esercitati dagli ambienti post-moderni, che hanno sostitu- ito al linguaggio temporale la molteplicità stilistica come risposta alla contraddittorietà evolutiva dei sistemi urbani18,
sono a loro volta confluiti nell’età dell’elettronica, che ha cancellato tipi e tipologie annullando il quadro prospettico del mondo che vede la bellezza come perfezione immo- bile, che si avvale di un unico punto di vista e si fonda su un tempo che non scorre. Un cambiamento elevato che, oltre a mutare radicalmente la raffigurazione della città in chiave euclidea, ha sostituito la messa in scena della città tradizionale – intesa come scenografia centrale e materi- ca – con una metropoli simultanea che ha “spostato l’ar- chitettura dall’ambito delle scienze della rappresentazio- ne al crogiolo delle tecniche della comunicazione”19. Un
nuovo urbanesimo che sostituisce il suo presupposto fisico con un processo ibrido di scambio di flussi e informazioni immateriali 20.
Il percorso dissipativo del concetto di tipo trova altre chia- vi di lettura, e per certi versi rivela un suo epilogo, nel testo Architettura Open Source. Verso una progettazione aper- ta, di Carlo Ratti, scritto nel 201721. Si tratta di una specula-
zione critica che fotografa una realtà imminente dell’ar- chitettura contemporanea trascinata al cambiamento dei suoi modelli sulla spinta di un movimento, quello dell’Open Source, caratterizzato da un approccio inclusivo alla pro- gettazione degli spazi, dall’uso collaborativo dei software progettuali e dal funzionamento trasparente degli edifici durante il loro ciclo di vita. Quel che Ratti intende mostra- re è il trasformismo ideologico delle culture post-moderne mutato nell’incedere della liquidità di saperi. Ossia, un con- testo fluido nel quale le poche eventuali resistenze ancora presenti nel dibattito sull’“idea di tipo” nel campo dell’ar-
17 Branzi A. (2014), Una generazione esagerata. Dai Radical italiani alla crisi della globalizzazione, Baldini&Castoldi, Milano, p. 18.
18 Cfr. Parmesani L. (2003), L’arte del secolo. Movimenti, teorie scuole e tendenze 1900-2000, Skira, Milano, p. 89.
19 Cfr. Leoni F. (2001), L’architettura della simultaneità, Meltemi editore, Roma, p. 11 20 Cfr. Prestinenza Puglisi L. (2001), Silenziose avanguardie, Testo&Immagine, Torino, p. 15.
21 Ratti C. (2013), Architettura Open Source. Verso una progettazione aperta, Ei- naudi, Torino. Su questi argomenti si veda anche Ratti C. (2017), La città di domani. Come le reti stanno cambiando il futuro urbano, Einaudi, Torino; Ratti C. (2014), Smart City, Smart Citizen, (a cura di Mattei M.G.),Egea, Milano.
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chitettura si sono del tutto diluite in virtù di un paradigma progettuale che non prevede precetti. Lo spazio abitato si forma ora a partire da una cultura partecipata, libera e a- perta allo scambio di risorse intellettuali, forgiata dall’ideo- logia della condivisone22. Una cultura che non può essere
ostaggio di “esempi”, mentre sta sperimentando una “ar- chitettura come informazione” costruita intorno ai bisogni degli utenti e da loro stessi coordinati in un sistema globale di scambio di dati che delinea il passaggio cruciale dal “fai da te” al “fai con gli altri”. È dagli anni sessanta che archi- tetti e pensatori affrontano questo nodo centrale (la ride- finizione del proprio ruolo) […]. In un’affermazione profeti- ca (del 1967, ndr), Nicholas Negroponte disse che il proget- tista si sarebbe trasformato in un “intermediario”, un crea- tore di schemi aperti, piuttosto che di forme deterministi- che. Il processo architettonico “non sarebbe stato compo- sto da un insieme pervasivo ed evasivo di vincoli”, e que- sto ci fa pensare a una trasformazione cruciale dei prodot- ti dell’architettura. Anziché fornire un progetto finito e tan- gibile, l’architetto determinerebbe un insieme di parametri utili a guidare un corpus di idee rigogliose, una rosa presso- ché infinita di architettura potenziale. “Gli architetti proget- tano la domanda e non la risposta”23.
