CAPITOLO II.3 SISTEMA VALLIVO DEL FIUME PECORA
II.3.5. CAUSE MORFOEVOLUTIVE
Dall’analisi dei dati illustrati precedentemente emerge un quadro interpretativo molto importante che evidenzia come il sistema vallivo del fiume Pecora subisca nelle fasi tardo- oloceniche, in particolare nei secoli altomedievali, delle modificazioni che cambiano radicalmente e permanentemente l’assetto del paesaggio fisico e dell’ecosistema. Due sono le cause principali, in stretta relazione, che concorrono in tali modificazioni:
1. Ripetute fasi di incendi forestali, evidenziate dall’abbondanza di frammenti di carboni
associati ai sedimenti della facies fluviale US4. L’abbondanza di carboni all’interno di una sequenza stratigrafica è sovente il risultato della combustione incompleta della vegetazione in seguito ad incendi. La loro dispersione e deposizione, sia durante che successivamente gli eventi, è invece in stretto legame ai processi di ruscellamento superficiale, nonché alla capacità dei fiumi di ridistribuire carboni e sedimenti a valle (Schmidt & Noack, 2000; Forbes et al., 2006; Scott & Damblon, 2010).
2. Disattivazione ed erosione del sistema dei tufi calcarei. La formazione di questi ambienti
è veicolata principalmente dalla quantità di CaCO3 disciolto nell’acqua, originato dalla
circolazione in formazioni carsiche e nei suoli, e dalle modalità di precipitazione. Una minore quantità di CO2 comporta una diminuzione della quantità di CaCO3 disciolto
nell’acqua; parallelamente, la disattivazione dei barrages ed il drenaggio delle aree umide influisce sui processi di degassamento e precipitazione di CaCO3. I fattori che
possono determinare la disattivazione di questi ambienti presentano una casistica molto ampia (Goudie et al., 1993; Ford & Williams, 2007b), ma a carattere generale sono collegati alle oscillazioni climatiche ed alle variazioni condizioni umido/arido o ad attività antropiche (Nicod, 1986; Pastre et al., 2001; Antoine et al., 2002; Carrara et al., 2006; Currás et al., 2012).
Per quanto riguarda il caso di studio analizzato, nella prima fase di disattivazione dei tufi calcarei (660-779 cal AD, US4.1) i proxy paleoambientali non mostrano oscillazioni importanti tali da poter determinare un crollo repentino nella loro formazione, come ad esempio per l’oscillazione registrata a ca. 2,5 ka BP (Goudie et al., 1993; Baker & Simms, 1998; Zak et al., 2002; Fubelli et al., 2013) relativa al “Roman Warm Period”, e ciononostante fortemente contestata recentemente da Dabkowski (2020). A scala globale, l’indice NAO (“North Atlantic Oscillation”) effettuato su speleotemi in Scozia (Baker et al., 2015) riporta un trend generale negativo tra 600 e 870 AD, consistente con un tasso di precipitazione atmosferica sopra la
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media. Questo dato coincide, per quanto riguarda l’Italia, con la fase umida registrata tra 450 e 750 AD dalle curve isotopiche provenienti dal Lago di Pergusa (Sicilia, Sadori et al., 2015, 2016) e dalla fase di alto stazionamento del livello del Lago dell’Accesa tra 550 e 850 AD (Magny et al. 2007). Situazioni analoghe sono inoltre state registrate per l’area mediterranea come Albania (Sadori et al., 2015) Grecia (Peyron et al., 2011; Finné et al., 2014), Spagna (Oliva & Gómez-Ortiz, 2012), Turchia (Kuzucuoğlu et al., 2011; Woodbridge & Roberts, 2011), Tunisia (Maquer et al., 2008).
Figura II.32 – Comparazione dei diversi proxies ambientali continentali del Mediterraneo centro-orientale (da Sadori et al., 2016). Linea rossa: arco cronologico della prima fase di disattivazione ed erosione dell’ambiente CT (US4.1); linea verde: arco cronologico della seconda fase di disattivazione ed erosione dei CT (US4.2)
La fase più importante della disattivazione del sistema dei tufi calcarei (769-1044 cal AD, US4.2) è coeva invece con la fase climatica del “Medieval Climate Anomaly” (MCA, Stine, 1994)10, tra 950-1250 AD, in cui si registra un aumento delle temperature di ca. +1,7°C rispetto
alla successiva fase più fredda della “Little Ice Age” (LIA, Mann et al, 2009; Graham et al., 2011). Anche in questo caso il segnale climatico non è abbastanza forte da poter determinare la disattivazione rapida del sistema dei tufi calcarei. Infatti, sebbene l’indice NAO per la MCA riporta un trend generale positivo (Trouet et al., 2009), consistente con un tasso di precipitazione sotto la media e clima relativamente arido, gli studi paleoclimatici indicano che la MCA era caratterizzata da temperature miti (ca. +0,5°C rispetto ad oggi, cfr. Luoto et al., 2017; Lünig et al., 2019). In aggiunta, in alcune regioni sono state registrate temperature
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inferiori alla LIA11 (Kaniewski et al., 2011; Wu et al., 2019). Inoltre, la MCA non presenta le
