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La Cattedrale di Pisa

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 181-189)

IV. Sviluppi

7. La Cattedrale di Pisa

Verso la metà del secolo una maestranza fiorentina cominciò a lavorare per la Cattedrale di Pisa ed i monumenti adiacenti: si tratta della bottega dei Della Scarperia, i cui membri principali erano Leonardo, o Lunardo, di Bartolomeo e suo fratello (o cugino) Goro (il Lastra) e più tardi i fratelli Bartolomeo (il Banco) e Giovanni d'Andrea, cugini dei primi96. Erano originari probabilmente del contado di Firenze (Scarperia è

una località nel Mugello), ma erano già attivi nella città quando cominciarono a lavorare per Pisa. Leonardo di Bartolomeo era infatti un ecclesiastico legato alla Cattedrale di S. Maria del Fiore e anche gli altri membri sono menzionati come “abitanti in Firenze” nelle carte archivistiche relative all’Opera del Duomo di Pisa.

La città di Pisa aveva una lunga tradizione vetraria: tra la fine del Trecento e la

94 Marchini 1963, p. 113 doc. 94, p. 114 doc. 106.

95 Le bibliografie per le varie maestranze locali elencate qui saranno forniti nei

paragrafi successivi.

96 Le vetrate di Pisa e l’attività dei Della Scarperia sono diventate recentemente oggetto

di studio accurato da parte di Burnam 2002, su cui si basa la descrizione seguente, salvo casi indicati. Negli stessi studi sono riportati vari materiali, come bibliografia, documenti

pertinenti, rilievi dello stato di conservazioni delle opere ecc. V. anche l’intervento di Stiaffini 2004 pubblicato in seguito. Sui membri della famiglia Della Scarperia, v. anche Fanucci Lovitch 1991-1995, vol. 1, pp. 35-38, 134-135, 185-186.

metà del secolo successivo, come abbiamo visto, forniva a Firenze due maestri vetrai ecclesiastici, Antonio da Pisa e Domenico di Piero. Tuttavia, nella seconda metà del secolo XV, i lavori relativi alla Cattedrale, uno dei maggiori cantieri vetrari della Toscana di quel periodo, furono affidati quasi interamente alla famiglia dei Della Scarperia, salvo poche eccezioni come gli interventi del maestro locale Ugolino di Pandolfo da Pisa tra il 1461 e il 1463, e poi nel 1471, e quelli degli aretini Fabiano di Stagio Sassoli e di suo fratello Fra Antonio intorno al 1489.

La bottega dei Della Scarperia produsse a partire dal 1452 o poco prima, per circa tutto il mezzo secolo in cui detenne il monopolio di fatto nel cantiere, molte vetrate istoriate per il Duomo e il Camposanto. Tra di esse è oggi conservato, pur assai danneggiato e in parte perduto, il ciclo raffigurante le storie dell’Antico Testamento collocato nelle navate laterali della Cattedrale (tav. F.1-F.11) 97. Il ciclo era composto

originariamente da quattordici pannelli, ma è stato ridotto a undici. I recenti studi di Reneé Burnam hanno ricostruito la disposizione originale del ciclo e hanno stabilito la cronologia di esecuzione98: le vetrate sul lato nord furono realizzate nel 1453 e quelle sul

lato opposto nell’anno seguente dai fratelli Leonardo e Goro di Bartolomeo della Scarperia e dai loro “compagni”. Ad eccezione della Cosmografia teologica (tav. F.1), che costituiva l’inizio del ciclo e occupa una finestra intera, ogni pannello era costituito da due riquadri sovrapposti, raffiguranti ognuno una storia. In più, nella zona inferiore delle finestre era collocato un riquadro minore recante lo stemma dell’Opera. Questa soluzione, con lo stemma che va ad occupare un intero riquadro, divenne assai diffusa nella seconda metà del Quattrocento.

