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L’inizio del cantiere di S Maria del Fiore

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 142-157)

IV. Sviluppi

2. L’inizio del cantiere di S Maria del Fiore

Le prime opere eseguite nella Cattedrale di Firenze sono le quattro vetrate nel corpo della chiesa antistante alla crociera, due nella navata settentrionale e le altre due in quella meridionale (tav. A.1-A.4)10. Gli operai allogarono già nel 1388 le vetrate per le

8 Milanesi 1854, vol. 2, 225-226 doc. 168; Fumi 1891 p. 224 doc. LXXXVI. Per il cantiere

vetrario della Cattedrale di Orvieto in generale, v. Fumi 1891, pp. 187-250.

9 Elenco qui alcuni studi che riguardano l’intera finestratura della Cattedrale e l’arte

vetraria fiorentina della prima metà del secolo XV: Gianandrea 2003; Lavin 1997; Acidini Luchinat 1995; Marchini 1983; Marchini 1979; AA.VV. [Ghiberti] 1979, pp. 235-257 (con bibliografia precedente); Lane 1949; Toesca 1920. Studi specifici saranno menzionati in seguito.

10 L’interpretazione dei documenti relativi alle vetrate di Firenze di Poggi (1909/1988, I,

due finestre del lato sud a Leonardo di Simone, maestro vetraio e monaco vallombrosano11, e gli diedero in affitto una casa nelle vicinanze della chiesa di cui

servirsi come bottega. Il maestro promise di portare il lavoro a termine entro un anno ma non osservò la promessa, e il 6 agosto 1394 gli si rinnovò l’allogazione, secondo cui le vetrate dovevano rappresentare “sex [santi] pro qualibet fenextra cum coloribus et modo et forma et prout et sic dicet seu declarabit Agnolus Taddei Ghaddi, pictor”12. Tuttavia, i

successivi documenti che riportano stanziamenti relativi a queste finestre non fanno riferimento al pittore e quindi non si conosce esattamente il ruolo giocato da costui nella realizzazione delle opere. Una finestra, probabilmente identificabile con quella dell’ultima campata che reca la firma di Leonardo e la data del 1394, fu completata e misurata (per calcolare il compenso da versare al maestro vetraio) nel dicembre dello stesso anno (tav. A.1, fig. 41), mentre l’altra, in cui si trova la firma mutila che si legge “ ... EO ... MEFECIT”, fu portata a termine prima dell’agosto dell’anno successivo (tav. A.2, fig. 42).

Quasi contemporaneamente alle due finestre sul lato sud vennero eseguite le due sul lato opposto (tav. A.3-A.4), ma la loro vicenda è più complicata. In rapporto a queste finestre comparve prima il nome di Niccolò di Piero Tedesco: in un documento frammentario datato 5 giugno 1394 si legge “Locatio fenestrarum duarum domino Lionardo facta ... / Locatio unius fenestre facta Niccolao teotonico ...”13. Egli ricevette

successivamente il 25 agosto del 1394 un acconto di venticinque fiorini d’oro. Nella partita che lo registra si legge “ex caussa mutui pro parte solutionis fenestrarum vitrearum quas facit pro dicta ecclesia s. Reparate [...]”14: quindi prima di quel giorno gli

era già stata affidata più di una finestra. Dato che per le due finestre sul lato sud era stata appena stipulata nello stesso mese la seconda allogazione a Leonardo di Simone e che nelle altre parti della chiesa non erano stati ancora avviati lavori vetrari, è presumibile che si tratti delle due finestre del lato nord. Furono versati sono approfonditi da Burnam 1988 (pp. 282-328), ma la sua interpretazione è talvolta forzata come vedremo (cfr. nota 24). Per le analisi stilistiche v., per esempio, Burnam 1988, pp. 178-246; Marchini 1976; Marchini 1973b , pp. 80-83.

11 Leonardo di Simeno era un maestro assai operoso nell’ultimo quarto del Quattrocento,

non solo a Firenze ma anche in città nei dintorni come Prato. V. Lapo Mazzei-Guasti (1880), II, p. 387-392.

