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Gli sciiti tra cooptazione e minaccia: dalla Rivoluzione Iraniana all’Intifada

4. LO SCIISMO POLITICO E LA STORICITÀ DELL’OPPOSIZIONE IN BAHREIN: TRA COOPTAZIONE E

4.2 L’evoluzione storica della mobilitazione politica in Bahrein: dal protettorato britannico

4.2.3 Gli sciiti tra cooptazione e minaccia: dalla Rivoluzione Iraniana all’Intifada

Alla fase di repressione violenta che pose termine all’esperimento democratico seguì una stagione dove lo spazio pubblico per una mobilitazione politica ufficialmente riconosciuta era pressoché assente. Allo stesso modo ciò non costituì un ostacolo sostanziale all’emergere di

283 Ibid. 284 Ibid.

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diversi movimenti all’interno del blocco sciita, il quale sperimentò un periodo di dinamica evoluzione nella seconda metà degli anni ’70.

Fino ad allora, l’arena sciita era stata dominata dalla Islamic Enlightenment Society (Jam’iyyat al-Taw’ia al-Islamiyyah), guidata dallo Sheikh Isa Qassim sin dai primi momenti dell’esperienza parlamentare inaugurata nel 1973. Il movimento, che traeva diretta ispirazione dal Party of the Islamic Call, noto anche come al-Da’wa, e fondato dall’Ayatollah Muhammad Baqir al-Sadr a Najaf nel 1958, indentificava la propria missione politica nel creare un polo capace sia di attirare i consensi della comunità sciita sia d’arginare le istanze nazionaliste e marxiste.286 Se fino ad allora il pressoché totale monopolio dell’agenda politica sciita era stato determinato dal movimento dello Sheikh Qassim, tra gli anni ’60 e ’70 si impose un nuovo attore capace non solo di concorrere all’interno dello schieramento sciita, ma di competere concretamente con al-Da’wa per il conseguimento di un maggior seguito popolare grazie al sostegno che riceveva da parte dell’Ayatollah Khomeini. Il movimento, che rispondeva al nome di Islamic Front for the Liberation of Bahrain (IFLB), venne fondato ufficialmente da Hadi al-Modarrisi nel 1976 e rappresentava la cellula bahreinita del movimento Shiraziyyin fondato qualche anno prima dall’Ayatollah Muhammad al-Shirazi a Karbala.287

Per quanto entrambe le realtà fossero saldamente ancorate all’interno dello schieramento sciita, vi erano tra loro delle differenze sostanziali tanto negli obiettivi quanto nei metodi e nella composizione. In primo luogo, i due movimenti facevano capo a due correnti sciiti distinte, l’una focalizzata sullo Sheikh al-Sadr e l’altra centrata sugli Ayatollah al-Shirazi e Khomeini, condizione che li portò a sviluppare delle visioni politiche difficilmente conciliabili. Se al-Da’wa si caratterizzava per un riformismo moderato, bisogna sottolineare come Shiraziyyin dava maggior voce ad istanze rivoluzionarie finalizzate alla creazione di una Repubblica Islamica. In secondo luogo, il carattere conservatore di al-Da’wa si rifletteva nei suoi metodi marcatamente più inclini al confronto con lo status quo più che alla sua messa in discussione. Al contrario, la natura radicale del progetto politico di Shiraziyyin lo rendeva un movimento più aggressivo e maggiormente propenso al ricorso al conflitto armato.288 Per

286 Alfoneh, A. (2014) Between Reform: Sheikh Qassim, the Bahraini Shi’a, and Iran, Middle Eastern Outlook AEI, No. 4, pp. 1-11.

287 Ibid.

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quanto concerne la composizione dei due gruppi, i membri di al-Da’wa erano in primo luogo di origine bahrana, ovvero sciiti autoctoni del Bahrein; in secondo luogo, non erano esclusivamente clerici, al contrario, molti tra loro erano mercanti, ingegneri e dottori che ad ogni modo ricoprivano posizioni occupazionali di prestigio all’interno della società.289 D’altro canto i membri di Shiraziyyin erano principalmente d’origine ajam, ovvero sciiti di origine iraniana , ed i vertici del movimento erano ricoperti quasi esclusivamente da clerici.290

