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L’imporsi della narrazione settaria: la mediatizzazione del conflitto, gli scioperi sindacal

4. LO SCIISMO POLITICO E LA STORICITÀ DELL’OPPOSIZIONE IN BAHREIN: TRA COOPTAZIONE E

5.3 La risposta del regime e l’escalation della tensione: tra repressione, stallo e

5.3.2 L’imporsi della narrazione settaria: la mediatizzazione del conflitto, gli scioperi sindacal

Il messaggio antisciita trasmesso mediante le rivendicazioni di protesta di TGONU offrì all’ala più radicale del regime una solida base sulla quale ancorare la propria strategia di divide et impera. Per la monarchia riuscire a centrare le proteste sulla questione sciita era una necessità che rispondeva ad un duplice scopo: in primo luogo, serviva a delegittimare la forza destabilizzante delle rivendicazioni le quali, venendo presentate come il risultato dell’influenza iraniana e di un’agenda marcatamente sciita, vedevano diminuire la loro capacità traente. In secondo luogo, etichettando i manifestanti come dei sostenitori del velayat-e faqih e di Hezbollah, il regime riuscì ad instaurare un’ampia frattura all’interno dell’opposizione che si dimostrò in grado di alienare il sostegno di buona parte dei moderati sunniti. Così facendo, venne quindi meno la possibilità di mantener vivo un blocco unitario basato su una visione trans-settaria e trans-ideologica.384

La mediatizzazione del conflitto ricoprì un ruolo fondamentale nel rafforzare il framework interpretativo securitario e settario mediante il quale l’élite al governo voleva implementare la sua strategia di divide et impera. All’opposizione tra manifestanti e monarchia giocata tra le piazze e le strade si aggiunse quanto di più simile ad una vera e propria guerra mediatica dove i canali ufficiali del regime avviarono delle pesanti campagne di disinformazione finalizzate ad innalzare il livello della tensione settaria.385 I media divennero lo strumento mediante il quale il regime decise di veicolare la propria narrazione imponendo, pertanto, una retorica profondamente intrisa di settarismo dove i manifestanti venivano etichettati come “terroristi”

383 Abdo, G. (2017) op. cit., pp. 116-143. 384 Ulrichsen, K. C., op. cit., pp. 1-12. 385 Matthiesen, T. (2013) op. cit., pp. 33-49.

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e “traditori” della patria e come un gruppo di “sabotatori” che agivano rispondendo ad ordini provenienti dagli alti dirigenti iraniani. Nei media non si faceva menzione delle differenti affiliazioni politiche dei dimostranti o dell’eterogeneità di coloro che occupavano Al Lulu; il loro status di cittadini non solo veniva negato, ma anche sostituito dall’affiliazione settaria, in tal modo lo sciismo diventava l’unico elemento mediante il quale descrivere i manifestanti.386 Un elemento che si ripercosse negativamente sugli sforzi dei manifestanti di mantenere il dibattito focalizzato sullo scontro politico a vantaggio di quello sulla rivalità settaria fu la copertura mediatica delle proteste fornita da canali propriamente sciiti, tra i quali la rete araba al Alam, il canale libanese di Hezbollah al Manar e quello iracheno di Ahl al Bayt. Veicolando una visione delle proteste basata sul conflitto sciita-sunnita, queste emittenti finirono per dar credito alla narrazione del regime riguardo al coinvolgimento diretto dell’Iran negli scontri che stavano avendo luogo in Bahrein.387

Sulla scia delle manifestazioni indette per il “Day of Rage”, si inserì anche il General Federation of Bahrain Trade Unions (GFBTU) che dichiarò uno sciopero generale che avrebbe coinvolto tutte le categorie sindacali che raccoglieva. L’adesione fu elevata stimando che tra il 60 e l’85% di tutti i lavoratori vi abbia preso parte, coinvolgendo ampi strati di cittadini: dal settore privato a quello pubblico, dai sunniti agli sciiti, dagli uomini alle donne. Ad esso, si aggregarono inoltre le associazioni professionali come quelle degli insegnanti, degli avvocati e dei lavoratori dell’ALBA, la compagnia nazionale di lavorazione dell’alluminio.388

Quando su ordine del Re Hamad bin Salman le forze di sicurezza smobilitarono da Pearl Roundabout ed il Principe ereditario invitò le forze dell’opposizione al tavolo delle trattative, in segno di buona fede verso la proposta di dialogo, il GFTBTU decise a sua volta di ritirare lo sciopero, ritenendo l’occasione una buona opportunità per conseguire delle concessioni da parte del regime. D’avviso contrario furono i membri della Bahrain Teachers Association (BTA): più di 6500 insegnanti, di cui il 60% donne, continuarono il sit-in e le proteste fino al 24 febbraio in risposta al Ministero dell’Educazione che sminuiva l’entità delle proteste ed il valore delle loro rivendicazioni. Una scelta simile fu quella adottata dalla Bahrain Nursing

386 Aziz, A., Musalem, A., op. cit., pp. 1-40. 387 Abdo, G. (2017) op. cit., pp. 116-143.

388 Holmes, A. A. (2016) Working on the Revolution in Bahrain: From the Mass Strike to Everyday Forms of Medical Provision, Social Movement Studies, 15:1, pp. 105-114.