12 Poggi 1909/1988, I, p. 87 doc. 456. 13 Poggi 1909/1988, I, p. 87 doc. 455.

successivamente altri acconti a Niccolò e al suo fideiussore Jacopo di Francesco di Ventura, alcuni dei quali furono di somma consistente (35 fiorini il 30 ottobre 1394, 50 fiorini il 2 gennaio 1395, altri 50 fiorini il 3 febbraio 1395)15. Il maestro tedesco, tuttavia,

sembra aver mancato di parola. Il 6 maggio 1395, infatti, una delle finestre, probabilmente quella vicina alla facciata (tav. A.3), venne allogata nuovamente a Leonardo di Simone, che a quel tempo lavorava sulla seconda finestra del lato meridionale16. Per l’altra finestra (tav. A.4) gli operai erano ancora incerti il 15 luglio

1395: in quel giorno essi consegnarono a Filippo di Franco Sacchetti per dare a Piero di Niccolò, anche egli tedesco e probabilmente figlio di Niccolò, oppure a qualcun’altro che avrebbe completato la finestra: “pro parte solutionis cuisdam fenestre faciende de vitro per magistrum Pierum Nicolai theuthonicum sive alium qui conduxerit dictam fenestram existentem in s. Reparate super via Capseptariorum”17. Sembra che fosse

stata già collocata qualche parte della vetrata ma che essa fosse ancora incompleta. Per questa finestra successivamente lavorò un altro maestro, Antonio da Pisa18, a cui gli

operai decisero il 23 dicembre 1395 di pagare quattro fiorini d’oro al braccio quadro quando il lavoro sarebbe stato portato a termine, detraendone però trenta soldi ogni braccio da pagarsi al Gaddi “pro pingendo designum dicte fenestre”19. Il disegno doveva

avere le stesse dimensioni della finestra (cartone a misura uno a uno), essendo calcolato il prezzo in base alla sua superficie. La vetrata fu misurata il 30 dicembre da maestro Giovanni da Osimo e risultò di 71 e 77/144 braccia quadrate20. Non si sa quanto venne

pagato al maestro Antonio e quindi nemmeno si conoscono le dimensioni di quanto eseguito rispettivamente da lui e dal suo predecessore, Niccolò di Piero. Se lo stesso prezzo fosse stato applicato per l’intera vetrata, il compenso complessivo per l’esecuzione materiale sarebbe stato di ca. 321 fiorini, da cui detrarre ca. 107 lire per il pittore Agnolo Gaddi. Anche per la vetrata della prima finestra dello stesso lato, la cui esecuzione era stata affidata prima a Niccolò di Piero poi trasferita a Leonardo di Simone, il Gaddi avrebbe fatto un lavoro simile. Essa fu completata verso il maggio del

15 Poggi 1909/1988, I, pp. 89-90 doc. 459, 465 ,467. 16 Poggi 1909/1988, I, pp. 90-91 doc. 470.

17 Poggi 1909/1988, I, p. 91 doc. 472.

18 Nel riquadro inferiore è rimasta una firma mutila che si legge attualmente solo “...

FECIT” (fig. 43).

19 Poggi 1909/1988, I, p. 92 doc. 480. 20 Poggi 1909/1988, I, p. 93 doc. 482.

139621 e per un lavoro non specificato ma comunque relativo a questa finestra (“pro

denariis sibi promissis pro dopno Leonardo”) il pittore ricevette 20 fiorini d’oro 16 giugno 139622.

