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43diventata il centro, forse il tutto della vita Abbiamo capito

Nel documento L'abitare sospeso (pagine 43-47)

che tra le nostre quattro mura (non tutte delle stesse di- mensioni…) possiamo fare tante cose, impensabili fino a poco tempo fa. “Cambierà la definizione della presenza, diventeremo in qualche modo meno fisici. Si scoprirà che non è necessario prendere l’aereo per una conferenza all’altro capo del mondo, che vi si può partecipare dalla propria cucina” (Olga Tokarczuk, in AA.VV. 1, 2020, p. 143). E ci siamo meravigliati, abituati come siamo a prendere un aereo dopo l’altro; “…usciti dal frastuono del troppo, vediamo più chiaro. Ed è strano, per un nomade, viaggiare in una stanza e accorgersi che tante cose possono acca- dere in uno spazio dove la frontiera è la porta di casa e, talvolta, la pelle del proprio corpo” (Paolo Rumiz, 2020, in AA.VV. 2, pp.187-188).

Famiglia e casa hanno riacquistato il significato di protezio- ne - “La paura di fronte alla malattia, quindi, ci ha fatto tor- nare indietro da quella strada ingarbugliata e ci ha costret- ti a ricordare l’esistenza del nido da cui veniamo e dove ci sentiamo al sicuro” (Olga Tokarczuk, in AA.VV. 1, 2020, p. 152). Ma, al tempo stesso, spesso la casa ci è parsa stretta, quasi soffocante - “Li guardo incombere su di me, i soffitti tanto belli, e vorrei sfondarli (...) La casa non aveva pareti, prima (...) Poter andare oltre. Anche di poco. Oltre la casa (...) spalancare le braccia e sentire lo spazio intorno, stermi- nato” (Silvia Avallone, in AA.VV. 1, 2020, pp.17, 18, 19, 21). Comunque abbiamo avuto tempo per rifare cose e fare cose mai fatte prima, “…giornate conquistate da attività quasi dimenticate…” (Luciano Fontana, 2020, in AA.VV. 1, p. VIII). Spesso senza capire il perché. “Ma io non ho qua- si assaggiato le torte che ho preparato. Ho solo bisogno d’impastare, di dare forma a una materia disordinata, di appallottolarla, stenderla, renderla omogenea, poi appal- lottolarla di nuovo per stenderla una seconda volta. Ho solo bisogno di tornare ad avere il controllo su qualcosa...” (Paolo Giordano, 2020, in AA.VV. 1, pp. 87-88). E, in fondo, abbiamo compreso che “Ora che non possiamo più pro- gettare né comprare né controllare nulla, siamo liberi d’i- naugurare in casa un laboratorio segreto delle mancanze e dei desideri” (Avallone, 2020, in AA.VV. 1, p. 29).

Da qui una prima riflessione che forse l’anormalità fosse il prima, la nostra vita di prima. “Ho fatto ordine nell’armadio e ho portato i giornali già letti nel contenitore della carta. Ho trapiantato i fiori. Ho ritirato la bicicletta dal ciclista. Cu- cinare mi rende felice (...) o non sarà forse che siamo tor- nati ad un normale ritmo di vita? Che non è il virus l’altera- zione della norma, ma proprio l’opposto – che quel modo

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febbrile di prima del virus era anormale?” (Tokarczuk, 2020, in AA.VV. 1, p. 151)

Con Leila Slimani: “Io, che ho passato gli ultimi tre anni a viaggiare (…) ecco che mi vedo costretta a reimparare ad abitare” (Slimani, 2020, in AA.VV. 1, p. 145).

Ma le nostre riflessioni non possono limitarsi all’abitare, trop- po grande è stata la portata di quello che è successo. E allora, richiamando Rampini, dobbiamo interrogarci su cosa c’è dietro la curva. Al di là dell’abitare.

Ciò dichiarando esplicitamente che è il mio modo di vede- re le cose, di parte, schierato… tra analisi (non scientifiche), (qualche) previsione e (molte) speranze.

Innanzitutto dobbiamo riflettere sulle cause di quello che è successo. La pandemia è chiaramente la conseguenza del nostro atteggiamento sbagliato nei confronti della na- tura: “…l’errore, chiamiamolo così per non usare termini più apocalittici, si chiama cambiamento climatico. Gli eventi estremi – incendi, alluvioni, maremoti, siccità, carestie – arri- vano con cadenza pluriannuale anziché ogni cinquant’an- ni come un tempo. E comportano sempre una fuga e una migrazione scomposta di uomini, animali e virus: questi ulti- mi per sopravvivere si attaccano disperatamente agli altri esseri viventi. Così si diffondono nel mondo” (Jeremy Rifkin, 2020, in AA.VV. 2, p. 21). “Per il nostro benessere e per il no- stro cibo incendiamo foreste, impoveriamo il suolo, distrug- giamo ecosistemi: non c’è da meravigliarsi che la natura torni a rubare la scena. Le piene, gli incendi, i tornado e le epidemie (…) Il nostro stile di vita rappresenta un’auto- strada su cui corrono i virus, pronti ad infettarci, a diventare patogeni” (Eliana Liotta, Massimo Clementi, 2020, p. 15). E ciò in accordo con Papa Francesco che, spesso, appare la voce più autorevole nella denuncia ad un modello di sviluppo profondamente sbagliato: “Dice un proverbio spa- gnolo: ‘Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai’. Non so se questa crisi sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta” (Papa Francesco, 2020).