Come a volte indicato da vari studiosi, le vetrate pisane, pur essendo eseguite in un arco di tempo di meno di due anni, non sono del tutto omogenee dal punto di vista stilistico. Ci riferiamo nel seguito alle collocazioni originarie dei singoli pannelli, prescindendo dagli spostamenti posteriori99. La Cosmografia teologica (tav. F.1), in

primo luogo, risulta da una ovvia citazione dell’affresco di Piero di Puccio raffigurante lo stesso soggetto, eseguito nel Camposanto tra il 1389 e il 1391 (fig. 78). Le scene della storia di Adamo ed Eva e dei loro figli, originariamente collocate sul lato sud, mostrano, tra i pannelli pisani, i tratti di maggior semplicità (tav. F.2-F.6). Simile è anche la finestra raffigurante la storia di Noè, collocata sempre sullo stesso lato (tav. F.7). In

97 Per gli altri lavori vetrari relativi alla Cattedrale, v. cap. II.2.a.

98 Burnam 2002, in part. pp. 13-15. V. anche Peroni 1995 [Alberto Ambrosini], pp.

441-445.

questi pannelli il numero degli elementi raffigurati è ridotto al minimo e la gamma cromatica è assai limitata. Ciò è evidente, per esempio, nel gruppo di quattro o cinque personaggi collocati accanto all’Arca di Noè, tutti vestiti in colore blu, che risultano difficilmente distinguibili, essendo tra l’altro la grisaille largamente perduta. La rappresentazione dei motivi infatti dipende molto dalla grisaille e più elementi adiacenti dello stesso colore sono spesso dipinti in un’unica lastra, distinguendoli solo per mezzo di grisaille, come si vede anche nella raffigurazione delle facce del gruppo di personaggi sopra indicato (fig. 4). Anche in altri pannelli i colori utilizzati sono limitati, per le vesti di personaggi, per lo più, al rosso, viola e verde scuro, e queste tinte sono usate ripetitivamente come nella scena della costruzione dell’Arca (tav. F.6).

Assai più eterogenei sono i pannelli originariamente collocati sul lato nord (tav. F.8-F.11). Nella finestra raffigurante la storia della torre di Babele e quelle di Abramo (tav. F.8-F.9), i disegni assomigliano a quelli del lato nord, anche se la corrispondenza stilistica non è perfetta. La composizione corrisponde più direttamente alla storia narrata; i motivi principali, come le figure e la torre di Babele, occupano maggior spazio in primo piano. Tale caratteristica non si osserva nelle altre due finestre: la finestra raffigurante le due storie di Giacobbe ed Esaù (tav. F.10) ha una gamma cromatica apparentemente simile ai pannelli del lato nord. Tuttavia, il complesso ambiente architettonico in stile classico contrasta con la semplice narratività dei due pannelli suddetti e di quelli del lato nord. Gli edifici in ricchi marmi policromi della finestra in questione sono costituiti da arcate a tutto sesto, sostenute da colonne con capitello ionico, e si possono osservare anche espliciti richiami al classico, come il festone con urne nel riquadro superiore. In queste due scene, e nelle altre due che vedremo in seguito, i personaggi sono rappresentati in scala minore e in cambio la spazialità della scena è accentuata. Il bordo della finestra, in parte sostituito nell’Ottocento ma probabilmente rispettando la composizione originale, non è quello ad elementi vegetali su fondo rosso tipico del periodo (impiegato in altri pannelli dello stesso ciclo), ma è costituito da semplici forme di lastre policrome, si armonizza così con l’architettura classica nelle scene principali. Anche la scena del Giuseppe che distribuisce il grano (tav. F.11), rappresentata nel riquadro superiore dell’ultima finestra, è collocata in un ambiente elaborato, costituito da un elegante palazzo esagonale. In questa scena e quella sottostante, che ritrae il Mosè che riceve le tavole della Legge (questi due pannelli, messi insieme nella finestra attuale, provengono da due finestre diverse), è inoltre impiegata una gamma cromatica più vivace: per i personaggi sono utilizzati, oltre ai colori sopra indicati, anche il giallo e il verde chiaro, e la combinazione di questi colori chiari e intensi conferisce all’opera contrasti alti.

