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La vetrata della cappella maggiore della pieve di S Stefano a Prato

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 189-193)

IV. Sviluppi

8. La vetrata della cappella maggiore della pieve di S Stefano a Prato

Circa nello stesso periodo in cui la bottega dei Della Scarperia eseguiva le finestre delle navate laterali della Cattedrale di Pisa, un’altra maestranza fiorentina si incaricò della realizzazione del finestrone in fondo alla cappella maggiore della pieve di S. Stefano di Prato (tav. G.1, fig. 85-87)112. Questo finestrone era stato dotato in

precedenza di una vetrata eseguita da Niccolò di Piero Tedesco, su disegno di Lorenzo Monaco, negli anni 1413 e successivi113; ma nel 1452, quando fu decisa la decorazione

parietale della cappella dall’Opera del Sacro Cingolo che si occupava della gestione della chiesa, fu ordinata pure una vetrata nuova. Per gli affreschi fu scelto Filippo Lippi, mentre la vetrata fu affidata a Lorenzo da Pelago, che aveva lavorato nel periodo precedente nella Cattedrale di Firenze. L’opera di quest’ultimo fu portata a termine in un lasso di tempo relativamente breve, e già nel 1459 venne collocata al suo posto.

L’intera composizione della vetrata, che rimane in situ, è divisa in quattro ordini sovrapposti. Nella lunetta a sesto acuto collocata più in alto è raffigurata la Vergine che concede la Cintola a S. Tommaso. La scelta di questa scena fu sicuramente voluta dal committente, che conservava la preziosa reliquia della Sacra Cintola nella pieve: il colore verde della cintola raffigurata, infatti, corrisponde a quello della reliquia114. I due

ordini sottostanti sono divisi verticalmente in tre riquadri, ognuno dei quali accoglie un santo sotto un baldacchino. Nel secondo ordine sono effigiati S. Stefano, S. Giovanni Battista e S. Lorenzo, e nel terzo S. Paolo, S. Pietro e S. Andrea. È ignota l’iconografia originaria dell’ordine inferiore, dove si vedono attualmente tre sante eseguite da Ulisse

112 Per questa vetrata è fondamentale l’intervento di Marchini 1975, con il rilievo che

indica lo stato di conservazione delle tessere. Nell’intervento di Borsook 1975 nello stesso volume è pubblicata la maggior parte dei documenti pertinenti, insieme a quelli relativi alla decorazione parietale da Filippo Lippi. V. anche le recenti pubblicazioni di Kanehara 2001; Ruda 1993, pp. 455-464 (entrambe con bibliografia precedente). Per l’insieme degli arredi vetrari della pieve di S. Stefano, cfr. il cap. II.4.

113 Marchini 1963, p. 103 doc. 45.

114 Per il culto della Sacra Cintola a Prato e la sua rappresentazione nell’arte visiva, v.

De Matteis nell’Ottocento (ma presumibilmente vi erano rappresentati altri tre santi o sante). Nel bordo dell’intera composizione scorre una cornice gigliata su fondo rosso (motivo dello stemma del Comune) e i riquadri dei singoli santi sono divisi da cornici con motivi vegetali. I tabernacoli che accolgono i santi, a pianta esagonale, appartengono alla stessa tipologia adottata nelle finestre collocate nelle cappelle delle tribune della Cattedrale fiorentina (tav. A.8-A.10), anche se gli ornamenti decorativi, come i pinnacoli, sono più sobri. La veste di S. Stefano, collocato al centro del secondo ordine, è cosparsa delle decorazioni floreali che abbiamo incontrato più volte nelle vetrate fiorentine; la veste di S. Lorenzo, che si trova accanto a S. Stefano, e quella di S. Tommaso nella lunetta sono decorate con la tecnica dell’acidatura/incisione – anche questa diffusa nell’arte vetraria – sfruttando la natura del vetro rosso placcato (tav. X.1)115. Nelle vesti

della Vergine nella lunetta e dei santi nel registro inferiore, invece, sono rappresentati con la delicata grisaille disegni che imitano la damascatura.

