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I colori nelle vetrate tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 175-179)

IV. Sviluppi

5. I colori nelle vetrate tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento

È opportuno discutere qui specificatamente alcuni aspetti delle vetrate eseguite nel corso del mezzo secolo in cui fu attivo il cantiere della Cattedrale fiorentina. Uno degli elementi che intendiamo ancora approfondire è il colore, che stava al centro degli interessi dei maestri vetrai, come è attestato dal trattato di Antonio da Pisa82.

Esaminare uno ad uno i suoi consigli sulla scelta dei colori non sarebbe molto produttivo: lo stesso maestro Antonio, come abbiamo già osservato velocemente, utilizzò colori diversi da quelli indicati nel trattato per rappresentare i tabernacoli nella sua vetrata della Cattedrale di Firenze. Tale contraddizione si trova frequentemente: quello che cercheremo in questo paragrafo non è infatti comprendere i singoli dettagli, ma piuttosto individuare certi principi su cui i maestri vetrai, ed eventualmente i loro collaboratori, si appoggiavano consapevolmente o meno.

È interessante innanzitutto il consiglio del maestro Antonio per il colore dello sfondo:

Nota che li campi de le figure volgliono essere sempre de açurro e quando el mantello o la vestimenta fosse d’açurro, el campo fa’ rosso.83

La sua intenzione è chiara: cercare di creare un contrasto cromatico per far emergere l’immagine rappresentata, evitando di assimilare il colore di quest’ultima con quello dello sfondo. Lo sfondo del colore rosso era infatti diffuso, in Italia centrale, almeno fino alla metà del Trecento: basti pensare agli splendidi pannelli di Giovanni di Bonino nel Duomo di Orvieto; anche a Firenze, nel transetto di S. Croce, santi con vesti di colore azzurro o stemmi di questo colore si presentano spesso su fondo rosso (tav. X.8). Il blu e il rosso, i due colori più intensi, erano in certi casi interscambiabili e avevano un medesimo significato. Antonio da Pisa spiega infatti il modo di comporre i bordi con ornamenti vegetali come segue:

Fogliame

Si tu vuoli fare fogliame, non adoperare mai altro vetro che biancho e çallo a fare la foglia e a fare el campo delle folglie cioè de folgliame, falli russi o açurri,

82 Cfr. cap. III.5.c.

che questo è più sua ragione che altro vetro.84

Le prescrizioni del trattato, tuttavia, non vanno ritenute come norma invariabile, ma piuttosto il punto di partenza da cui l’arte vetraria si trasformò nel corso del Quattrocento. Alcuni dei suoi consigli infatti erano già diventati o stavano per diventare obsoleti quando fu redatto il trattato, almeno a Firenze. L’interscambialità tra i due colori intensi, per esempio, si perdeva gradualmente: nelle quattro vetrate delle navate laterali della Cattedrale di Firenze e in altre vetrate per lo più coeve in Orsanmichele, S. Maria Novella, S. Croce e la certosa di Galluzzo allo sfondo della scena principale è riservato esclusivamente il colore blu, riflettendo probabilmente il gusto per la rappresentazione più naturalistica. Tale mutamento non è scontato: nella zona intorno a Bologna, per esempio, per la chiesa di S. Petronio o per il Duomo di Modena, furono eseguite vetrate con sfondo rosso ancora al Quattrocento inoltrato (tav. X.9)85.

Una simile tendenza si può osservare anche per lo sfondo dei bordi. Nella Firenze tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento furono spesso impiegati insieme il rosso e il blu. Nell’ultima finestra della navata meridionale della Cattedrale, per esempio, fu utilizzato un bordo con motivi geometrici di colori giallo e bianco su sfondo parimente diviso in rosso e blu (tav. A.1). Nella prima finestra della navata opposta, invece, i bordi sono composti da angeli ornamentali alternativamente rappresentati in tessere di colori blu e rosso, con aureola gialla (tav. A.3). I colori che corrispondevano all’iconografia consueta per la rappresentazione di serafini e di cherubini potevano ben adeguarsi all’esigenza artistica dei maestri vetrai; si potrebbe osservare un’eco lontana di questa tradizione anche negli angeli rossi e blu che circondano l’Incoronazione