Dalle analisi condotte fin qui risultano almeno due tendenze ben distinguibili. La prima è esemplificata dai pannelli originariamente collocati sul lato nord (fig. 79: gruppo 1) e, pur in maniera meno evidente, da alcuni del lato opposto (fig. 79: gruppo 1 bis); questi pannelli corrispondono alle prime scene dell’intero ciclo. La seconda tendenza si può osservare, invece, nelle quattro scene disposte nelle due finestre che costituiscono la parte finale del ciclo; i pannelli che rappresentano queste scene provengono presumibilmente dalle tre ultime finestre collocate sul lato sud (fig. 79: gruppo 2). I due gruppi, eseguiti nella stessa bottega, condividono molti particolari – i motivi vegetali nello sfondo, la tecnica della rappresentazione di più elementi in una singola lastra ecc. –, ma la differenza stilistica, o, per meglio dire, l’esistenza di due tendenze diverse, è innegabile.

I cartoni delle vetrate pisane sono in generale attribuiti ad Alesso Baldovinetti: questi fu collaboratore dei Della Scarperia in varie occasioni, tra cui anche per le vetrate perdute del Camposanto di Pisa negli anni 1461 e 1462100. Ma di fronte all’eterogeneità

stilistica che abbiamo osservato sembra difficile assegnare l’ideazione dell’intero ciclo ad un unico artista. L’attribuzione al Baldovinetti risale alla monografia di Ruth W. Kennedy del 1938, in cui la studiosa cercò di ricostruire le sue attività vetrarie; nella stessa monografia l’autrice si mostrava, infatti, consapevole della differenza stilistica tra le singole opere, supponendo quindi interventi di altri disegnatori101. L’attribuzione

al Baldovinetti è stata in seguito largamente condivisa da studiosi come Giuseppe Marchini e Alberto Ambrosini102, mentre la differenza stilistica tra le singole opere è

ancora tutta da studiare.

Recentemente Reneé Burnam ha attribuito la ragione della differenza stilistica tra le singole opere alle diverse personalità artistiche dei maestri vetrai operanti nella bottega dei Della Scarperia – non a quelle dei disegnatori – pur accettando interventi parziali del Baldovinetti103. Nella bottega dei Della Scarperia, infatti, erano attivi più

maestri vetrai. Oltre a quelli esplicitamente menzionati, Leonardo e Goro di Bartolomeo, i documenti si riferiscono ai loro “compagni”, tra cui vi era forse il giovane Bartolomeo di Andrea, detto Banco. Il suo nome viene citato già nei documenti datati 1454 e relativi alla vetratura delle finestre della facciata della medesima Cattedrale, che cominciò

100 Burnam 2002, pp. 126-129 e passim. Per le altre collaborazioni, cfr. cap. III.3.b. 101 Kennedy 1938, p. 220 nota 244.

102 Marchini 1956, p. 231 nota 63; Marchini 1987, p. 14; Peroni 1995, pp. 441-445

[Alberto Ambrosini].

immediatamente dopo quella delle finestre delle navate laterali. Non essendoci nessun’altra opera sicuramente attribuibile ad un singolo membro di Della Scarperia e nemmeno alla loro bottega in generale, tuttavia, la distinzione tra le loro mani è destinata a rimanere puramente indiziaria.