La somma corrisposta ad Agnolo Gaddi (120 lire ca. prima e 20 fiorini poi) sembrerebbe apparentemente sporporzionata se si fosse trattato solo della preparazione dei cartoni: Alesso Baldovinetti, per esempio, nel 1466 doveva ricevere 120 lire per il disegno e la stesura di grisaille dai maestri vetrai della finestra di dimensioni simili posta nella cappella maggiore di S. Trinita23. Tuttavia dobbiamo anche tenere conto

della particolarità dei committenti a cui fu dovuta la scelta del Gaddi. Gli operai della Cattedrale erano eccezionalmente generosi riguardo ai disegnatori: essi, come vedremo, avrebbero pagato mezzo secolo dopo diciotto fiorini d’oro a Donatello per il cartone della vetrata circolare raffigurante l’Incoronazione della Vergine, e quindici fiorini anche al Ghiberti, il cui disegno, paragonato con quello del primo, non fu accettato. I documenti relativi alle finestre delle navate non sono sufficientemente dettagliati per trarne una conclusione decisiva. Ma nei progetti successivi delle vetrate per la Cattedrale di Firenze (che esamineremo in seguito) gli operai si procuravano i disegni e li diedero ai maestri vetrai come modello, oppure indicarono a questi ultimi il pittore a cui rivolgersi per i cartoni. Viceversa essi si mostravano per lo più indifferenti a chi eseguiva la grisaille sulle tessere vitree. È quindi probabile che anche qui la collaborazione del Gaddi da loro indicata si limitasse solo alla preparazione dei cartoni (non è tuttavia da escludere che Gaddi abbia anche steso la grisaille, negoziando direttamente con i maestri vetrai senza interventi dei committenti).

Riassumendo il discorso svolto fin qui, le due finestre del lato sud (tav. A.1-A.2) furono eseguite con certezza da Leonardo di Simone con la collaborazione di Agnolo Gaddi, quella dell’ultima campata nel 1394 e l’altra nel 1395; l’esecuzione delle altre due vetrate (tav. A.3-A.4), invece, fu affidata prima a Niccolò di Piero Tedesco, ma quella della finestra dell’ultima campata fu trasferita a Leonardo di Simone e quella dell’altra ad Antonio da Pisa: quest’ultima fu sicuramente eseguita su cartone del Gaddi e forse anche la prima. Per queste due finestre la documentazione incompleta non consente di determinare con certezza fino a che punto il lavoro fu compiuto da Niccolò di Piero,

21 Tra l’aprile e il maggio del 1396 furono chiamate varie maestranze per i lavori relativi

alla sistemazione della finestra. Poggi 1909/1988, I, p. 93 docc. 483-486.

22 Poggi 1909/1988, I, p. 93 doc. 488.

prima di passare ad altri24.

In tutte le quattro vetrate, come è indicato nella seconda allogazione a Leonardo di Simone, sono rappresentati sei santi sotto baldacchino. Le fasce decorative, che assumono varie forme – gigliate, floreali, geometriche e composte da teste di angeli di colori alternati di blu e rosso –, dividono innanzitutto la superficie vitrea in senso verticale in due riquadri slanciati, che corrispondono alle due luci di una bifora. Queste “luci” sono sormontate da un cerchio: nella vetrata collocata a nord-ovest (tav. A.3) vi è rappresentato un agnello e nelle altre tre una forma geometrica (tav. A.1-A.2, A.4); le vetrate imitano in qualche maniera la struttura di pietra retrostante, che divide la finestre con una colonnina tortile, costituendo così due luci slanciate sormontate da un cerchio traforato. Ogni “luce” delle vetrate è suddivisa in tre riquadri sovrapposti: si formano quindi sei riquadri che contengono altrettanti santi25.

La disposizione di più santi entro baldacchino o forme simili in una finestra non era nuova nella tradizione toscana: è anzi proprio questa una delle tipologie che avevano conosciuto uno sviluppo notevole nel corso del Trecento in Toscana e in Umbria. Anche nel periodo a cui si datano le quattro vetrate della Cattedrale fu prodotta una vetrata con la stessa forma iconografica (sei santi disposti in tre ordini) per la cappella di S. Maria della certosa di Galluzzo (fig. 53-54)26. Confrontate con quest’ultima, tuttavia, le

vetrate della Cattedrale rivelano la loro notevole particolarità.