Oggetto del lavoro dell’architetto non è più quello esclu- sivo di realizzare progetti esecutivi e costruire edifici, ma avviare, coordinare e concludere il processo in sé della progettazione on-line, partecipata e plurale. Siamo po- tenzialmente di fronte a una radicale trasformazione della figura del progettista esploratore, finanche di visioni distopi- che. Quanto questa dissertazione sul tipo possa orientare le azioni che richiamava Chipperfield non è valutabile; non- dimeno, da questo genere di contesa va recuperata per un “progettista open” la nozione di “relazione e configu- razione” che il tipo possiede come principio di guida di un organismo di cui può essere concretamente un enunciato logico che cerca e ordina le ragioni delle scelte costitutive. L’acutezza di un progetto realizzato secondo principi Open Source richiama il tema della città che in quanto aperta si costituisce smart, una deviazione che facciamo per chiu- dere sul tema della composizione degli spazi abitati con-
22 AA. VV. Open Source Architecture (OSArch), “Domus”, n. 948, giugno 2011. 23 Ratti C. (2013), op. cit., p. 114.
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cepiti come tasselli di moderniste Smart Cities. Torna utile ancora il contributo di Richard Sennet, con un suo testo del 2018, Costruire e abitare, innanzitutto se sogniamo un futu- ro prossimo venturo24. Sennet mette a fuoco una dicotomia tra smart city aperta e chiusa, in altre parole una città intel- ligente che “prescrive” e una città ingegnosa che “coordi- na”. La Smart City chiusa è alimentata da una tecnologia user friendly che “stupisce i cittadini” e li accoglie in un si- stema gestito e dunque controllato dove vengono rimos- se le dissonanze sociali come presunto fine democratico. Una città che agevola la soluzione dei problemi anziché la “messa a punto e la ricerca di eventuali problemi”. Se tutto è però inteso come “pura efficienza” si produce per Sen- net uno squilibrio poiché si separa “il funzionamento dalla curiosità e dagli interrogativi”. Al contrario, una Smart City che usa la tecnologia per coordinare non controlla ma si “rivolge alle persone per quello che sono, nella loro stortura Kantiana, e non per quello che dovrebbero essere. La tec- nologia che coordina sviluppa l’intelligenza dell’uomo”25.
Pertanto un’intelligenza predefinita aiuta a scegliere all’in- terno di una maggiore complessità che – evitando sempli- ficazioni preconfezionate e chiuse – non può e non deve evitare mai gli errori. Sennet sintetizza i due scenari con-
24 Sennet R. (2018), Costruire e abitare. Etica per la città, Feltrinelli, Milano. 25 Ivi p. 187.
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trapponendo una città ermetica (che prende le decisioni per i propri abitanti) e una città ermeneutica (che aiuta i propri abitanti a prendere le decisioni). Quale intelligenza sia da sostenere è facile immaginarlo.
Tre
Sia che promuoviamo una citta fattivamente Open Sour- ce, sia che ci auguriamo di vivere in una metropoli smart, entrambe sono da considerarsi come l’esito di un progetto dinamico in quanto luogo della domanda e spazio della ri- sposta26. Nel tempo i valori del progetto non si esauriscono
mai, semmai si trasformano “in relazione ai contesti appli- cativi, produttivi, tecnologici e sociali. E insieme a questi si
26 Gli argomenti e le citazioni di seguito esposte sono state in parte sviluppate in Cristallo V. (2020), Do Research. Make Design. Modelli, List Lab, Barcellona-Trento.