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Le cause degli squilibri: solo competitività e differenziali di crescita?

Dopo aver indicato le misure attuate dai policy maker per far fronte alla questione degli squilibri di partite correnti intra-Eurozona, è opportuno fornire un quadro generale sulle cause della loro genesi al fine di valutarne la connessione con le modalità di rientro. È tuttavia doveroso premettere che nell’attuale contesto dell’Eurozona la questione degli squilibri di CA è piuttosto controversa: in particolare, le evidenze empiriche mostrano che qualora si faccia riferimento all’intera zona Euro, al cospetto di un saldo di partite correnti sostanzialmente in pareggio, l’introduzione della moneta unica ha ampliato le divergenze nelle posizioni nette dei singoli Paesi.

In particolare, in questa sezione si vuole sostenere che sia la competitività di prezzo (determinante per l’export) che i differenziali di crescita tra Paesi (capaci di influenzare l’import) abbiano entrambi avuto un ruolo rilevante nella creazione degli squilibri di partite correnti. Tale considerazione risulta piuttosto avallata dalla letteratura economica sebbene dalle analisi quantitative sul tema non sia finora emerso un consenso circa il peso delle principali determinanti degli squilibri. A riguardo, la European Commission [2009] ha fornito un importante contributo tentando di quantificare l’impatto di ognuno dei due fattori sui saldi di CA asserendo che “(c)hanges in domestic demand could account for as much as 40-50% of the differences in current

accounts observed in the Euro area since the launch of the Euro”. D’altra parte, Belke & Dreger [2011]

hanno sostenuto che il canale dei prezzi sia molto robusto, per cui un riallineamento dei CLUP sarebbe necessario a ripristinare la competitività dei Paesi in deficit. Al contrario, Comunale & Hessel [2013] hanno asserito che, sebbene i differenziali di prezzo abbiano una certa rilevanza, i differenziali di domanda (specialmente connessi al “ciclo finanziario”), siano stati - quando effettivamente registrati - più determinanti del fattore competitività nel determinare gli squilibri di CA. Inoltre, nell’analisi di Gaulier & Vicard [2012] non si considerano le perdite di competitività di prezzo come la principale causa dei deficit di partite correnti, ma piuttosto come il sintomo di uno shock di domanda: si sostiene infatti che, in diversi casi, la crescita del CLUP possa essere attribuita alla crescita dei prezzi nel settore non-tradable44, e che risulti altresì inappropriato collegare la dinamica dei saldi di partite correnti alle performance dell’export. Infine, Gabrisch & Staehr [2012] hanno mostrato che, per diversi Paesi Eurozona, un deficit di CA abbia potuto causare - nel senso di Granger - una crescita del CLUP, ma non viceversa45.

44 Questa particolare evidenza empirica è piuttosto plausibile per il caso italiano, in cui l’inflazione è in larga misura

dipendente dai settori dei servizi e delle utilities - per apportare questa considerazione, si è fatto riferimento al database OECD.Stat, National Consumer Price Indices (CPIs) by COICOP divisions.

45 Le analisi empiriche che utilizzano il CLUP prendono di fatto in esame come fattore di competitività di prezzo un

indicatore di costo - che riguarda la sola componente costo del lavoro - aggiustato per la produttività del lavoro: qualora si analizzi tale indicatore da una prospettiva teorica alternativa, dalla quale la dinamica della produttività possa

Sommariamente, nel presente saggio - sulla base della letteratura economica e dell’evidenza empirica - si classificano le determinanti degli squilibri esterni in due distinti gruppi: il primo fa riferimento ai cosiddetti fattori di offerta (o supply-side), mentre il secondo ai cosiddetti fattori di domanda (o demand-side)46. Tuttavia, si ritiene che oltre a questi fattori, un ulteriore elemento sia meritevole di considerazione nell’analisi delle origini degli squilibri di CA intra-Eurozona: alcuni Paesi “core” - specialmente la Germania, il cui particolare caso sarà preso in singolarmente in esame - mostrano dei rimarcabili squilibri interni che riflettono un particolare modello di crescita, basato sulla promozione dell’export e sul contenimento della domanda domestica, capace anche di influenzare la distribuzione del reddito.