Nonostante gli abbondanti documenti relativi alla decorazione della cappella maggiore, pubblicati da Eve Borsook116, non sono molto chiari i dettagli dell’allogazione

della vetrata. Nelle carte archivistiche il nome di Antonio da Pelago appare molto meno frequentemente di quello del pittore Filippo Lippi, probabilmente perché egli lavorava nella sua bottega fiorentina (era infatti un cappellano di S. Pier Maggiore). Una notizia interessante è nel documento datato 16 luglio 1452 (pochi mesi dopo l’inizio del lavoro), da cui si apprende che un agente del committente, Bernardo di Bandinello117, si recò a

Firenze per portare al maestro vetraio “il disengnio di Santo Stefano”118. Non si sa si

tratti di un disegno piccolo o di un cartone in scala uno a uno, ma è più che probabile che il pittore degli affreschi, Lippi, che lavorava proprio a Prato, abbia eseguito il disegno su richiesta del committente. Nonostante i rifacimenti totali dei volti ascrivibili al De Matteis119, alcune delle figure, infatti, presentano caratteristiche peculiari di Filippo

115 Per la tecnica di incisione/acidatura, v. cap. I.1.e. 116 Borsook 1975.

117 Il nome di Bernardo di Bandinello appare molte volte nei documenti relativi al

progetto di decorazione della cappella. Egli è probabilmente il padre del prete Filippo di Bernardo Bandinelli, maestro vetraio, che avrebbe lavorato nella pieve, almeno a partire dal 1464, racconciando vetrate esistenti, ed avrebbe eseguito nel 1482 una vetrata raffigurante l’Annunciazione e santi. Marchini 1963, p. 113 doc. 94, p. 114 doc. 106.

118 Borsook 1975, p. 75 dco. 20.

Lippi, come è stato dimostrato anche di recente da Frank Martin120. Ciò è evidente, per

esempio, nel portamento di S. Lorenzo (fig. 86), collocato a destra nel secondo ordine. La schiena è fortemente incurvata all’indietro con il ventre quasi gonfiato, e di conseguenza la parte superiore del corpo è arretrata rispetto a quella inferiore: questa diversa posizione delle due parti dà un notevole volume all’immagine. È una soluzione osservabile anche in uno dei due santi raffigurati negli affreschi accanto alla vetrata (fig. 88) e, più spiccatamente, per esempio, nella tavola conservata a Torino (fig. 89). Su questa linea si situano anche la figura di S. Stefano, il cui disegno è menzionato nel documento, e anche quella della Vergine nella lunetta.

La problematica attributiva, tuttavia, è più complessa: le figure rappresentate nel terzo ordine (fig. 87) mostrano una caratteristica incompatibile con lo stile di Filippo Lippi, come osservato sempre da Martin. Il loro atteggiamento è tipicamente tardo-gotico, con una delle gambe in una posizione libera e rilassata, senza peso, tale da formare due curve di andamento diverso nella parte superiore del corpo e in quella inferiore. Questa forma di S (o S rovesciata) contrasta spiccatamente con la curva di andamento completamente diverso di S. Stefano e di S. Lorenzo. Non sappiamo se per le figure del terzo ordine i disegni siano stati forniti da un altro artista con la cultura tardo-gotica, oppure se l’interpretazione personale di Lorenzo da Pelago abbia trasformato più radicalmente disegni lippeschi: una tale trasformazione sarebbe anche comprensibile, se i disegni forniti da Lippi fossero stati in formato ridotto e ingranditi poi dal maestro vetraio o da un altro collaboratore.

La vetrata nel suo complesso, del resto, si accorda poco con l’arte di Filippo Lippi. La disposizione dei santi in tabernacoli a pianta esagonale è molto diversa da quella dei due rappresentati negli affreschi accanto al finestrone (fig. 88). Questi ultimi, posti in stanzette quadrate illusionisticamente forate sulla parete, hanno attorno a sé ampio spazio, mentre i santi della vetrata si espandono al massimo in ogni riquadro, riservando solo una piccola parte in alto alla rappresentazione dei tabernacoli. Anche le figure presenti nella scena della Consegna della Sacra Cintola (la Vergine, S. Tommaso e gli angeli) coprono quasi l’intera superficie della lunetta. Come abbiamo osservato, la figura della Vergine reca una tipica caratteristica lippesca: tale accostamento al Lippi,

120 Per l’analisi stilistica, v. Martin 1996, pp. 129-130, con cui concorda in linea di

massima anche Kanehara 2001, pp. 156-159. V. anche Martin 1998, pp. 138-141. Gli studi precedenti tendono a riconoscere interventi del Lippi sull’intera finestra, senza condurre però analisi specifiche su singoli elementi: Ruda 1993; Marchini 1957 p. 85; Salmi 1944, p. 2; Badiani 1934, pp. 148-149; Van Straelen 1938, p. 95.