La rivoluzione iraniana del 1979 e la conseguente fine del regime dei Pahlavi alterarono irrimediabilmente la dialettica tra riformatori e rivoluzionari nell’arena politica sciita. Il successo della Repubblica Islamica Iraniana, impersonificata nella figura dell’Ayatollah Khomeini, la portò ad assumere il ruolo di modello politico per tutte le comunità sciite desiderose d’emanciparsi dal giogo di poteri ritenuti oppressivi; nello specifico caso del Bahrein, l’IFLB raccolse quest’eredità dichiarando apertamente la propria lealtà nei confronti dell’Iran. Il legame già consolidato tra l’Ayatollah Khomeini e IFLB raggiunse una nuova dimensione quando quest’ultimo divenne il braccio armato della Repubblica Islamica in Bahrein con lo scopo di perseguire un simile percorso rivoluzionario.291

Il 13 dicembre del 1981, in un’operazione preventiva vennero arrestati più di 300 persone di cui 73 furono riconosciute colpevoli di tradimento per aver preso parte all’organizzazione di un colpo di stato ai danni della monarchia degli Al Khalifa.292 In merito, bisogna specificare che tale evento rappresentò per il regime tanto una minaccia sostanziale quanto un’opportunità da non perdere. Nel primo caso, la monarchia constatò come il pericolo di un’effettiva destabilizzazione del proprio status quo fosse diventata una possibilità concreta; nel secondo caso, il fallito golpe offrì al regime il pretesto per inasprire ulteriormente il pacchetto di pratiche discriminatorie giù utilizzate da tempo nei confronti dei cittadini sciiti.293

Se si può senza dubbio evidenziare come la rivoluzione iraniana del 1979 abbia rappresentato un evento il cui impatto è stato, ed è tutt’ora, determinante nell’influenzare non solo le dinamiche del Golfo, ma nel complesso tutta la dialettica politica mediorientale, non si può non sottolineare però come l’incidenza dell’avvento della Repubblica Islamica sia stata in certi

289 al-Mdaires, F., op. cit., pp. 20-44. 290 Alfoneh, A. op. cit., pp. 1-11.

291 Rubin, M. (2014) Are Bahraini Shi’ites Puppets of Iran, Middle Eastern Outlook AEI, pp. 1-7. 292 Alfoneh, A., op. cit., pp. 1-11.

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casi sovradimensionata. Nello specifico, diversi studiosi accademici, tra i quali Maximillian Terhalle294, Moshe Ma’oz295 e Ibrahim Sharif296, si son soffermati sul presentare la Rivoluzione Iraniana come il «turning point»297 nelle relazioni tra la Monarchia Al Khalifa ed il mondo sciita in Bahrein. Secondo tale visione, l’ascesa politica di Khomeini ha rappresentato un momento cruciale nel modificare la percezione del regime nei confronti della propria comunità sciita, la quale passò dall’essere intesa come una potenziale alleata nell’arginare marxisti e nazionalisti all’essere etichettata come una sostanziale minaccia alla sopravvivenza della monarchia. Tuttavia, questa narrazione ha il difetto di esser eccessivamente riduzionista nei confronti della complessità del ruolo della “local agency” e, come vedremo di seguito, secondo alcuni autori ha offerto uno scudo legittimante alla repressione del regime presentandola come un’azione necessaria per la preservazione tanto della stabilità, quanto del pluralismo e della sovranità rispetto all’imminente minaccia iraniana.298

Tra gli autori che prendono le distanze da questa prospettiva ritenuta semplificatrice e che interpretano l’impatto della Rivoluzione Iraniana in Bahrein con sguardo critico, soffermandosi in particolar modo sull’evidenziare l’opportunità che essa rappresentò per il regime, conferendogli la possibilità sia di intensificare la repressione generalizzata dell’opposizione che di rafforzare le basi di un sistema politico intrinsecamente discriminatorio vi è Marc Owen Jones secondo il quale:

«Enfatizzare l’importanza della Rivoluzione Islamica nella storia del Bahrain pertanto rafforza le strategie, le procedure e le azioni del governo che servono per criminalizzare o securitizzare (per usare una nomenclatura più affascinante) sproporzionatamente i membri sciiti della società, mentre si oscurano le radici di questa discriminazione»299

Se l’inizio degli anni ’80 fu caratterizzato dal fallito coup d’état per mano del IFLB, la fine del decennio vide instaurarsi un clima di progressiva normalizzazione delle relazioni tra la Repubblica Iraniana e gli altri paesi del Golfo dovuta in principal modo alla fine della guerra iraniano-irachena ed all’uscita di scena dell’Ayatollah Khomeini. Questa fase di transizione politica non favorì un sostanziale miglioramento delle condizioni a livello regionale in quanto

294 Terhalle, M. (2007) Are the Shi’a Rising?, Middle East Politics, Vol. 14, No. 2. 295 Ma’oz, M. (2007) op. cit., pp. IV-33.