D’altra parte, i contributi del collaboratore, o dei collaboratori, sono altrettanto difficili da valutare sia a livello di disegno che rispetto alla stesura della grisaille. Lo stato di conservazione della grisaille è pessimo e consente solo confronti approssimativi tra le opere dei presunti disegnatori104. Nemmeno la composizione di tessere vitree e

piombo consente comparazioni attendibili. Nella scena del Sacrificio di Isacco (tav. F.9), per esempio, il corpo inferiore di Abramo assume una forma rigida, senza movimenti naturali: tale figura è difficilmente riconducibile ad un qualche pittore di metà Quattrocento. La sua forma semplice, quasi geometrica, rievoca infatti i personaggi raffigurati nel primo ciclo di Orsanmichele, realizzato alla fine del Trecento (tav. B.2). Per la realizzazione di scene di dimensioni così ridotti come le vetrate pisane – che misurano, per lo più, di un metro quadrato –, i tratti dei dettagli dei cartoni originali potrebbero essere andati facilmente perduti nel corso dell’esecuzione materiale, per facilitare, per esempio, i tagli di lastre vitree. Questi stessi tratti, inoltre, potevano venire elisi nel corso dei restauri successivi: molte tessere vitree (anche la parte superiore del corpo dell’Abramo già visto) e quasi tutti i listelli di piombo sono stati infatti sostituiti nei restauri ottocenteschi.

Di fronte a tali difficoltà possiamo provare a formulare solo una conclusione approssimativa. Prima di tutto, l’attribuzione tradizionalmente sostenuta dei cartoni ad Alesso Baldovinetti va riesaminata. La sua piena autorità, a mio avviso, si limita solo alle due finestre raffiguranti rispettivamente le due scene di Giacobbe ed Esaù (tav. F.10) e quelle di Giuseppe che distribuisce il grano e Mosè che riceve le tavole della legge (tav. F.11), ossia le vetrate che abbiamo classificato come gruppo 2. La maniera di disporre figure piccole in un spazio dotato di una certa profondità, osservabile in

Giuseppe che distribuisce il grano, rievoca le tre scene della storia del Cristo che il pittore aveva dipinto attorno al 1450, alle dipendenze di Fra Angelico (fig. 80). Tra queste ultime, particolare interesse assumono le Nozze di Cana, in cui la figura del padrone di casa, assiso a capotavola, presenta notevoli somiglianze proprio col Giuseppe

104 Il distacco della grisaille è notevole e sono osservabili numerose fratture di lastre

vitree. Si ritiene che furono soprattutto gravi i danni provocati dall’incendio del 1595. Per lo stato di conservazione, i restauri e i rifacimenti delle vetrate pisane, v. Burnam 2002, pp. 37-49.

della vetrata pisana, come già osservato in letteratura (fig. 81-82). La policromia dell’architettura rappresentata nelle scene di Giacobbe ed Esaù, a sua volta, non può non ricordare quella dell’Annunciazione che il pittore avrebbe realizzato più tardi per S. Giorgio alla Costa (fig. 83).

Per le altre vetrate (gruppo 1; tav. F.1-F.9) il problema attributivo è più complesso. In questo gruppo sono state individuate varie citazioni, quasi letterali, da varie opere dedicate alle storie dell’Antico Testamento: oltre i già ricordati affreschi di Piero di Puccio nel Camposanto ricalcati nella Cosmografia teologica, vi sono opere fiorentine, come il ciclo di affreschi del Chiostro Verde di S. Maria Novella, la porta bronzea del Ghiberti ecc. che fornirono sicuramente dei riferimenti105. Il fatto che, nonostante i

maestri vetrai lavorassero a Firenze, furono citati gli affreschi pisani di Piero di Puccio, complica ulteriormente il problema. Può darsi che i maestri vetrai abbiano impiegato un artista fiorentino che conosceva anche l’opera pisana, ma i vetrai stessi potevano essere stati gli ideatori delle opere, facendo disegni piccoli ed eventualmente impiegando un pittore (o più pittori) per la preparazione di cartoni in scala 1:1 e per la stesura della grisaille. Tale collaboratore potrebbe essere stato anche il Baldovinetti. Alcuni motivi paesaggistici nel primo gruppo, come quelli collocati dietro la scena dell’uccisione di Abele, ricordano infatti vagamente le sue opere106.

