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Costo della vetrata

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 53-57)

Le vetrate sono oggetti di alto valore economico. Sia il committente sia il maestro vetraio erano sempre interessati al costo di esecuzione. Il maestro Antonio da Pisa dedica un capitolo del suo trattato, intitolato “el modo de pagarse”, proprio a questo problema. Egli consiglia di considerare innanzitutto i prezzi dei materiali:

[...] fa’ prima ragione quello che vale el vetro e la dipentura e piombi e ferri e de tucta la spesa che ce entra dentro. Tanti denari tolli della tua persona, quanto monta tucta questa spesa. § Ancora t’aviso e dico sopra del fatto del precço de le fenestre [...]127

I materiali utilizzati nella vetrata, soprattutto i vetri, erano costosi, come abbiamo già esaminato, e il loro recupero spettavano per lo più ai maestri vetrai.

In seguito il maestro pisano presenta le cifre precise a seconda della tipologia dei lavori:

Se tu vuoi salvare, ad meno de 4 fiorini el braccio fiorentino del lavoro della finestra ad figure grande, cioè figure sole, el meno tre fiorini e meçço. § E a storie,

125 Per questa vetrata, v. Caneva 2005, p. 55.

126 Per questo ciclo vetrario, v. Chiarelli-Leoncini 1982, pp. 279-281 (con bibliografia

precedente).

si se vende cinque fiorini el braccio, el manco 4 fiorini e meçào e ciò che tu fessi per meno, non ne seria guadagno. § E doi fiorini el braccio, pagando la persona che ti fa fare el lavorio, tucta la spesa de’ piombi, ferramenti e la rete e li ponti da mectere el lavorio in opera. § La ragione del paghamento de le fenestre da occhi schiette, pagando che fa lavorare el telaio e i ferri che vanno nella fenestra, sì sonno fiorini II e meço.128

Egli distingue, in breve, quattro categorie diverse:

1) Figure grandi : f. 3.5 - 4 / br². 2) Storie : f. 4.5 - 5 / br².

3) Lavori senza spese : f. 2 / br².

4) Vetrate di vetri bianchi a tondelli: f. 2 mezzo / br²..

Per “figure grandi” si intendono le vetrate raffiguranti santi e altri personaggi spesso in tabernacoli (a titolo di esempio, si vedano tav. A.1-A.4 ecc.). Le vetrate con scene narrative (tav. F.1-F.11 ecc.) sono più complesse e dunque il prezzo si alza. Interessante è il costo dei lavori senza spese: questo si intende come il prezzo della maestranza, ovvero la “fatica”, dei maestri vetrai per la loro esecuzione. Infatti per le vetrate composte da occhi semplici senza ornamenti, che richiedono sicuramente meno impegno tecnico, il prezzo è considerevolmente basso.

Il costo delle vetrate indicato dal maestro pisano rifletteva la situazione coeva. Per la vetrata collocata nella navata settentrionale della Cattedrale di Firenze, raffigurante le “figure grandi” ed eseguita da un “Antonio da Pisa”, che viene di solito identificato con il trattatista (tav. A.4), gli operai pagarono, il 23 dicembre 1395, quattro fiorini al braccio quadro, appunto com’è consigliato nel trattato, detraendone però trenta soldi ogni braccio da pagarsi ad Agnolo Gaddi che aveva fornito il disegno129. Prima di questa

opera, gli operai, il 5 novembre 1388, aveva allogato le vetrate per le due finestre nella navata meridionale a Leonardo di Simone, monaco vallombrosano (tav. A.1-A.2), con la stessa tipologia iconografica130: il prezzo era tre fiorini e un quarto al braccio quadro,

inferiore rispetto a quello della vetrata di Antonio da Pisa, ma gli operai si impegnarono

128 Antonio da Pisa [1991], p. 65. 129 Poggi 1909/1988, I, p. 92 doc. 480.

130 Poggi 1909/1988, I, pp. 85-86, doc. 451. Ma il completamento di vetrate di Leonardo

a fornire il legname per i ponti per collocare le vetrate nelle finestre, nonché il ferro e il gesso “necessaria et opportuna ad dictas fenestras vetri [...]”.

