le antiche cadenze di riunione della famiglia in alcuni luo- ghi conviviali dalle precise caratteristiche: la calda intimità della cucina o la formalità della sala da pranzo. La convi- venza tra genitori e figli, che un tempo l’abitare comune rinsaldava attraverso una continuità spaziale in cui si riflet- teva la stabilità (più o meno armonica o conflittuale) delle relazioni, appare ora interrotta da cesure culturali (diversità di linguaggio, preclusioni nella comunicazione), che fanno non di rado della giovanile ‘cameretta’ un ambiente gelo- samente autonomo e isolato dal resto della casa. Anche la socialità dei convegni serali, estrema ed esile propaggine della convergenza familiare intorno al focolare, che il XX sec. aveva artificiosamente prolungato nella novità dello spettacolo televisivo, si è dispersa nel moltiplicarsi delle op- zioni individuali”12.
L’evento traumatico che la pandemia ha rappresentato ci sta dunque portando a riscoprire la casa come luogo delle cerimonie ma anche come luogo della rigenerazione di quelle energie fisiche, spirituali ed emotive, necessarie ad affrontare il mondo esterno e con le quali costruire e mani- festare le proprie relazioni affettive.
L’abitare che verrà
Se la vita di tutti noi è cadenzata dal perpetuarsi di mi- cro-rituali che scandiscono il nostro abitare e da tecnolo- gie che ne definiscono gli aspetti funzionali, compito del progettista è quello di lavorare sugli equilibri. La pandemia ha sviluppato una nuova cultura dell’abitare in chiave digi- tale che deve ancora definire i termini del confronto tra lo spazio fisico e lo spazio virtuale. È appunto nel dialogo tra reale e virtuale che si va delineando e definendo l’abitare di un futuro prossimo indipendentemente dal concludersi o prolungarsi di questa complessa fase.
Se il progetto è visione in quanto capacità di prefigurare i cambiamenti, sta alle discipline progettuali il compito di connettere le conoscenze e trasformarle in pratiche per ricostruire il sistema di relazioni interne fra gli spazi, le cose e gli abitanti. Un compito che investe principalmen- te la dimensione allestitiva dello spazio e quindi il sistema degli oggetti attraverso i quali lo spazio prende forma e si adatta ai differenti ruoli che riveste durante la giornata. Rendere invisibile la tecnologia - essere consapevoli che è incorporata nell’ambiente ed è sempre a disposizione - po-
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trebbe aiutare a rafforzare i rituali giornalieri delle persone, aumentando il tempo e l’intensità che lo schermo ruba di continuo. Leggere un libro, cucinare, fare un bagno, ricon- nettersi con la natura, con gli oggetti e con gli spazi dell’a- bitare si può ottenere eliminando dal campo visivo la pre- senza tecnologica. Forse per riscoprire la casa c’è bisogno di tornare all’abitare consolidato, un’abitare caratterizzato dalla presenza di oggetti chiave per lo spirito dell’uomo, che lo collegano in qualche modo all’io interiore.
“Ciò che dà forma all’abitare, che lo rende concreto pla- smandone l’interiore spazialità, che ne fa la proiezione di un sentimento, di un sentire, di un sentirsi, non è tanto la sua configurazione architettonica, quanto la popolazione di oggetti che lentamente lo saturano. L’esistenza s’invera nelle cose che ci circondano e di cui ci circondiamo: am- mobiliare un’abitazione, arredarla, colorarla, decorarla, comporla in un’immagine che ci rispecchi, è operazione fondativa, tanto sul piano soggettivo quanto su quello so- ciale e culturale. Spetta quindi al design dell’arredamento il compito di sancire il progetto esistenziale dell’abitare per trasformarlo in esperienza intimamente vissuta”13.
Un abitare quindi nel quale la dimensione virtuale si alterna e si compenetra con quella reale e nel quale i recuperati rituali, alimentati da nuovi oggetti, giocheranno un ruolo strategico. Un abitare nel quale diventerà primario l’equili- brio tra le ore trascorse davanti ad un device e le ore che possiamo dedicare alla vita reale.
Nella terra ideale di Utopia gli utopiani lavoravano sei ore al giorno e nel resto della giornata si dedicavano ad atti- vità culturali. I classici, la musica, l’astronomia e la geome- tria erano il fulcro della loro attività ricreativa e costituivano le basi di una civiltà avanzata, serena e ben governata. Gli abitanti della Città del Sole di Campanella lavoravano quattro ore al giorno, nelle quali riuscivano a far coincidere lavoro intellettuale e pratico. Il resto del tempo era dedica- to ad attività finalizzate all’apprendere.
Lo stato di calma prefigurato dalle utopie in opposizione alla società della superproduzione è lo stato ideale in cui proiettiamo le nostre aspettative di futuro. Come il William Guest del romanzo di Morris (Notizie da nessun luogo) vor- remmo risvegliarci in una società futura che vive nel piace- re della natura, nella bellezza e nel proprio lavoro.
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