Le suddette condizioni di conservazione sfavorevoli, si ribadisce, non consentono una conclusione decisiva. Ma se Alesso Baldovinetti fosse stato coinvolto sia nel gruppo 1 che nel gruppo 2 di vetrate significherebbe che i suoi contributi sono stati di caratteri significativamente diversi nell’uno e nell’altro. Delle opere appartenenti al gruppo 2 egli fornì verosimilmente cartoni in scala 1:1, componendo per suo conto l’intera scena. D’altra parte, nelle opere del gruppo 1 è difficilmente attribuibile a lui la fase di ideazione. Una delle ipotesi più probabili è questa: Baldovinetti preparò i cartoni basandosi sugli schizzi indicati dai maestri vetrai, elaborando le forme delle figure lì accennate e aggiungendoci altri elementi di sua iniziativa, come i motivi paesaggistici sullo sfondo. Il committente pisano, prima di avviare i lavori, chiese almeno gli schizzi

105 Burnam 2002, passim.

106 La citazione dagli affreschi di Baldovinetti (Natività della Ss. Annunziata di

Firenze) indicata da Kennedy 1938, p. 220 nota 244, ripetuta dalla Burnam e Peroni 1995, pp. 441-445, rimane incerta (la posizione di Caino ucciso da Abele [tav. F.5] e uno dei pastori degli affreschi), non solo perché gli affreschi furono eseguita più tardi delle vetrate, ma anche perché tale motivo era frequentemente usato con leggere variazioni. V. per esempio la posa di Adamo appena creato dal Dio negli affreschi del Chiostro Verde di S. Maria Novella.

di alcune scene iniziali ai maestri vetrai a cui affidare l’intero progetto. Tali lavori potevano essere fatti anche dai maestri stessi, soprattutto per le scene iniziali, per i cui soggetti esistevano già molte opere da cui trarre dei modelli. Il rapporto tra i disegnatori e gli esecutori era in genere flessibile, soprattutto nei casi in cui il committente lasciò libertà agli esecutori. Basti ricordare, per esempio, le tarsie lignee della Sagrestia delle Messe della Cattedrale fiorentina, in cui lo stesso Baldovinetti fu coinvolto. Per l’intarsiatore, Giuliano da Maiano, il pittore assunse due impegni di carattere diverso: per la Natività accanto alla porta dell’ingresso, egli fornì un cartone completo (parzialmente ombreggiato), mentre per la scena della parete in fondo elaborò con ombreggiatura i disegni già fatti da un altro artista, Maso Finiguerra107. Per le vetrate

delle navate laterali della Cattedrale pisana il contratto tra i maestri vetrai e il committente non è noto. Tuttavia, il suo contenuto si può dedurre da quello stipulato sempre tra l’Opera Primaziale e i Della Scarperia nel 1460, per sette vetrate del Camposanto108. Quel contratto, in cui ai maestri vetrai fu chiesto di eseguire le opere a

Pisa (in precedenza avevano lavorato a Firenze), non fa minimamente cenno alla scelta dei disegnatori, dando quindi ai maestri la massima libertà in proposito. Se quest’ultima condizione era stata applicata anche per le finestre delle navate laterali (come verosimilmente fu), i Della Scarperia potevano ricorrere liberamente per vari scopi ad uno o più collaboratori esterni.