E allora può venirci più di un dubbio: “Danneggiamo in qualunque modo l’oggetto che ci ospita e non riusciamo nemmeno a concepire di smettere di farlo. E chi, in natura, si comporta così? Qual è l’unica forma di vita che danneg- gia l’organismo che lo ospita fino a distruggerlo? Il virus. Noi siamo diventati un dannato virus, per il nostro pianeta, e il nostro pianeta cerca di difendersi” (Sandro Veronesi, 2020, in AA.VV. 1, p. 159).

Tutto è legato, dobbiamo averlo ben presente; la pande- mia fa parte di un problema molto più ampio. E gli obiettivi

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delle Nazioni Unite sono lì a ricordarcelo: tra i diciassette punti – i Goals dell’Onu – c’è infatti anche la salute del mondo, ma tutti i punti sono strettamente interconnessi tra loro.

E, dunque, il rischio più grande è il non aver capito la le- zione. Che l’anormalità stava nel nostro modello di vita e di sviluppo pre-Covid. E che probabilmente, con un ritorno alla condizione pre-Covid, il mondo non sopravviverebbe. “Il Covid-19 non è un cigno nero, ma un fenomeno che rischia di ripetersi in futuro, sotto altre forme, se la nostra ri- sposta sarà solo quella di tornare al più presto alla riconqui- sta degli stili di vita precedenti” (Giovannini, 2020 in Riva). “Tornare a una normalità che ha al suo interno le cause e le concause di questa tragedia sarebbe un suicidio col- lettivo”(Boeri, 2020). “Il grande rischio è il ritorno (…) a una normalità che era già malata ben prima del virus. Il virus ha amplificato i problemi, ci sono diseguaglianze enormi e ingiustizie che andranno peggiorando” (Luigi Ciotti, 2020). E, dunque, è necessario “…un momento di reset globale” (Ilaria Capua, 2020, in AA.VV. 1, p. 36). Nella consapevolez-

“Sustainability Design Pills” a cura del Laboratorio Design per la Sostenibilità

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za che “nulla sarà più come prima, cerchiamo di far sì che sia migliore” (Jeremy Rifkin, 2020, in AA.VV. 1, p. 22). E allora qual è l’idea di futuro che possiamo intravedere e per la quale, soprattutto, dobbiamo adoperarci?

Un modello in cui il senso di comunità deve ritornare cen- trale. “Solo nella capacità di unirsi e di affrontare le cose insieme agli altri, con l’aiuto degli altri, sta la salvezza di persone e nazioni. E dunque il futuro di tutti” (Parag Khan- na, 2020, in AA.VV. 2, p. 37). In cui è impossibile uscirne da soli. “Sotto molti punti di vista, questa crisi ci fa capire fino a che punto siamo interdipendenti gli uni dagli altri. Forse lo sapevamo già, ma il ritmo assillante della nostra vita ce l’ha fatto dimenticare. Oggi dobbiamo mettere l’accen- to sulla comunità, anziché sull’individuo” (Anthony Dunne, 2020, in AA.VV. 1, p. 74).

“Si torna a ragionare in termini di bene comune. Era ora” (Rumiz, 2020, in AA.VV. 2, p. 193). Con una nuova centralità dello Stato (forse al di là dei regionalismi): “…quando la gente ha bisogno di essere protetta da rischi seri, si rivolge allo Stato, non certo ai privati. Alla fine la gente unisce i puntini e capisce che, forse, se si pagassero più tasse, si potrebbero aggiustare molte cose” (Joseph Stiglitz, 2020, in AA.VV. 2, p. 51). E Papa Francesco, citando Fabio Fazio (!): “È diventato evidente che chi non paga le tasse non com- mette solo un reato ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua” (Papa Francesco, 2020). “Forse questa esperienza insolita lascerà il segno nella co- scienza della sfera pubblica” (Jürgen Habermas, 2020, in AA.VV. 2, p. 114).

E relativamente al rapporto con gli altri: “Soltanto la coo- perazione, la solidarietà e uno sforzo comune di tutti pos- sono risolvere il problema e fare compiere un passo avan- ti alla nostra civiltà. Bisogna chiudere i confini tra i virus e l’uomo, insomma, non quelli tra uomo e uomo, tra nazione e nazione” (Yuval N. Harari, 2020, in AA.VV. 2, p. 67). Con la consapevolezza che dobbiamo “… essere uniti, tutti e senza confini, contro un unico nemico” (Mantovani, 2020, in AA.VV. 1, p. 104). “Penso” anche “ai volontari delle Ong sparsi per gli ospedali d’Europa e calunniati dai sovranisti” (Veronesi, 2020, in AA.VV. 1, p. 170). Gli altri spesso vicino a noi: “È già diventato un dono quel che prima creava im- barazzo: la fragilità, la vecchiaia, l’aver bisogno degli altri. Ci sono tante cose che non rimpiango della società che ab- biamo lasciata in sospeso” (Avallone,2020, in AA.VV. 1, p. 30). Infine, la consapevolezza dell’importanza per la nostra vita della scienza: “… la finestra di opportunità per la scienza di riprendersi un ruolo centrale nella società (…) Ci auguria-

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