296 Alhasan, H. T. (2011) The Role of Iran in the Failed Coup of 1981: The IFLB in Bahrain, Middle East Journal, Vol. 65, No. 4.

297 AlShehabi, O. H. (2013) op. cit., p. 90. 298 Ivi., pp. 1-19.

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si scontrò con l’aggravarsi di diverse condizioni: quelle economiche dovute alla diminuzione del prezzo del greggio; quelle sociali causate dell’implementazione dei pacchetti di riforme neoliberali; e quelle politiche provocate dalla riaccensione delle tensioni regionali con la Guerra del Golfo (1990-1991).300

Nonostante le difficoltà legate ai primi anni ’90, il tessuto sociale del Bahrein si dimostrò pronto per inaugurare una nuova stagione di attivismo politico caratterizzato da rivendicazioni democratiche su base trans-settaria e trans-ideologica. Nel 1992 più di trecento rappresentanti dei vari strati della società presentarono all’Emiro, Isa bin Salman, la “petizione delle élite”, un manifesto politico dove si richiedeva la concessione di elezioni generali per l’elezione di un’assemblea legislativa e la reintegrazione della carta costituzionale del 1973. L’Emiro rifiutò di risponde in merito alle richieste e istituì di sua sponte un consiglio consultivo su base non elettiva, il Majlis al-Shura, i cui trenta membri vennero scelti equamente tra sciiti e sunniti appartenenti alla classe mercantile che però risultavano esser estranei ai diversi gruppi politici dell’opposizione.301

La monarchia non nascose la propria ostilità nei confronti della petizione ed il proprio rifiuto ad accogliere le rivendicazioni avanzate. Tutto ciò però non sortì gli effetti sperati e portò le diverse forze dell’opposizione – religiosi, nazionalisti e liberali, a convergere sulla medesima posizione e creare il Constitutional Movement (al-Haraka al-Distruriyya), i cui vertici erano presieduti da trenta rappresentanti che si apprestarono a scrivere una nuova petizione che ricevette l’adesione di più di 25.000 firmatari. L’ingente sostegno ricevuto le valse il nome “petizione popolare” e la sua agenda si faceva portavoce di istanze tradizionali come la richiesta per l’elezione di un parlamento, la liberazione dei prigionieri politici, il riconoscimento della garanzia dei diritti civili per tutti i cittadini, uomini e donne senza distinzione, e la necessità di avviare complessive riforme economiche e giudiziali.302

Secondo il regime, la crescente mobilitazione popolare veniva quindi a definirsi come una questione da risolvere mediante l’implementazione della ben rodata strategia di cooptazione e repressione del divide et impera su base etno-settaria e procedette a screditare il Constitutional Movement tacciandolo come un fenomeno esclusivamente sciita. Nonostante

300 Ivi., pp. 94-127.

301 al-Mdaires, F., op. cit., pp. 20-44. 302 Ibid.

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ciò, il dialogo inter-settario avviato congiuntamente dallo Sheikh Abdul Amir al-Jamri, sciita, e lo Sheikh Abdul-Latif al-Mahmood, sunnita, stava dando prova che un’effettiva e proficua modalità di confronto tra le varie componenti della società fosse concretamente possibile, un esempio di ciò è evidente nella riduzione, se confrontato all’agenda politica del Religious Bloc tra il 1973 ed il 1975, del tradizionale conservatorismo sciita in merito ai diritti politici e civili delle donne. Riconoscendo il potenziale rivoluzionario intrinseco a tale cooperazione, la monarchia decise di trasformare il confronto in scontro arrestando i principali leader delle manifestazioni, in particolar modo quelli sciiti come Ali Salman e lo Sheikh al-Jamri ma non risparmiando quelli sunniti come ad esempio lo Sheikh Abdul-Latif al-Mahmood, l’avvocato Ahmad al-Shamalan e l’accademica Munira Fakhro.303

Ancora una volta la strategia del regime sortì il risultato atteso riuscendo tanto ad arginare le istanze trans-settarie quanto a spingere lo schieramento sciita ad assumere posizioni più radicali nella protesta. Gli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti, che si estesero dal 1994 al 1999, registrarono elevati tassi di violenza sia da parte del regime, con campagne di arresti di massa (tra i 3000 ed i 5000 arresti), un ricorrente utilizzo degli apparati di repressione statali, tortura compresa; sia da parte dei manifestanti mediante atti di guerriglia urbana, disobbedienza civile ed attacchi bomba mirati.304