Alcune delle vetrate del gruppo 2 (come Giuseppe che distribuisce il grano; tav. F.11) erano soggetti piuttosto rari. Poteva essere questa la ragione per cui i maestri vetrari si rivolsero interamente al pittore per l’ideazione fino alla preparazione dei cartoni. Anche l’alternanza di generazioni può aver causato il mutamento del rapporto tra i maestri vetrai e il loro collaboratore. Uno dei due vetrai iniziali, Goro, cessò la propria attività probabilmente proprio negli anni di esecuzione di queste opere: il suo nome non appare nei documenti relativi delle vetrate sul lato sud, eseguiti negli anni 1454, e né negli altri successivi. Stava in compenso per entrare in scena il giovane Bartolomeo di Andrea, detto Banco. Il rapporto di Alesso Baldovinetti con quest’ultimo andava al di là di una semplice collaborazione: oltre ai numerosi contributi di Alesso per le vetrate del Banco, documentati negli anni successivi, quest’ultimo si assunse l’obbligo di malleveria per il pittore nel contratto per il mosaico raffigurante S. Giovanni Battista

107 Haines 1983, pp. 163-175. V. anche Haines 1995; Ferretti 1982, pp. 474-475, 494-495

ecc.

108 Burnam, pp. 210-211. Il documento fu per la prima volta pubblicato in Milanesi 1901,

della facciata della Cattedrale di Pisa109. I due giovani maestri appartenevano alla

stessa generazione. D’altro canto Goro aveva probabilmente dietro di sé una lunga carriera: non abbiamo informazioni precise sul periodo prima di Pisa, ma egli potrebbe essere identificato con il “Gorum pictorem fenestrarum vitrei populi Sancte Reparate”, menzionato in un documento datato 1436, insieme con Bernardo di Francesco operoso nella Firenze della prima metà del secolo110. L’appellativo di “pictorem” per il maestro

che giocò un ruolo essenziale nella prima fase delle vetrate pisane è significativo, in quanto allude alla sua capacità come disegnatore. La differenza stilistica tra i due gruppi delle vetrate pisane potrebbe dunque essere riconducibile al mutamento in corso nel rapporto tra il disegnatore e i maestri vetrai.

La gamma cromatica osservabile nelle storie di Giacobbe ed Esaù, l’architettura policroma, infine, anticipano alcuni dipinti di Alesso Baldovinetti, come la suddetta

Annunciazione per S. Giorgio e gli affreschi dello stesso soggetto della chiesa di S. Miniato al Monte111. L’arte del Baldovinetti mutava rapidamente proprio negli anni

delle vetrate pisane. Nella tavolozza delle sue opere giovanile, eseguite sotto la forte influenza di Fra Angelico e Domenico Veneziano, erano dominanti i colori chiari: è il caso degli sportelli dell’Armadio degli argenti (fig. 80) e della Sacra Conversazione

conservata negli Uffizi (fig. 84). Nelle opere successive, tuttavia, i colori intensi acquistarono importanza sempre più maggiore, non solo nelle due Annunciazioni sopra ricordate (fig. 83), ma anche negli affreschi della Ss. Annunziata o in quelli frammentari di S. Trinita, i cui colori, a causa del distacco dello strato applicato “a secco”, sono ora largamente sbiancati, ma in origine erano sicuramente più brillanti. Questo rapido mutamento della sua tavolozza sarebbe difficilmente spiegabile se non si prendesse in considerazione la sua collaborazione con i maestri vetrai. Nelle vetrate pisane, i colori intensi, rosso scuro, viola e blu, erano infatti privilegiati, tranne che in poche scene come Mosè che riceve le Leggi. Era probabilmente così anche nelle altre opere uscite dalla bottega dei Della Scarperia, a cui il Baldovinetti dette un contributo di non poco peso. Egli intervenne nella realizzazione di opere in varie fasi – disegni preparatori e cartoni – e dovette osservare come i suoi cartoni fossero realizzati in vetri multicolori dai maestri vetrai. La sua personalità influenzò sicuramente i prodotti vetrari, ed anche le cromie tipiche della vetrata dovettero contribuire alla formazione artistica del pittore,

109 Kennedy 1938, pp. 241-242, doc. VI. Cfr. cap. III.3.b. 110 Uccelli 1865, p. 102.

111 Dopo la accurata monografia di Kennedy 1938, non è ancora condotto uno studio

all’epoca ancora giovane.

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 181-189)