del resto, può essere corroborato anche dal confronto con la cosiddetta Madonna del Ceppo (fig. 90) o con la tavola rappresentante lo stesso soggetto eseguito dalla bottega del Lippi del periodo pratese per il Monastero agostiniano di S. Margherita (fig. 91). Tuttavia, gli stessi confronti con le opere del Lippi mettono in dubbio la paternità del disegno dell’intera composizione della lunetta. Quest’ultima non ha dimensioni sufficienti (soprattutto in senso verticale) per la narrazione della storia, e di conseguenza le figure sproporzionatamente grandi della Vergine, di S. Tommaso e degli angeli sono state racchiuse in una superficie angusta; gli elementi paesaggistici sono costretti in parti marginali e non creano senso della profondità. Tale impressione è accresciuta dalla rappresentazione di S. Tommaso rigidamente in profilo, pure da quella di alcuni angeli. L’angelo in primo piano a destra, inoltre, forma una curva acuta arcuando il busto e le gambe. Tale figura ricorda, per esempio, gli angeli rappresentati nell’occhio centrale della facciata della Cattedrale di Firenze (tav. A.5), più che qualsiasi pittura eseguita verso la metà del secolo. È insomma inaccettabile che l’intero cartone della Consegna sia riconducibile al Lippi, il cui acuto senso spaziale è evidente anche nella decorazione parietale della medesima cappella, come si può osservare per esempio nella scena del Banchetto di Erode (fig. 92), in cui il pittore cercò di disporre singoli elementi sfruttando meglio possibile la profondità dell’ambiente. Il disegno del pittore fu quindi fortemente trasformato nel corso dell’esecuzione materiale oppure egli fornì solo un cartone con le figure essenziali, a cui successivamente sarebbero stati aggiunti vari elementi su iniziativa del maestro vetraio.

È evidente che l’ideazione generale dell’opera fu dovuta al maestro vetraio. Essa si mostra infatti come la combinazione di due tendenze sviluppate nella Cattedrale di Firenze: la disposizione dei santi in tabernacoli derivano direttamente dalle effigi di santi seduti nelle finestre nelle cappelle delle tribune di S. Maria del Fiore, mentre la disposizione delle figure della lunetta fa pensare ad un riadattamento delle composizioni monumentali delle vetrate circolari della medesima Cattedrale. Il grado di perfezionamento del finestrone della pieve di S. Stefano è assai elevato in questo contesto. Le tessere di vari colori creano alti contrasti cromatici e lo strato della grisaille è delicatamente applicato. La composizione della lunetta, con la grande figura della Vergine, assume un valore simbolico (questa è la prima immagine che vede chi entra nella pieve) senza perdere in varietà cromatica. Gli elementi architettonici in cui si inseriscono i santi sono ben ragionati e non disturbano le figure ieratiche da essi accolte.

La presenza del Lippi è solo parziale. La composizione poco adeguata della scena della Consegna della Cintola, dovuta in parte alla mancanza di altezza del campo pittorico necessaria per disporre la Vergine in alto e S. Tommaso in basso, avrebbe

potuto essere evitata, se il pittore fosse stato coinvolto nel progetto a livello dell’ideazione dell’intera composizione. Egli eseguiva disegni, a Prato o altrove, senza interloquire con il maestro vetraio, il quale, dal canto suo, li utilizzò in maniera arbitraria, restando fedele alla tradizione vetraria più che ai disegni forniti dal Lippi. Il prodotto vetrario finale, dal punto di vista formale, non ha a che fare con gli affreschi eseguiti contemporaneamente. È significativo il fatto che, proprio per i due santi basati sicuramente su disegni del Lippi, le vesti siano cosparse di vistosi motivi, tradizionali all’arte vetraria: i fiori di S. Stefano e l’incisione/acidatura del vetro rosso di S. Lorenzo. La rappresentazione volumetrica di questi santi sembra aver obbligato il maestro vetraio ad utilizzare tali elementi per interrompere la superficie uniforme. Nella rappresentazione dei santi sottostanti egli non ebbe bisogno di ricorrere a tale decorazione.

La tradizione vetraria sviluppatasi in precedenza nella Cattedrale di Firenze si pone in evidente conflitto con lo stile della pittura rinascimentale, a cui ormai aderivano molti collaboratori-pittori come il Lippi. Anche l’arte vetraria, a questo punto, necessitava di sviluppi per adeguarsi alla nuova tendenza.

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 189-193)