4.1 – Fattori di offerta: competitività di prezzo, salari e produttività

I fattori di offerta possono essere raggruppati nel cosiddetto “canale della competitività”. Qualora si considerino determinanti questi fattori, gli squilibri di partite correnti sarebbero infatti guidati dai differenziali di prezzo tra Paesi: in sintesi, un apprezzamento reale causerebbe un peggioramento del saldo delle partite correnti. In questa prospettiva, una riduzione dei costi di produzione sarebbe richiesta per ripristinare la competitività di prezzo dei Paesi che registrano un deficit esterno: poiché nei Paesi in surplus non risulta possibile un deterioramento della competitività in termini di “regresso tecnologico” (sebbene tale scenario si possa realizzare in termini di crescita dei prezzi), un aggiustamento asimmetrico - ovvero, un abbassamento del livello di prezzi nei Paesi in deficit - è considerato necessario per ridurre gli squilibri esterni. Tuttavia, è opportuno considerare che l’attuale dinamica dell’inflazione nei Paesi in surplus è piuttosto moderata, per cui un guadagno di competitività di prezzo dei Paesi in deficit risulta realizzabile solo compatibilmente con uno “scenario deflattivo” in questi ultimi.

Stando ai dati, negli ultimi anni alcuni Paesi core hanno beneficiato di una moderata crescita del CLUP e di un tasso di inflazione al di sotto della media dell’Eurozona (si veda Tabella_2). Per questi motivi, per via di una comune politica monetaria, tali Paesi hanno fatto registrare un deprezzamento reale nei confronti della periferia europea: queste indicazioni sembrano coerenti

presentare un certo grado di endogenità rispetto al prodotto, una caduta del PIL tale da rallentare la dinamica della produttività del lavoro potrebbe influenzare il CLUP in maniera rilevante.

46 A questo proposito, sembra ragionevole ritenere che questi canali abbiano avuto un diverso “peso” tra i diversi Paesi

che hanno registrato un disavanzo esterno. Probabilmente, i fattori di domanda sono stati più rilevanti per i Paesi che hanno sperimentato una sostenuta crescita del PIL nel periodo pre-crisi (come la Spagna e la Grecia), mentre nei Paesi che hanno mostrato una bassa crescita del reddito (come l’Italia) i fattori di offerta, ovvero la competitività di prezzo, possano aver avuto un ruolo più determinante di quelli di domanda. A riguardo, nel Grafico_4 si mostra come la domanda domestica di Italia e Portogallo possa essere non fortemente correlata al peggioramento del saldo di CA, mentre tale relazione è più accentuata per i casi di Irlanda, Grecia e Spagna.

con l’ipotesi che gli squilibri esterni siano dipesi da differenziali di salari e produttività che non sono stati compensati da equivalenti aggiustamenti del tasso di cambio.

A riguardo, le attuali istituzioni dell’EMU hanno attribuito gli squilibri di CA quasi esclusivamente ad una bassa competitività dei Paesi in deficit [European Commission, 2010], che, oltre al CLUP, viene monitorata per mezzo del REER: infatti, alcuni Paesi membri - come la Germania - hanno fatto registrare significative riduzioni di questo indicatore (per cui, stando all’approccio in questione, hanno incrementato la propria competitività di prezzo), mentre in altri Paesi - quali i GIIPS - l’indice dei prezzi relativi intra-europeo è notevolmente cresciuto (si veda Grafico_6). Stando alle interpretazioni istituzionali, gli squilibri esterni sono causati da un disallineamento del REER, e di conseguenza un aggiustamento di tale indicatore dovrebbe essere raggiunto - vista l’impossibilità di variazioni del cambio nominale ed il basso inflation target della BCE - attraverso dei tassi di inflazione nei Paesi in deficit minori di quelli dei Paesi in surplus.

Tabella_2 – Fonte: IMF, World Economic Outlook (Aprile 2013); OECD, Main Economic Indicators

Paese

Saldo delle partite correnti in % del PIL

(somma cumulata 1999-2010)

Tasso di crescita medio

annuo del CLUP Tasso di crescita medio annuo

del CPI (1999-2010) Total Economy (1999-2008) Manifatturiero(1999-2008) Austria 22,76 0,71 -0,750 1,76 Belgio 29,4 1,82 -0,322 2,03 Finlandia 58,03 1,37 -2,420 1,77 France 2,39 1,74 -0,170 1,75 Germania 42,21 -0,06 -0,740 1,55 Olanda 64,82 2,07 -0,020 2,26 Irlanda -21,66 4,76 0,500 2,91 Italia -17,94 2,55 1,910 2,27 Grecia -107,05 3,37 1,680 3,12 Portogallo -117,6 2,57 0,990 2,56 Spagna -68,13 3,28 2,988 2,91

Tuttavia, questi differenziali di prezzo - che fanno riferimento al “canale della competitività” - sono stati interpretati dalla letteratura come a loro volta causati, alternativamente o congiuntamente, da due tipi differenziali registrati tra Paesi membri: quelli della produttività del lavoro e/o quelli dei salari.