donatelliana (tav. A.14). In queste opere l’estensione del rosso e del blu è uguale, creando così un contrasto cromatico intenso. La crescente tendenza all’utilizzo del colore blu nello sfondo della scena principale, tuttavia, alterò anche la tendenza per la scelta dei colori per il bordo. Nelle opere posteriori a quelle delle navate laterali di S. Maria del Fiore divenne sempre più dominante il tipo di bordo con fondo rosso, su cui vennero rappresentati vari motivi ornamentali per lo più vegetali: questo sarebbe rimasto lo

standard nella zona fiorentina per più di cinquant’anni, fino agli ultimi decenni del secolo, anche se i singoli motivi avrebbero subito varie evoluzioni e si sarebbero

84 Antonio da Pisa [1991], p. 56 (corsivo mio).

85 Di S. Petronio di Bologna v. le vetrate della cappella dei Notai eseguita da Giacomo

da Ulma (Alce 1961, pp. 135-143). Di quella di Modena v. le vetrate rimaste nel rosone della facciata (Frugoni 1999, testo pp. 344-345; photo pp. 574-575).

inventati motivi più complicati per le opere di dimensioni maggiori come gli occhi sotto la cupola (eccetto l’Incoronazione che richiede una considerazione a sé; tav. A.15-A.20). Il rosso e il blu non furono più interscambiabili nella decorazione ornamentale e vennero loro assegnati significati distinti.

Un altro principio simile indicato da Antonio da Pisa è il seguente:

Figura de çallo o bianco.

Si tu vestissi una figura de çallo o biancho, fa’ li riversi della veste, di rosso o de bifo o de verde o d’açurro, salvo si non vi serà da lato del campo.86

Come prima, Antonio da Pisa consiglia di non affiancare colori simili, questa volta parlando dei singoli elementi delle vesti dei personaggi. Anche il seguente consiglio può essere letto nello stesso senso:

Se tu volessi fare istorie.

Et tu le vestissi, una de biffo et una de rosso o de laccha, fa’ sempre nel meço de questi colori una vestita de biancho o de çallo perché, si mecterai infra rosso o verde o lacca o bifo, sempre nel meço, una figura çalla o biancha, ti farà relevare l’altre // figure per ragione naturale.87

In questo caso i contrasti sarebbero stati ottenuti attraverso la giustapposizione di colori chiari e scuri88, a differenza di quella di due colori intensi, rosso e blu, che

abbiamo visto in precedenza; la preoccupazione di dare risalto ai singoli elementi è però in fondo uguale. L’applicazione di tale principio si più osservare chiaramente nelle vetrate di Orsanmichele di Firenze realizzate tra il 1386 e il 1400 circa, probabilmente da parte di Niccolò di Piero Tedesco (tav. B.1-B.2): queste finestre, che rappresentano miracoli mariani, appartengono alla prima fase della finestratura dell’edificio89. In esse,

86 Antonio da Pisa [1991], p. 56 (corsivo mio). 87 Antonio da Pisa [1991], p. 55.

88 La giustapposizione di colori intensi a quelli chiari è consigliata anche per la

rappresentazione di figure grandi come segue: “Et si figura grande volessi fare. / Nota che si tu fai le veste de la figura verde, fa’ lo suo mantello de vetro rosso o de colore de laccha e lo riverso del mantello, de vetro bianco o de çallo.” Antonio da Pisa [1991], p. 55.

89 Per le vetrate di Orsanmichele (comprese quelle realizzate più tardi) v. Zervas 1996

si ribadisce, la conformità con i consigli di Antonio da Pisa non è letterale – è frequente che più personaggi affiancati siano rappresentati in colori intensi –, ma è chiaro che il maestro vetraio cercava di dare risalto ai personaggi utilizzando per le loro vesti talvolta colori intensi e talaltra chiari, evitando comunque l’accostamento di un medesimo colore. I singoli elementi – le veste, i volti, i motivi architettonici ecc. – sono distinti chiaramente da quelli adiacenti attraverso contrasti di colore assai forti; tale strategia è utilizzata per l’intera superficie delle opere, e perciò lo spazio rappresentato si presenta piuttosto uniforme, quasi come un tappeto multicolore senza profondità tridimensionale e senza un unico fulcro visivo.

