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Dialogo nazionale e la Bahrain Independent Commission of Inquiry

4. LO SCIISMO POLITICO E LA STORICITÀ DELL’OPPOSIZIONE IN BAHREIN: TRA COOPTAZIONE E

5.4 La controrivoluzione e la de-democratizzazione

5.4.4 Dialogo nazionale e la Bahrain Independent Commission of Inquiry

I mesi che seguirono l’arrivo delle truppe del PSF in Bahrein e la proclamazione dello stato d’emergenza furono caratterizzati da intense campagne di repressione e da arresti di massa volti ad indebolire e scoraggiare il fronte delle proteste. Nel giugno del 2011, con i principali leader dell’opposizione in carcere e con della revoca la legge marziale, la monarchia ritenne maturi i tempi per avviare un processo di riconciliazione con la cittadinanza. Secondo il regime

456 Fibiger, T. (2015) op. cit., p. 401. 457 Ivi., pp. 390-404.

458 Fibiger, T. (2017) op. cit., 2017, p. 207. 459 Khalaf, A., op. cit., p. 274.

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questo percorso doveva svilupparsi lungo due direttrici parallele, l’una focalizzata sul ritorno alla distensione nell’arena politica mediante l’inaugurazione dell’iniziativa del Dialogo Nazionale e l’altra concentrata sull’accertare con chiarezza gli avvenimenti ed i fatti registrati durante le proteste e nei mesi successivi attraverso la creazione della Bahrain Independent Commission of Inquiry (BICI).461

Formalmente il Dialogo Nazionale, avviato dal regime nel mese di luglio 2011, aveva come scopo quello di affrontare le principali rivendicazioni avanzate durante la fase delle proteste così da poter trattare la questione in modo costruttivo ed efficace. Confidando nella bontà delle premesse, le società politiche Al Wefaq e Al Wa’ad diedero il loro assenso per prender parte al forum; ciò nonostante, le condizioni mediante le quali il dialogo venne poi successivamente realizzato impedirono all’iniziativa di sortire qualsivoglia impatto concreto. Mentre inizialmente il dibattito doveva coinvolgere 300 esponenti della società civile che erano chiamati a dar vita ad un comitato quanto più eterogeneo possibile, alla fine dei conti il dialogo si trasformò sostanzialmente in un mero esercizio di democrazia di facciata da parte del regime dove lo spazio concesso alle formazioni dell’opposizioni non superava il 12% del totale dei partecipanti. Condizione questa che spinse Al Wefaq ed Al Wa’ad a ritirarsi da quello che venne sempre più percepito come un tentativo mal riuscito da parte del regime per ripulire l’immagine del paese rispetto alle violenze dei mesi precedenti.462

Con buona parte dell’opposizione in carcere e con il leader di Wa’ad, Ibrahim Sharif condannato formalmente poco più di una settimana prima dell’inizio del Dialogo Nazionale, si può evidenziare come la scarsa genuinità dell’iniziativa fosse chiara fin da subito. Ad ogni modo, nessun accordo o riforma effettiva venne siglata ed il risultato di questo processo si limitò unicamente all’elencazione di una lista di raccomandazioni da sottoporre al vaglio del sovrano, mentre i veri temi delle proteste cari all’opposizione, come ad esempio la fine del gerrymandering, l’inaugurazione di un sistema rappresentativo più proporzionale e l’elezione del governo, non costituirono in alcun modo materia di dibattito.463

461 Jones, M. O. (2016) Saudi Intervention, Sectarianism, and De-Democratization in Bahrain’s Uprising, Protest, Social Movements and Global Democracy Since 2011: New Perspective, pp. 251-279

462 Ulrichsen, K. C., op. cit., pp. 1-12. 463 Ibid.

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L’inconsistenza del Dialogo Nazionale spinse nel 2013 Re Hamad bin Isa ad avviare un secondo tentativo, le cui potenzialità vennero però minate dal peso delle rivendicazioni avanzate dal blocco sunnita composto da Al Minbar, Al Asala e Al Tajammu. Il monopolio dell’agenda politica detenuto da queste società si concentrava sul «portare avanti le loro specifiche richieste socioeconomiche […] e (sul far fronte alla) degradazione morale del paese»464 determinando la pressoché totale marginalizzazione delle opposizioni. In ultima istanza, anche questa iniziativa testimoniò il ritiro di Al Wefaq e si dimostrò incapace nel fornire il giusto spazio alle forze dell’opposizione le quali prospettavano un futuro ancora più difficile in seguito alla promulgazione di una nuova legge antiterrorismo.465

Parallelamente al Dialogo Nazionale venne istituita anche una commissione d’inchiesta nota come Bahrain Independent Commission of Inquiry presieduta dall’avvocato Cherif Bassiouni, conosciuto per la sua esperienza nella tutela dei diritti umani. L’opera di investigazione, che si prolungò per più di cinque mesi, mirava ad accertare i fatti avvenuti durante le proteste e si concretizzò nella realizzazione di un report che evidenziava come «le forze di sicurezza avessero fatto ricorso alla tortura (‘un problema sistematico’), all’uso eccessivo della forza e all’esibizione di un comportamento capace di suscitare terrore, mentre alla maggior parte degli imputati era negato un equo processo»466. Il report accertò, inoltre, come non vi fossero sufficienti e fondate prove che potessero dimostrare un effettivo coinvolgimento iraniano durante le proteste, smentendo in tal modo la narrazione del regime centrata sull’etichettare i manifestanti come una fantomatica 5° colonna iraniana. Allo stesso modo, non vennero portate testimonianze rilevanti per confermare le accuse di violazione dei diritti umani nei confronti delle truppe del PSF.467