Leonardo di Simone ci lascia inoltre una interessante testimonianza redatta da lui stesso: si tratta di una lettera indirizzata a Francesco Datini, mercante di Prato, che cercava un maestro vetraio cui affidare la vetrata per l’occhio della chiesa di S. Francesco della sua città. In questa lettera, intitolata “finestre fatte per me don Lionardo”, il maestro vetraio elenca i lavori da lui condotti in passato e i loro prezzi. Questi ultimi oscillano tra tre fiorini e un quarto e tre fiorini e mezzo – quindi paragonabili a quelli applicati per i lavori nella Cattedrale di Firenze, che non sono compresi nell’elenco –, e infine aggiunge cautamente una clausola:

Questi e altri lavori tutti fatti per questi pregii, a ogni spesa di colui che fa fare il lavoro, sì delle reti, sì de’ ferri, sì dello scarpellatore, sì della vita di me e della mia conpagnia dal dì ch’io comincio infino ch’io finischo il lavoro, ogni cosa debbe pagare collui che fa fare.131

I prezzi indicati quindi non comprendevano le spese relative all’armatura, al concio di pietra e alla rete protettiva da mettere dietro le finestre, sia per il materiale che per la relativa prestazione d’opera degli artigiani. Sembra invece che le spese per i vetri e per il piombo toccassero al maestro vetraio.

Il prezzo “medio” della vetrata non cambiò molto nel corso del secolo XV. Per le finestre nelle tribune di S. Maria del Fiore, raffiguranti “figure grandi” e realizzate in maggior parte tra il terzo e il quarto decennio (tav. A.8-A.13), gli operai pagarono ai vari maestri tra 14 e 16 lire al braccio quadro: la fluttuazione dei prezzi dipendevano da vari fattori come il costo dei disegni sostenuti o dai maestri vetrai o dai committenti132.

Sempre nella stessa Cattedrale, nel 1434, fu allogata a Domenico di Piero da Pisa e Angelo di Lippo da Firenze la realizzazione di uno degli occhi nel tamburo della cupola al costo di 16 lire al braccio quadro (tav. A.14)133. Il prezzo presentato a Bernardo di

Francesco per altri due occhi fu significativamente basso, 11 lire e 10 soldi al braccio quadro, ma “operaii predicti promixerunt solvere designum pictorem et ferramenta, facere pontes et alia occurentia”134. La situazione era simile anche in altre città toscane,

131 Lapo Mazzei-Guasti (1880), II, p. 387-392. 132 Poggi 1909/1988, I, p. 112 doc. 593.

133 Poggi 1909/1988, I, p. 137 doc. 720.

in cui però i committenti tendenzialmente non si preoccupavano del reperimento delle materie prime affidandone l’onere ai maestri vetrai. Nel Duomo di Pisa, tra il 1453 e il 1454, la bottega dei Della Scarperia realizzò le 14 finestre istoriate delle due navate laterali (tav. F.1-F.11) al costo di 17 lire al braccio quadro135; i pagamenti in tutto

ammontarono quasi a due mila lire. Per la vetrata col Cristo eucalistico e S. Donato per la cappella del Sacramento della Cattedrale aretina, messa in opera il 14 gennaio 1478 (tav. H.1), i Gesuati del convento fiorentino di S. Giusto richiesero 14 lire al braccio quadro e in più la copertura delle spese di trasporto, per la rete e la ferramenta136. Gli

stessi Gesuati realizzarono alcune vetrate per la pieve di S. Stefano di Prato al costo di 14 lire e 10 soldi al braccio quadro intorno al 1509 (tav. G.3-G.5). Secondo gli studi di Giovanna Virde i prezzi correnti per la manifattura delle vetrate si mantennero pressoché invariati fino a Cinquecento inoltrato137.