caratteristiche di un evento climatico globale uniforme, ma è fortemente condizionata dalle variabilità regionali ed inter-regionali (irradiazione solare, venti, correnti oceaniche ecc., Seager et al., 2007; Cronin et al., 2010; Gonzalez-Ruoco et al., 2011; Goosse et al., 2012; Toker et al., 2012; Lünig et al., 2017). Ad esempio, trend idroclimatici di aridità sono stati registrati nelle regioni sudoccidentali del Nord America (Herweijer et al., 2007; Cook et al., 2004, 2007, 2010), nelle regioni mediterranee occidentali (Moreno et al., 2012; Xoplaki et al., 2016; Degeai et al., 2017) e nelle regioni dell’Africa equatoriale orientale (Verschuren et al., 2000). Di contro, trend idroclimatici umidi sono stati registrati nelle regioni tropicali sudamericane12
(Ledru et al., 2013), nell’Africa meridionale (Nash et al., 2016; Lünig et al., 2018) nel Levante (Frumkin et al., 1991; Litt et al., 2012; Schilman et al., 2002) e nell’Europa settentrionale (Luoto & Helama, 2010; Luoto et al., 2017). In aggiunta, le oscillazioni idroclimatiche non forniscono elementi esaustivi per spiegare i trend delle temperature a scala multi-secolare e multi- decennale. Ad esempio, i proxies paleoclimatici della penisola araba settentrionale riportano condizioni climatiche caldo/secche tra 900-1000 AD e condizioni caldo/umide tra 1000-1200 AD (Kaniewski et al., 2011). Studi condotti sul fiume Nilo mostrano invece che il periodo della MCA era caratterizzato da periodi di portata idrica bassa da 930 a 1070 AD e da 1180 a 1350 AD, intervallati da periodi di portata idrica alta da 1070 a 1180 AD e da 1350 a 1470 AD (Hassan, 2011).
Il fattore climatico, dunque, non fornisce elementi determinanti che possano spiegare la concomitanza tra l’interruzione della precipitazione di CaCO3, l’inizio dell’erosione dei tufi
calcarei e le fasi d’incendi forestali. Per quest’ultimi, infatti, lo studio dei taxa arborei pone in evidenza come la progressione di queste ripetizioni ad intervalli ravvicinati interessi diverse e precise tipologie vegetali (Pieruccini et al., 2018; Buonincontri et al., in pubblicazione). Questa pressione selettiva esercitata è compatibile con attività antropiche legate alla produzione di combustibile e/o a pratiche di bonifica per uso agricolo (Williams, 2000; Vanniére et al., 2008; Mensing et al., 2016; García-Ruiz et al., 2016; Gibling, 2018).
È plausibile ipotizzare, quindi, che le azioni di deforestazione associate alle opere di bonifica siano da considerarsi come le cause principali concorse nella disattivazione degli ambienti dei
11 Mercalli & Cat Berro (2013) propongono una interessante ricostruzione paleoclimatica per l’Italia settentrionale
basata sull’analisi delle fonti storiche scritte, in cui evidenziano che durante la MCA gli episodi freddi documentati sono maggiori del 12% rispetto a quelli caldi.
12 Per quest’area le condizioni idroclimatiche sono state condizionate dall’indice ENSO (El Niño-Southern Oscillation,
cfr. Trenberth & Stepaniak, 2001) e dall’attività del sistema SAMS (South American Summer Monsoon, cfr. Liebmann Mechoso, 2011).
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tufi calcarei. È già stato riportato infatti che l’erosione del suolo a causa del ritiro della copertura forestale comporta una diminuzione della quantità di CO2 disciolta nell’acqua. Da
studi condotti in diverse regioni è stato osservato che il contenuto di carbonio presente nel suolo rimane invariato nel passaggio da foresta a pascolo; di contro, vi è un calo sensibile quando il passaggio è da foresta ad area ad uso agricolo (Guo & Gifford, 2002; van Wesemael et al., 2010; Strömgren et al., 2013; Fujisaki et al., 2015). I disboscamenti hanno anche l’effetto di incrementare la quantità di materiale che va ad alimentare il trasporto solido nella rete idrografica, favorendo dunque le condizioni di sedimentazione negli alvei fluviali. Inoltre, le opere di regimazione del fiume Pecora e canalizzazione all’interno della cascata offrono una spiegazione plausibile alla interruzione della precipitazione di CaCO3. Come infatti già
menzionato precedentemente (v. §II.3.4.2.), la turbolenza e la vaporizzazione dell’acqua dovuto alla presenza di salti morfologici determina i processi di degassazione e conseguente precipitazione di CaCO3. I lavori di regimazione e canalizzazione del fiume Pecora, con
creazione del taglio artificiale all’interno della cascata principale, hanno inibito questi processi, diminuendo e/o interrompendo il tasso di crescita di questi ambienti. Contemporaneamente, le opere di regolazione del reticolo idrografico con spostamento del fiume Pecora nella parte settentrionale della valle e convoglio delle acque dei tributari in destra orografica hanno determinato la capacità del fiume di incidere il fondovalle. Infatti, le canalizzazioni e restringimenti hanno come effetto principale quello di incrementare l’energia (ovvero la capacità di trasporto) del fiume come conseguenza dell’aumento di pendenza e/o riduzione di larghezza (Simon, 1989; Brown, 1997). Questo induce una fase d’incisione a cui è associabile la fase di sedimentazione ed aumento del bilancio sedimentario nei tratti a valle del sistema, favorita dall’alimentazione di sedimenti mobilizzati nei tratti a monte dell’incisione stessa.