È evidente innanzitutto la differente disposizione delle cornici. Nella vetrata della certosa di Galluzzo la cornice con motivi floreali – che si trova anche nelle vetrate della Cattedrale – gira semplicemente intorno alla sagoma della finestra, mentre nelle vetrate le cornici formano, come abbiamo già osservato, le “luci” della bifora dimezzando la superficie vitrea. Nelle vetrate di nord-est (tav. A.4) e in quella a sud-est (tav. A.1), queste cornici divide anche orizzontalmente i tre riquadri sovrastanti. Nelle due vetrate

24 La Burnam, calcolando le cifre dei vari pagamenti fatti ai tre maestri vetrai in

rapporto alle finestre del lato settentrionale, crede di aver stabilito la quantità di lavoro (dimensioni) condotto da ognuno dei maestri (Burnam 1988, pp. 282-328). Tuttavia, tale conclusione rimane soltanto una delle ipotesi possibili. Non sappiamo, per esempio, che esito ebbero gli acconti versati a Niccolò di Piero, che potrebbero anche essere restituiti da lui o dal suo fideiussore. In tal caso la validità della conclusione della studiosa sarebbe falsificata.

25 Per il rapporto delle vetrata con la struttura architettonica retrostante, v. cap. II.1.b. 26 La vetrata risale agli intorno al 1400; il suo disegno è attribuita a Niccolò di Piero

collocate sul lato nord (tav. A.3-A.4) e in quella dell’ultima finestra del lato sud (tav. A.1), inoltre, una cornice gigliata corre sul bordo dell’intera finestra, mentre nell’altra vetrata (sud-ovest, tav. A.2) quella parte perimetrale è destinata ad una raffigurazione monocroma in giallo, più semplice, che allude probabilmente a colonnine tortili. La disposizione delle cornici nelle vetrate della Cattedrale è insomma più complicata di quella riscontrabile a Galluzzo.

Assai diversi sono anche gli elementi architettonici rappresentati. Nella vetrata di Galluzzo i santi sono collocati sotto un arco sostenuto da colonnine tortili sormontate ciascuna da un cuspide. Sopra quest’arco è collocato un frontone triangolare con decorazione fiammeggiante. Una coppia di archi forma ciascuno dei tre registri sovrapposti della finestra. Questi motivi architettonici sono rappresentati per lo più in termini bidimensionali, con poche allusioni allo spessore e alla profondità: si presentano quasi come la struttura lignea di un’anta di un lussuoso polittico. Questa soluzione, “a polittico”, è ben diffuso nella seconda metà del Trecento, come nelle vetrate della cappella degli Strozzi (nella testata del braccio sinistro del transetto) di S. Maria Novella o della cappella maggiore di S. Croce.

Nelle opere della Cattedrale i due riquadri disposti uno accanto all’altro non hanno in comune l’elemento divisorio. I sei riquadri in ogni finestra sono divisi in due “luci”, ognuna delle quali include tre riquadri, e il legame tra riquadri in senso verticale è più forte di quello in senso orizzontale. Le cornici ricche e complicate restringono lo spazio dei riquadri in cui stanno i santi, soprattutto in senso orizzontale, e di conseguenza lo spazio riservato alla struttura architettonica da esse comprese diventa a sua volta più ristretto che nella vetrata di Galluzzo. Per la rappresentazione dei baldacchini delle vetrate della Cattedrale si cercò, tuttavia, una certa tridimensionalità spaziale: le due colonne anteriori che sostengono la cupola sotto cui sta il santo sono collocate in posizione leggermente arretrata rispetto alla cornice decorativa – a differenza della vetrata della certosa in cui gli elementi occupano lo spazio più vicino a chi guarda; sono anche rappresentate le due colonne posteriori dietro i santi, che mancavano nell’altra opera. Anche le cupole che sormontano i baldacchini mostrano una certa tridimensionalità seppure rudimentale, che manca completamente alla vetrata della certosa. Naturalmente dobbiamo tenere conto della differenza delle dimensioni: la larghezza e l’altezza della finestra di Galluzzo sono circa due terzi di quelle delle finestre della Cattedrale. Tuttavia, i due gruppi di opere mostrano non solo diversità di singoli motivi (come le fasce decorative e la finta architettura), ma piuttosto due diversi sistemi spaziali.