I valori attribuiti alla vetrata in sé, escluse le spese di trasporto ecc., rimanevano quasi sempre costanti nelle diverse zone geografiche. Ciò è comprensibile considerando il fatto che nel Quattrocento molte botteghe di maestri vetrai mantenevano rapporti con il mondo culturale di Firenze, tranne quelle dell’area senese rimaste ancora quasi del tutto da studiare. A partire dalla fine del Trecento il Duomo di Firenze attirò molti maestri sia fiorentini o dei dintorni sia forestieri; essi, terminato il cantiere del Duomo, avrebbero lavorato per cantieri di altre città toscane mandando opere dalle loro botteghe fiorentine o trasferendosi temporaneamente. Ci sono pochi casi documentati, ma, a quanto pare, anche i maestri locali che facevano loro concorrenza impostavano prezzi consimili: per esempio, ser Filippo di Bernardo Bandinelli, prete pratese, eseguì una vetrata per la pieve di S. Stefano, raffigurante la scena dell’Annunciazione e santi, e ne ricevette il pagamento calcolato in lire 14 al braccio quadro con le spese incluse138.

La competizione tra i maestri vetrai, infatti, si può dedurre anche dai consigli di Antonio da Pisa, che precisano non solo il prezzo minimo dei lavori, ma anche quello massimo.

La somma da versare ai maestri vetrai era calcolata quasi sempre in base alla superficie delle opere compiute. In alcuni casi, tuttavia, si osservano modalità diverse del pagamento. Uno di essi è quello della vetratura dell’arcata del Camposanto di Pisa.

135 Burnam 2002, pp. 13-15 e passim. Due documenti pertinenti (Burnam 2002, p. 146.)

precisano il cambio di un fiorino largo a 4 lire e 19 soldi.

136 Pasqui, 1880, pp. 183-184.

137 I casi del Marcillat e di altri cinquecenteschi, ma non solo, sono stati studiati da

Virde 1998, pp. 423-443.

Dopo aver terminato le vetrate del Duomo pisano, la bottega dei Della Scarperia intraprese quelle per il Camposanto a partire dal 1456139. Il contratto datato il 12 marzo

1460, che modificò alcune condizioni precedentemente stabilite, impegnò Leonardo di Bartolomeo e Bartolomeo d’Andrea (detto Banco) della Scarperia, ad eseguire sette nuove vetrate al costo di 140 fiorini (560 lire) ciascuna, entro i quattro anni seguenti: nel primo anno una vetrata, nel secondo due, nel terzo due altre e infine nel quarto il resto. Tutte le spese, l’acquisto dei materiali, il montaggio con sbarre di ferro e la fornitura della rete di protezione per le vetrate, sarebbero state a carico dei maestri vetrai; fu chiesto loro di lavorare proprio a Pisa (precedentemente essi avevano lavorato a Firenze e trasportato lì le opere). La modalità del pagamento stabilite nel contratto erano le seguenti: per la prima vetrata sarebbe stato pagato l’anticipo di 50 fiorini e i restanti 90 fiorini al momento dell’installazione; per le due vetrate del secondo anno sarebbero stati versati 100 fiorini e il resto sarebbe stato pagato a lavoro concluso; le stesse condizioni sarebbero state applicate per la terza e la quarta vetrata. Il prezzo delle vetrate era fissato a 560 lire ciascuna e il committente non fece misurare più le dimensioni delle opere concluse. Tuttavia questa modalità di pagamento, corrispondente al valore complessivo dei prodotti finali e non solo alle loro dimensioni, rappresenta un’eccezione piuttosto che la norma. Lo stesso Banco, uno dei maestri vetrai indicati nel contratto pertinente al Camposanto, avrebbe ricevuto nel 1503 il pagamento per la vetrata della finestra dietro l’altare maggiore del Duomo di Pisa: la somma era circa 168 lire, calcolata al costo di 14 lire al braccio quadro per dodici opere140. Nel caso del

Camposanto erano numerose le vetrate realizzate dalla bottega e tutte avevano dimensioni consimili: i Della Scarperia, infatti, prima del contratto del 1460, avevano già eseguito tre vetrate il cui prezzo era calcolato in base alle loro dimensioni. Il committente, quindi, in accordo con i maestri vetrai, avrebbero risparmiato la fatica di misurare ogni prodotto finale.

Nel documento La vetrata nella Toscana del Quattrocento (pagine 53-57)