Per quanto l’inchiesta condotta da Bassiouni conseguì dei risultati rilevanti come ad esempio l’accertare che durante le proteste ci furono «35 morti, inclusi 19 civili uccisi dalle forze di sicurezza, un poliziotto ucciso dall’esercito, tre poliziotti uccisi dai manifestanti e due stranieri uccisi dalla folla»468, bisogna sottolineare che gli sforzi dell’indagine furono alquanto limitati e circoscritti. In merito, si riscontra come non furono in alcun modo avviate inchieste nei

464 Jones, M. O. (2016) op. cit., p. 259. 465 Ibid.

466 Kinninmont, J., op. cit., p. 11. 467 Ivi., pp. 33.

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confronti dei quadri medio-alti degli apparati di sicurezza ritenuti i fautori della violenza statale, ed il BICI si limitò ad incoraggiare la creazione da parte del governo di un comitato a sé stante volto ad accertare le relative violazioni dei diritti umani.469

A partire dalle riforme suggerite nel “report Bassiouni”, il Re Hamad bin Isa avviò dei flebili tentativi di riforma la cui progressiva implementazione doveva esser vagliata da una commissione nazionale. L’incapacità del governo di far effettivamente chiarezza in merito alle violenze del febbraio e marzo 2011 ed il mantenersi di un costante livello di tensione all’interno della società, con scontri ricorrenti tra forze di sicurezza e la popolazione, contribuì a minare il percorso di riappacificazione inaugurato dal BICI. L’impegno del regime non si trasformò mai nella precisa volontà di avviare un proficuo tavolo negoziale ed un genuino processo di riforma, ma si limitò unicamente alla concessione di generici e sporadici makramas, come ad esempio la liberazione di 334 prigionieri politici nel dicembre del 2011.470 Ad un anno dalla pubblicazione del “report Bassiouni”, un’attenta analisi condotta dal Project on Middle East Democracy ne evidenzia i limiti sostanziali:

«Abbiamo riscontrato come il governo del Bahrein abbia implementato appieno tre delle 26 raccomandazioni del report BICI. Altre due raccomandazioni sono per noi impossibili da valutare adeguatamente a causa della mancanza di informazioni disponibili, ed altre 15 raccomandazioni son state solo in parte implementate. Infine, il governo non ha conseguito progressi significativi riguardo a sei delle raccomandazioni che sono i passaggi più importanti da prendere – accountability per gli ufficiali responsabili di tortura e gravi violazioni dei diritti umani, il rilascio dei prigionieri politici, la prevenzione dell’istigazione al settarismo e la distensione della censura e dei controlli sulla libertà d’espressione.»471

In un contesto contraddistinto dall’assenza di sostanziali aperture riformatrici e dal costante riproporsi di violenze perpetuate da parte delle forze di sicurezza, il conflitto e la tensione diventarono delle caratteristiche latenti del tessuto sociale del Bahrein. La mobilitazione popolare ritornò ad essere una realtà confinata all’interno dei villaggi sciiti dove gli scontri con la polizia, le uccisioni extra-giudiziali ed azioni, anche violente, di disobbedienza civile si imposero all’ordine del giorno. Si riconosce che, per quanto concerne queste operazioni, un ruolo centrale sia da ricondurre alla 14 February Coalition che, in virtù della «natura sporadica, non coordinata ed imprevedibile delle sue tattiche e della sua capacità di mobilitare e 469 Ivi., pp. 1-33.

470 Ibid.

471 POMED (2012) Assessing Bahrain’s implementation of the BICI report, p. 3, Fonte: https://pomed.org/one-

162 coordinare ampie dimostrazioni in breve tempo»472, riuscì a mantenere vive le istanze dei manifestanti evitando, allo stesso modo, una definitiva repressione da parte del regime.473 Dovendo confrontarsi con una realtà dove molti leader politici storici erano in carcere ed il livello della tensione costante, la 14 February Coalition da un lato permise l’emerge di nuove personalità capaci di guidare le proteste da dietro le quinte e, dall’altro, si fece più aggressiva nelle rivendicazioni e più incline a perpetuare azioni di violenza urbana. La resistenza attiva nei confronti delle forze di sicurezza venne sempre più veicolata nei villaggi sciiti attraverso il formarsi dei gruppi di «Difesa Sacra»474, ovvero, delle realtà informali che presero le mosse dall’invito dello Sheikh Isa Qassim a difendere, anche con l’esplicito ricorso alla forza, quanto di più caro appartenesse alla comunità sciita, ovvero: «le donne, i luoghi di venerazione religiosa e le proprietà della comunità»475. Ciononostante, la 14 February Coalition mantenne allo stesso tempo delle pratiche di disobbedienza civile pacifiche come ad esempio l’organizzazione di incontri e sit-in al Costa Coffee presso la Budaya Highway.476

In opposizione a quanto affermato dallo Sheikh Qassim, Al Wefaq ed il suo leader, lo Sheikh Ali Salman, ancorarono saldamente le loro rivendicazioni ad un radicale rifiuto del ricorso alla violenza quale mezzo legittimo per veicolare l’opposizione politica dei manifestanti nei confronti del regime.477