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La Toscana della prima metà del Quattrocento: il contesto

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 139-142)

IV. Sviluppi

1. La Toscana della prima metà del Quattrocento: il contesto

La Cattedrale di Firenze occupa un posto fondamentale nel sviluppo della vetrata toscana del Quattrocento per vari motivi (tav. A.1-A.20). Innanzitutto va considerato il numero notevole delle opere conservate. Il cantiere vetrario di questo monumento durò con intermittenze occasionali per circa mezzo secolo tra la fine del Trecento e il quinto decennio del secolo successivo. Furono realizzate in primo luogo le quattro vetrate nelle navate laterali, quindi i tre occhi della facciata; il cantiere si spostò successivamente verso la parte retrostante della chiesa, prima nelle tribune e poi negli otto occhi del

1 Come abbiamo osservato nell’introduzione, pochi studi sono dedicati alle vetrate

toscane del Quattrocento nel loro complesso. V. per ora Van Straelen 1938; Marchini 1956 (in part. pp. 24-44). Per quanto riguarda le vetrate conservate nelle chiese fiorentine, si trovano brevi commenti anche in Paatz 1940-1954. È utile, infine, il progetto del sito Internet collaterale al Corpus Vitrearum Medii Aevi (Italia), ossia BIVI (http://www.icvbc.cnr.it/bivi/), che intende catalogare le vetrate antiche in Italia e quelle portate all’estero (il catologo è tuttavia ancora in gran parte incompleto e vi sono molti errori di dati). I rimandi a questi studi saranno risparmiati nel corso del testo, salvo nei casi in cui vi si fanno riferimenti specifici. Saranno citati solo interventi essenziali alla discussione delle singole opere, soprattutto in quella delle opere ben studiate per cui è facile reperire gli studi precedenti. Si tende invece ad arricchire le note relative alle opere poco studiate.

tamburo sottostante la cupola2. Furono prodotte ben quarantacinque vetrate istoriate e

ne sono sopravvissute quarantaquattro; l’unica perduta è una delle vetrate circolari del tamburo sotto la cupola, l’Annunciazione su disegno di Paolo Uccello, distrutta nell’Ottocento, anche se perdite parziali sono frequenti anche nelle altre opere. La percentuale di opere sopravvissute è eccezionale: esse costituiscono quasi la metà delle opere studiate nella presente tesi.

È singolare anche la documentazione pertinente conservata presso l’Opera del Duomo, che permette di conoscere i nomi degli esecutori di quasi tutte le vetrate. Essa fu pubblicata e studiata integralmente già nel 1909 da Giovanni Poggi e ha attirato nuovamente l’attenzione degli studiosi grazie alla ristampa anastatica del 1988 a cura di Margaret Haines3. I committenti, gli operai, inoltre, intervenivano in ogni fase della

realizzazione – fornitura delle materie prime, scelta degli artisti per i disegni ecc. –, lasciando quindi le preziose testimonianze scritte di cui ci siamo largamente serviti nei capitoli precedenti.

Il cantiere della Cattedrale di Firenze attirò molti maestri sia originari di Firenze sia forestieri. Tuttavia essa non era l’unico luogo in cui si sviluppò l’arte vetraria. Il cantiere della Cattedrale era discontinuo soprattutto nella sua fase iniziale in cui furono realizzate le finestre nella parte anteriore della chiesa; nelle fasi di inattività i maestri vetrai cercavano lavoro altrove. Circa nello stesso periodo, infatti, fu realizzato il ciclo vetrario della chiesa di Orsanmichele (tav. B.1-B.6), anche se molti pannelli, soprattutto quelli eseguiti nel Quattrocento, sono andati perduti; sono altresì databili a quel periodo alcune vetrate delle navate laterali e l’occhio della facciata di S. Croce (tav. C.1, C.3, C.7-C.9). Furono attivati inoltre diversi cantieri anche per rifornire città fuori Firenze. Niccolò di Piero (Pietro) Tedesco, maestro attivo sia nella Cattedrale che in Orsanmichele, per esempio, aveva una clientela in molte città nel territorio fiorentino: realizzò tra il 1413 e il 1416 ca. la vetrata per la cappella maggiore della pieve di S. Stefano a Prato su disegno di Lorenzo Monaco4; successivamente lavorò per la vetrata

della cappella maggiore della chiesa di S. Francesco ad Arezzo su commissione dei Bacci5.

2 Furono eseguiti poi i vetri bianchi per le sagrestie e per la lanterna della cupola, di cui

non ci occuperemo. Per il svolgimento del cantiere, cfr. cap. II.2.b.