Michele Arcangelo nell’atto di uccidere il drago nella finestra a nord-ovest, nell’ordine superiore a sinistra): essa si distingue dalla rappresentazione gotico-internazionale dei santi visibile invece nella vetrata di Galluzzo, i cui tratti sono più liberi formando per lo più una curva delicata lungo l’orlo delle vesti, come si vede tipicamente nel S. Lorenzo a sinistra nel registro mediano. I santi della Cattedrale, invece, mostrano una maggiore staticità, con pochi movimenti orizzontali. Essa è causata in parte dagli spazi ristretti dei singoli riquadri, ma probabilmente anche dalla personalità artistica di Agnolo Gaddi: ciò può essere indicato, per esempio, dal confronto con i santi rappresentati nelle ante laterali del polittico della Collezione Contini Bonacossi (fig. 55).

L’importanza di Agnolo Gaddi si manifesta chiaramente nell’uniformità di molti particolari nelle quattro vetrate della Cattedrale, nonostante siano intervenuti tre maestri vetrai diversi. Il modo di dividere l’intera superficie pittorica ad imitazione di bifore non era usuale. Anche i tabernacoli che contengono i santi sono i medesimi, tranne quelli della prima finestra della navata meridionale.

Dobbiamo però considerare anche la differenza tra le quattro vetrate. Assai eterogenee sono le impressioni cromatiche. È innanzitutto particolarmente evidente la differenza di valore cromatico tra il gruppo delle due finestre sul lato sud (tav. A.1-A.2) e quello delle altre due sul lato opposto (tav. A.3-A.4). Questa impressione, tuttavia, potrebbe risultare esagerata dalle condizioni di osservazione: dobbiamo tenere conto della differenza delle condizioni di luce. Le finestre collocate sul lato sud ricevono ampia luce solare, che attenua l’intensità delle tonalità fredde: nella fotografia della finestra vicina alla facciata, edita nella recente pubblicazione Vetrate Medievali in Europa27, per

esempio, risulta schiarito il colore verde delle vesti dei santi nel secondo ordine, che sembrano quasi bianche, mentre il colore giallo mantiene la sua intensità. Sebbene un esame de visu potrebbe facilmente correggere tale inganno, si deve ammettere che l’impressione che dà questa foto è molto vicina a quella che si riceve entrando nella chiesa. D’altra parte le vetrate del lato nord soffrono costantemente la mancanza di luce, anche in una giornata serena, e di conseguenza le lastre vitree si presentano assai monotone, senza scintillio di colori, e danno un’impressione molto fredda.

Ma è vero che, come è stato rivelato dalle analisi accurate di Reneé Burnam, esistono altre e più sottili differenze tra le opere sul lato nord e quelle sul lato sud28. In

27 Barral i Altet 2003, p. 223. Questa foto e anche molte altre riprodotte nella parte

italiana di questa pubblicazione sono stampate a rovescio.

28 Burnam 1988, pp. 178-230. Secondo la Burnam, inoltre, anche le due finestre sul lato

queste ultime, per gli elementi architettonici come i tabernacoli o i pavimenti si preferisce ripetere per lo più la stessa combinazione di colori, mentre nelle prime, scambiando i colori di due elementi architettonici o utilizzando combinazioni varie, si persegue una varietà cromatica maggiore.

Il fatto che lo stesso pittore Agnolo Gaddi abbia collaborato a tutte e quattro le vetrate realizzate da più maestri offre agli studiosi, almeno apparentemente, un laboratorio ideale per identificare le personalità artistiche di questi ultimi. Tale approccio è stato infatti adottato dalla Burnam, che ha cercato di individuare i caratteri stilistici dei tre maestri vetrai – Leonardo di Simone, Antonio da Pisa e Niccolò di Piero Tedesco – attraverso esami ravvicinati della combinazione dei colori. In base a questa distinzione delle mani la studiosa ha attribuito il primo ciclo vetrario della chiesa di Orsanmichele (tav. B.1-B.2), realizzato quasi contemporaneamente alle vetrate della Cattedrale, a Leonardo di Siomone. Tuttavia quest’attribuzione è stata confutata dalla successiva scoperta documentaria de Diane Zervas, che ha riportato un pagamento a Niccolò di Piero Tedesco in rapporto alle vetrate di Orsanmichele29.

