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Cause ed evoluzioni della “Primavera Araba” in Bahrein

4. LO SCIISMO POLITICO E LA STORICITÀ DELL’OPPOSIZIONE IN BAHREIN: TRA COOPTAZIONE E

5.1 Cause ed evoluzioni della “Primavera Araba” in Bahrein

La serie di sconvolgimenti politico-sociali che hanno interessato il Medio Oriente ed il Nord Africa, indicativamente tra gennaio e ottobre del 2011, e passati alla cronaca con il termine di “Primavere Arabe”, denominazione ancor’oggi altamente dibattuta in ambito accademico318, non vanno intese come un fenomeno episodico a sé stante, ma rappresentano il risultato circostanziale dettato dal combinarsi di più fattori. Bisogna sottolineare che se da un lato le ampie manifestazioni popolari del 2011 rappresentavo l’apice di un percorso di rivendicazioni per il miglioramento delle condizioni socioeconomiche che possono vantare un consistente grado di storicità, non si può non evidenziare d’altro canto l’importanza dell’evento in sé che ha rappresentato il punto di rottura capace di trasformare le istanze da rivendicazioni a proteste di massa. L’episodio nodale a cui si fa riferimento è l’atto estremo di protesta perpetuato da Mohamed Bouazizi, un commerciante di verdura ambulante della città di Sidi Bouazid in Tunisia, il quale si diede pubblicamente fuoco il 17 dicembre del 2010 in segno di disperazione verso i costanti soprusi da parte della polizia locale nei suoi confronti. La sua morte sopraggiunta il 4 gennaio del 2011, per la gravità delle ferite riportate, segnò l’inizio delle proteste popolari che si estesero ad una velocità sorprendente in tutto il Medio Oriente ed il Nord Africa coinvolgendone, seppur con grado ed ordine diversi, pressoché quasi tutti i paesi.319

318 Ghanem, H. (2016) Spring, but No Flowers in The Arab Spring Five Years Later: Toward Greater Inclusiveness edited by Hafez Ghanem, Brookings Institution Press, pp. 7-38.

319 Bishara, A. (2013) Revolution against Revolution, the Street against the People, and Counter-Revolution, Arab Center for Research and Policy Studies, pp. 1-35.

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L’esser vittima di ricorrenti abusi da parte delle forze di sicurezza, possedere una condizione economica precaria ed uno scarso livello d’istruzione diede vita a quella che Gilbert Achcar definisce «la sindrome di Bouazizi»320, una condizione estremamente diffusa nella regione e che affliggeva milioni di giovani.

L’eco delle proteste si tradusse rapidamente in concreti risultati politici con le destituzioni del Presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Ali e del Presidente egiziano Hosni Mubarak, avvenute rispettivamente il 14 gennaio e l’11 febbraio del 2011. Il venir meno di leader la cui autorità era stata fino ad allora ritenuta intoccabile rappresentò un momento di rottura decisiva, da un lato infuse profonda speranza per la possibilità di un’effettiva trasformazione della società dall’altro, sembrò infrangere il falso mito dell’intoccabilità dei leader autoritari e dell’impossibilità della loro sconfitta o rimozione.321

L’accelerata concatenazione di questi eventi permise all’impulso rivoluzionario di trovare a sua volta terreno fertile in Bahrein dove, adattandosi alle peculiarità del suo tessuto sociale ed alla complessità del suo passato politico di rivendicazioni, diede luogo ad una delle più vaste e rilevanti insurrezioni popolari del Medio Oriente contemporaneo.

Alla vigilia delle manifestazioni del 2011, il clima politico-sociale in Bahrein si presentava piuttosto teso. Come si è visto, si chiudeva infatti un decennio contrassegnato da svariate condizioni che contribuirono ad aggravare ulteriormente il percorso già indebolito del progetto di transizione democratica. In primo luogo, la consapevolezza sempre più diffusa che una logica di “gerrymandering” dominasse il sistema elettorale. Una realtà dove i confini dei distretti di voto venivano definiti in modo tale da consegnare un risultato elettorale non solo prevedibile ma soprattutto favorevole al regime. In tal modo, si prefigurava un sistema rappresentativo altamente disequilibrato dove, non vi era differenza nel peso politico dei distretti, a prescindere dal fatto che accogliessero 500 o 10.000 elettori. In secondo luogo, la sfiducia nei confronti della buona fede del progetto di riforma avviato da Re Hamad venne ulteriormente incrementata dallo scandalo del “Bandargate” emerso nel 2006. Il rapporto rilasciato da Salah Al Bandar, un ex quadro intermedio del regime, forniva solide prove a testimonianza della costruzione da parte del regime di un network illegale dal valore di 2.7

320 Achcar, G. (2013) The People Want: A Radical Explanation of the Arab Uprising, University of California Press, p. 22.