143 Society (BNS) e dal personale del Salmaniya Medical Complex (SMC), quando, contrariamente alle indicazioni ricevute dal Ministero della Salute, decisero di prendere pienamente parte allo sciopero sia fornendo prestazioni medico-sanitarie a titolo gratuito e su base volontaria sia installando a Pearl Roundabout un centro di primo soccorso per i feriti.389

In questo contesto, l’opposizione divenne sempre più frammentata rafforzando da un lato gli elementi di differenza tra le varie formazioni e, dall’altro, riducendo le possibilità di conseguire delle concessioni concrete da parte del regime.

A partire dai gruppi di giovani di periferia che organizzarono le prime proteste venne a definirsi la Coalition of Youth of the 14 February Revolution (o 14 February Coalition) la quale presentò una propria agenda politica fondata sulla necessità di conseguire un cambio di regime. L’esperienza della repressione statale violenta spinse il 14 February Coalition ad adottare una posizione più radicale in primo luogo nei confronti dell’Occidente, in particolare accusando USA e Regno Unito di connivenza con il regime degli Al Khalifa e chiedendo il ritiro della 5° Flotta statunitense alla fonda a Manama; in secondo luogo, verso le forze di sicurezza, preferendo sempre più azioni di violenza agli atti pacifici di disobbedienza civile. Il 14 February Coalition, pur conservando come suoi pilastri fondativi i principi di mobilitazione politica trans- settaria e trans-ideologica e caratterizzandosi ancora per l’assenza di una leadership strutturata e gerarchica, finì per assumere delle posizioni sempre più critiche nei confronti di Al Wefaq.390 Ciononostante, l’agenda politica del 14 February Coalition restava opaca e non definita in merito al processo di cambiamento del regime, limitandosi a riconoscere la necessità d’indire un referendum popolare allo scopo di stabilire la forma di governo che il Bahrein avrebbe dovuto adottare.391

A contendersi il sostegno dei manifestanti in uno scacchiere politico già particolarmente affollato si aggiunse la Coalition for a Republic, uno schieramento nato l’8 marzo a partire dalla definizione di un’agenda politica che raccoglieva le rivendicazioni condivise da Haqq, dal Movimento del Bahrein Libero e da Al Wafa. Sotto la leadership di Hasan Mushayma, il gruppo

389 Ibid.

390 Kinninmont, J., op. cit., pp. 1-32. 391 Matthiesen, T. (2013) op. cit., pp. 33-49.

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sosteneva la necessità di seguire un percorso rivoluzionario il cui obiettivo finale consisteva nell’instaurazione di un sistema repubblicano e democratico.392

La tensione arrivò ad un punto di non ritorno in seguito alla rapida concatenazione di una serie di eventi. Primo, la marcia promossa dalla Coalition for a Republic nel distretto di Al-Rifah, luogo noto per ospitare i quartieri residenziali della classe dirigente sunnita e soprattutto per esser la sede della residenza degli Al Khalifa e della corte reale, contribuì non poco a fomentare la percezione dei manifestanti sciiti come una minaccia esistenziale per il regime e per la comunità sunnita.393 Secondo, l’arenarsi del dialogo avviato dal Principe Ereditario e lo Sheikh Ali Salman, il quale rifiutò di convalidare il negoziato costruito sui “Sette Principi”394 se il regime non avesse prima concesso una nuova costituzione.395 Terzo, la proclamazione da parte del GFBTU di un nuovo sciopero generale previsto per il 14 marzo al quale la Coalition for a Republic dichiarò pubblicamente il totale sostegno da parte del movimento.396

Pertanto, l’acuirsi della tensione è riconducibile sia alla strategia della Coalition for a Republic basata tanto sul rifiuto di una risoluzione negoziale del conflitto, quanto sulla necessità di rovesciare la monarchia; sia alla visione della 14 February Coalition che riteneva il regime un attore non affidabile, considerando l’escalation l’unica via capace di metter pressione al governo al fine di forzarlo ad accordare delle concessioni sostanziali. In merito, un ruolo va riconosciuto anche ad Al Wefaq il quale risultò profondamente indebolito dall’affermarsi di rivendicazioni sempre più radicali e dalla trasformazione delle proteste in atti di disobbedienza civile sempre meno pacifici. La scarsa capacità di esercitare un controllo effettivo delle proteste non solo minò la leadership dello Sheikh Salman, ma soprattutto ridimensionò la sua levatura di fronte alla monarchia e la sua forza nel richiedere delle concessioni.397

392 Ibid.

393 Kinninmont, J., op. cit., pp. 1-32.

394 I sette principi erano: 1. Un parlamento con piena autorità; 2. Un governo rappresentativo della volontà popolare; 3. Distretti elettorali equi; 4. Discutere la politica di naturalizzazione; 5. Combattere la corruzione; 6. Discutere dell’allocazione degli spazi pubblici; 7. Affrontare le tensioni settarie. In Kinninmont, J. (2012) Bahrain: Beyond the Impasse, Chatam House, p. 5.

395 Ulrichsen, K. C., op. cit., pp. 1-12. 396 Holmes, A. A., op. cit., pp. 105-114. 397 Abdo, G. (2017) op. cit., pp. 116-143.

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5.3.4 L’intervento del Peninsula Shield Forces e l’importanza del Bahrein nello scacchiere