I tentativi di attribuzione ai vari maestri vetrai in base alla solo scelta dei colori comportano dei rischi inevitabili. Come abbiamo esaminato nel capitolo precedente, la scelta dei colori era sempre al centro dei loro interessi. Nondimeno, un’attribuzione basata su quest’ultima potrebbe essere possibile solo se un maestro vetraio seguisse sempre lo stesso principio e producesse opere cromaticamente omogenee. Sarebbe più legittimo supporre, alla base della scelta dei colori, un elemento così importante per i maestri vetrai, l’esistenza di vasti repertori comuni nell’arte vetraria, oltre alle preferenze personali. A questo proposito va ricordato la frase di Antonio da Pisa, già una volta citata, che consiglia di imitare la scelta di colori delle sue opere:

Nota che si tu non intendessi bene questo modo da partire i colori del vetro che io t’ò detto qui denanti, resguarda in quelle chiese dove sonno de’ miei lavori de me, maestro Antonio da Pisa, maestro di tale arte e parti secondo quello modo e non porrai errare.30

I principi della scelta dei colori non rimanevano invariati, bensì si trasmettevano e mutavano. Anche lo stesso Antonio da Pisa utilizzò per la rappresentazione dei convincente, come del resto ammette la studiosa stessa.

29 Cfr. nota 89.

tabernacoli della sua finestra (nord-est, tav. A.4) una combinazione di colori diversa da quanto descritto nel trattato. Secondo questo, per esempio, si dovevano fare “sempre le base e capitelli de vetro çallo e le colonnelle de vetro bianco o de vetro incarnato e i casamenti de vetro biancho”31, ma in realtà egli impiegò anche il bianco per i capitelli e

l’azzurro per le colonne.

Tra le finestre delle navate esistono tuttavia anche differenze non riconducibili semplicemente alla scelta dei colori. Vediamo specificatamente le due finestre del lato sud (tav. A.1-A.2), le quali furono entrambe realizzate da Leonardo di Simone con la collaborazione di Agnolo Gaddi. Alcune differenze tra queste due opere sono facilmente riconoscibili. Prima di tutto è evidente l’esistenza di diversi tipi di bordi ornamentali. Nella vetrata per l’ultima finestra (tav. A.1), nella “luce” di sinistra, è utilizzato un bordo a motivi floreali, mentre per quella a destra esso è a motivi geometrici; l’intera finestra è poi circondata da un bordo gigliato. Nella finestra accanto (tav. A.2), invece, tutte le due “luci” sono circondate da motivi floreali e il bordo dell’intera finestra è decorato con tessere gialle dipinte a grisaille ad imitazione di colonne tortili. Questi motivi decorativi sono diffusi nelle opere coeve e possono essere ritenuti prodotti della creatività dei maestri vetrai. Il fatto che anche nelle opere dello stesso maestro vetraio se ne possano osservare diversi tipi, dimostrerebbe l’esistenza di repertori da cui i maestri potevano trarre liberamente vari motivi a seconda dell’esigenza artistica loro, dei collaboratori-pittori o dei committenti.

Nelle due finestre del lato sud anche l’architettura si presenta in forme differenti. Nella vetrata sud-ovest la facciata del tabernacolo è costituita da due parti (il timpano triangolare e la muratura tra questo e l’arco sottostante), mentre nell’altra vetrata non si distinguono queste due parti. Anche le figure contenute in questi tabernacoli assumono forme leggermente diverse. Nella vetrata sud-est le figure mostrano dei

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 142-157)