128 milioni di dollari basato su corruzione ed abusi di potere al fine di condizionare il processo politico ed elettorale.322

In terzo luogo, il processo di riconciliazione sociale avviato dal regime a partire da una riduzione dell’ingerenza statale sulle libertà della società civile venne rapidamente sostituito da un rinnovato autoritarismo. Diversi son i casi dell’incongruenza del regime a riguardo: ad esempio si può far riferimento al Bahrein Center for Human Rights (BCHR), un centro di ricerca nato nel 2002 proprio su istanza governativa, e chiuso forzatamente dal regime nel 2005. Formalmente, l’interruzione di questa breve esperienza si deve al fatto che il BCHR venne ritenuto colpevole di violare la Legge sulle Associazioni del 1989; sostanzialmente, si lega alle dure accuse avanzate dal suo diretto esecutivo, Abd Al Hadi Al Khawaja, nei confronti del Primo Ministro.323 Oppure, si può citare la vasta operazione di polizia organizzata dal regime nel 2010 al fine d’arrestare un elevato numero di esponenti ed attivisti di ONG legate alle tematiche della difesa dei diritti umani.324

Infine, se gravose criticità si registravano all’interno dello spazio politico, allo stesso modo anche la sfera socioeconomica non era esente da altrettante esternalità negative; come evidenzia chiaramente Kristian Coates Ulrichsen, queste erano legate a:

«elevati livelli di disoccupazione; l’inabilità della diversificazione economica di generare

sufficienti posti di lavoro o opportunità economiche per i giovani bahreiniti; e la rabbia popolare verso la corruzione percepita al cuore del Governo.»325

In un «un sistema economico e politico clientelare»326 come quello che caratterizza il Bahrein, dove le leve del potere son detenute da una ristretta élite che preserva il proprio status quo nel corso del tempo trasferendo le posizioni di privilegio socioeconomie per via ereditaria, per tutti coloro che son al di fuori di quest’élite è estremamente difficile riuscire ad uscire da questa condizione limitante ed aver l’opportunità di ritagliarsi un proprio spazio per conseguire una mobilità sociale ed economica ascendente. In aggiunta, «in una società

322 Wright, S. (2010) op. cit., pp. 1-17.

323 Wright, S. (2006) Generational Change and Elite-driven Reforms in the Kingdom of Bahrain, Sir William Luce Fellowship Paper No. 7, Durham Middle East Paper No. 81, pp. i-28.

324 Matthiesen, T. (2013) Sectarian Gulf: Bahrain, Saudi Arabia, and the Arab Spring that wasn’t, Stanford University Press, pp. 1-17.

325 Ulrichsen, K. C. (2013) Bahrain’s Uprising: Regional Dimensions and International Consequences, Stability: International Journal of Security & Development, 2(1): 14, pp. 2-3.

326 Aziz, S. Musalem, A. (2011) Citizens, not Subjects: Debuking the Sectarian Narrative of Bahrain’s Pro- Democracy Movement, ISPU Report, p. 10.

129 socialmente conservatrice dove l’unico contatto accettabile tra i sessi è il matrimonio, il numero di giovani disoccupati incapaci di iniziare le loro vite di adulti è cresciuto rapidamente»327. Si evidenzia quindi come gli effetti di questo sistema clientelare siano in grado di ripercuotersi negativamente su una pluralità di dimensioni che oltre agli aspetti politici, sociali ed economici, includono anche il disciplinamento e la regolamentazione della vita privata degli individui. Ne consegue che all’impossibilità di mobilità socioeconomica ascendente corrisponde a sua volta una condizione di stagnazione dell’esistenza personale.328