3 Poggi 1909/1988. Per quanto riguarda le vetrate, v. pp. LXXVIII-XCIII, 85-171. 4 Per questa vetrata cfr. cap. II.4.

5 Baccio di Maso espresse la sua volontà di decorare la cappella maggiore sia con

Una città che giocò un ruolo particolare è Pisa. Essa sembra aver avuto, già prima della sua annessione al territorio di Firenze nel 1406, un legame particolare con quest’ultima. A metà del penultimo decennio del Trecento, infatti, troviamo un pittore fiorentino, Tuccio, che forniva disegni per il maestro vetraio don Lorenzo di Luigi, che eseguiva quattro finestre nella Cattedrale di Pisa, una parte delle quali potrebbe essere identificata con la vetrata trecentesca attualmente sistemata in una finestra della navata laterale settentrionale. Nel 1395, al contrario, un maestro pisano lavorò al servizio degli operai della Cattedrale di Firenze per una delle quattro vetrate nelle navate laterali, conservata anche oggi: si tratta di don Antonio da Pisa, probabile autore del trattato, la cui unica copia è conservata nella Biblioteca del Sacro Convento di Assisi. Successivamente Domenico di Piero da Pisa, anch’egli ecclesiastico, eseguì molte vetrate per gli operai della medesima Cattedrale tra il quarto e il quinto decennio del Quattrocento. Questi due maestri vetrai, lavorando per la Cattedrale fiorentina, si incaricarono anche di diversi lavori a Pisa6.

Infine vi era Siena. Questa città e il suo territorio sembrano aver conosciuto sviluppi autonomi rispetto a quelli fiorentini, dove sono attivi vari maestri come Fra Ambrogio di Bindo, domenicano poi camaldolese, tra la fine del Trecento e il primi decenni del Quattrocento, e più tardi, Francesco di Giovanni, ser Guasparre di Giovanni da Volterra (ma residente a Siena) ecc7. Non sono note notizie dei maestri vetrai di

formazione fiorentina nella zona senese e viceversa. Troviamo invece alcuni maestri nello stesso anno, uno dei suoi eredi, Bartolomeo di Girolamo, nella portata al catasto del 1427, dichiara il debito di 461 fiorini 4 lire 2 soldi contro il vetraio Niccolò di Piero Tedesco. Centauro-Settesoldi 2000, pp. 53-54, 202-208 doc. 3. Alcune altre notizie su Niccolò di Pietro sono raccolte in Thompson 1999, pp. 83-84 (ma l’autrice sembra confondere alcune notizie relative al pittore omonimo, Niccolò di Piero Gerini, con quelle sul maestro vetraio; l’immatricolazione all’Arte dei Medici e Speziali si riferisce per esempio probabilmente al Gerini).

Anche altri maestri lavorarono fuori Firenze: v. per esempio le notizie sulla vetrata (distrutta) per il battistero di Pistoia, allogata nel 1431 a Bartolomeo di Tommaso, maestro fiorentino (Bacci 1906).

6 Per i maestri pisani attivi tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento, v.

Burnam 2002, pp. 8-12.

7 Per le notizie sulle vetrate e sui maestri senesi, v. Milanesi 1854, vol. 2 pp. 20-22,

194-195, 225-226; Borghesi-Bianchi 1898, pp. 114-115, 394-403; Lisini 1885, pp. 5-12; Misciatelli-Lusini 1927, pp. 204-205; Pepi 1964, pp. 85-94; Carli 1971, pp. 28-29.

senesi nella Cattedrale di Orvieto. Il cantiere vetrario di quest’edificio, iniziato nel secolo precedente, continuò per tutto il Quattrocento. La città di Orvieto, nonostante il grande cantiere della Cattedrale, non sembra aver allevato maestri locali, ma invece invitava maestri di varie origini. La prima città a cui si rivolgeva la Fabbrica della Cattedrale era Siena. Vi fu mandato infatti il loro camerlengo nel 1445 per cercare un capomaestro e un maestro vetraio “qui sciat facere, designare, et componere fenestras vitreas”, e solo “in casu quo ipse camerarius non reperiret in civitate Senarum prefatos magistros ydoneos et sufficientes ad predicta; quod ipse possit, et debeat ire usque ad civitatem Florentie pro exequendo predicta”. Un maestro vetraio fu reperito: negli anni seguenti troviamo a lavorare a Orvieto il sopra ricordato ser Guasparre di Giovanni8.

La scena artistica era insomma molto più variegata di quanto ci si potrebbe attendere: tuttavia le testimonianze artistiche fuori Firenze che risalgono a questo periodo sono andate del tutto distrutte e anche in quella città non ci sono pervenute molte opere dell’arco del tempo cronologico che comprende i progetti vetrari della Cattedrale, con l’ovvia eccezione di questi ultimi. Gli esempi eccezionalmente superstiti (il ciclo di Orsanmichele e le vetrate di S. Croce) sono spesso incompleti a causa di distruzioni posteriori. È quindi legittimo considerare la Cattedrale di Firenze come il punto di partenza9.

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 139-142)