una guerra, teorizza un sistema di contrasto eterogeneo dal
diritto penale ordinario, un diritto penale del nemico, difficilmente compatibile con
l’anima garantista del sistema penale ordinario.
Nello stato di eccezione, si dice, si creano regole giuridiche eccezionali ispirate
ad una logica di guerra. La specificità di tale logica è quella della sospensione di alcuni
diritto fondamentali: al delinquente normale vanno riservati i diritti e le garanzie
derivanti dallo status di cittadino; al delinquente che minaccia l’ordine sociale,
diventando un avversario dell’ordinamento giuridico, spetta invece lo status di nemico,
e nei suoi confronti si ammette una sospensione delle garanzie connesse al principio di
colpevolezza
430.
La democrazia puramente maggioritaria, in questi casi, rischia la deriva e
427 PANEBIANCO,in corriere della Sera del 13 agosto, 15 agosto e 3 settembre 2006. 428 CORDERO,il diritto nell’era del terrorismo, in Repubblica, 28.08.2006.
429
Corriere della sera, 13 agosto 2006, Il compromesso necessario, di Angelo Panebianco. La posizione assunta dall’autore sorge in relazione alle polemiche suscitate dall’arresto di Abu Omar, e altri mezzi adottati dalle forze dell’ordine statunitensi nella lotta contro il terrorismo islamico. Aprendo un’interessante querelle a cui hanno preso parte Zagrebelsky (Corriere della sera, 18 settembre 2006) e Sofri( Corriere della sera, 25 settembre 2006) tra gli altri.
430
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, in Cass. pen., 2006, 750, BEVERE, Il diritto penale del nemico nelle aule di giustizia, in Crit. Dir., 2008, 3-4, p.227; CATTANEO, Riflessioni sul diritto penale del “nemico”, in crit. Dir., 2008, 1-2, p.141; PAGLIARO, “Diritto penale dl nemico” : una costruzione illogica e pericolosa, in CP, 2010, 6, 2460.