Questa caratteristica, tuttavia, è attenuata già nella Visione di Gioacchino, realizzata per la medesima chiesa nel 1410 sempre dallo stesso maestro tedesco su disegno di Lorenzo Monaco (tav. B.3-B.4). La trasformazione è ancora più visibile nelle vetrate eseguite, nell’ultima fase, negli anni intorno al 1430 da Francesco di Giovanni, detto Lastra, e Bernardo di Francesco (tav. B.5-B.6). In queste opere, soprattutto nelle ultime, le superfici riservate ai singoli personaggi sono molto maggiori di quelle delle vetrate trecentesche e le storie, tratte dalla vita di Maria, meno complicate, assumono valori simbolici piuttosto che descrittivi. Non era più importante, quindi, distinguere i singoli elementi impiegando tessere di colori intensi per creare forti contrasti. Qui il compito di chi scelse i colori fu creare una composizione armonica dal punto di vista cromatico. Nell’Assunzione (tav. B.6), appartenente all’ultima fase della finestratura, per esempio, si predispose una superficie vasta di colore bianco della veste della Vergine, con colori delicati di giallo e di verde a segnalare rispettivamente il bordo e la fodera della veste. A lati della Vergine sono disposti quattro angeli alternativamente di rosso e di azzurro turchese. Quest’ultimo colore si assimila quasi a quello dello fondo di blu scuro. Il fulcro visivo è collocato sull’unico protagonista: la composizione pittorica venne impostata in base alla differenza tra fulcro visivo e parti marginali, ed i colori seguirono logicamente. Il mutamento nella composizione pittorica si doveva verosimilmente ai pittori che fornivano i disegni, ma anche chi sceglieva i colori sapeva adeguarsi a questa datazione, in particolare, v. Zervas 1991. Per quanto riguarda gli esecutori, la Burnam identifica quello del ciclo trecentesco in Leonardo di Simone e quello delle altre opere in Niccolò di Piero Tedesco, in base a confronti con le vetrate delle navate laterali della

Cattedrale e altre. Ma secondo i documenti riportati dalla Zervas il primo ciclo fu realizzato probabilmente da Niccolò di Piero Tedesco, mentre la Visione di Gioacchino del 1410, e le altre opere realizzate verso il 1430 si devono a Francesco di Giovanni, detto Lastra, e Bernardo di Francesco.

nuova tendenza.

Questi mutamenti relativi alla scelta dei colori si presentano anche nella decorazione vitrea delle rose sovrastanti alle vetrate sceniche. In quelle che ebbero vetrate nel Trecento le singole luci sono riempite alternativamente con angeli rossi su fondo azzurro e blu su fondo rosso (tav. B.1). Nella rosa appartenente al progetto del 1410, invece, sono utilizzati motivi vegetali di colore giallo su fondo azzurro e quelli di colore azzurro chiaro su fondo rosso (tav. B.3). Infine gli ornamenti delle rose sovrastanti alle finestre decorate nell’ultima fase lo sfondo è sempre di colore rosso, e per i motivi vegetali sono utilizzati vari colori, non per creare contrasto, ma piuttosto per cercare armonia cromatica (tav. B.5).

Questa tendenza, nel corso del secolo, divenne sempre più evidente. Nelle opere realizzate alla metà del secolo in poi, le vesti della Vergine (ad eccezione di scene particolari come l’Assunzione), ad esempio, venivano rappresentati quasi sempre di colore blu (per il mantello), verde (la fodera) e viola (la veste interna), invece del rosso utilizzato comunemente nella pittura su tavola o negli affreschi, e occasionalmente anche nelle vetrate trecentesche (per i pannelli trecenteschi di Orsanmichel è utilizzato talvolta il rosso e talaltra il viola). La giustapposizione dei due colori, rosso e blu, in cui Antonio da Pisa aveva individuato la medesima intensità cromatica, veniva invece evitata (a titolo di esempio v. tav. D.2, G.2 ecc).

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 175-179)