Per quanto riguarda la dinamica dei salari nei Paesi membri, alcuni autori hanno sostenuto che la Germania abbia “pursued a policy of aggressive wage restraint - as a means of competitive real

devaluation - resulting in large current account surpluses” [Stockhammer, 2011]. Stando a questa

interpretazione, gli squilibri di partite correnti intra-Eurozona potrebbero essere riassorbiti per mezzo di una crescita salariale maggiore di quella della produttività del lavoro nei Paesi in

surplus. Altri autori che hanno affrontato il tema degli squilibrihanno principalmente collegato l’attuale leadership tedesca in termini di export ad un processo di deflazione salariale (si veda Grafico_2), che si è tradotto in una moderata dinamica del CLUP: anche stando a questa visione, una correzione gli squilibri potrebbe aver luogo per mezzo di una crescita salariale più sostenuta nei Paesi core [Brancaccio, 2011].

Grafico_2 – Fonte: elaborazioni su dati OECD, Main Economic Indicators

A ben vedere, uno “scenario inflattivo” nei Paesi in surplus implicherebbe la revisione a rialzo dell’attuale inflation target per permettere alle economie core di registrare un’inflazione più alta di quella delle economie periferiche tale da non spingere queste ultime in deflazione. Tuttavia, nell’attuale contesto dell’Eurozona l’onere dell’aggiustamento di tali squilibri sembra di fatto ricadere sui Paesi periferici, in quanto i regolamenti comunitari prevedono un basso livello di inflazione (attorno al 2% nel medio periodo) - per cui un aggiustamento “inflattivo” risulta essere istituzionalmente non realizzabile. Ciò significa che attualmente i Paesi periferici sono costretti a ripristinare la loro competitività solo per mezzo della deflazione, ovvero tramite una riduzione di salari47 e prezzi. Per via di tale asimmetria, è possibile asserire che l’attuale sistema di policy sia affetto da deflationary bias: qualora si voglia evitare che i Paesi in deficit non registrino - per un periodo di tempo prolungato - stagnazione e deflazione, i Paesi in surplus dovrebbero realizzare

47 È utile sottolineare come all’interno dell’EMU si sia rinunciato (o quantomeno si siano molto ridimensionati) a diversi

strumenti tradizionali di politica economica, tra i quali l’autonomia della politica monetaria e di quella fiscale, mentre è diventata di cruciale rilevanza la flessibilità del mercato del lavoro. Tuttavia, Stockhammer [2011] ha sostenuto che la “wage flexibility has proven incapable of preventing long-lasting divergences in the levels of competitiveness and of current account positions across Europe”.

100 110 120 130 140 150 160 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Andamento dei salari nominali

medi annui (2000=100) AUT BEL FIN FRA GER NED IRE ITA GRE POR SPA

un tasso di inflazione più elevato di quello previsto dal target della BCE

correggere delle precise direttive o, in via alternativa, promuovere un coordinamento salariale che permetta di evitare una correzione totalmente asimmetrica degli squilibri.

Al contrario, stando a diverse dichiarazioni di esponenti della BCE le differenti performance in tema di competitività di prezzo risiederebbero quasi esclusivamente nella bassa dinamica della produttività dei Paesi periferici, in quanto i salari nominali avrebbero mostr

dopo l’introduzione della moneta unica

del 2007 la crescita della produttività del lavoro è risultata più elevata in Grecia e Irlanda che in Germania, mentre quella della Spagna

Grafico_3): analizzando tale dato da una prospettiva teorica alternativa a quella dei una tale performance in termini di produttività ri

crescita del reddito registrata nei Paesi periferici fino allo scoppio della crisi globale, in quanto la produttività del lavoro può essere considerata una variabile largamente endogena. Tuttavia, le argomentazioni di impostazione teorica

come strettamente connesse, sostengono che nei Paesi periferici ci sia

increases” - che potrebbero essere realizzati attraverso la deregolamentazione dei mercati

“a decrease in nominal wages sounds exotic, but is the same in essence as a successful devaluation; if it can

be achieved, it can substantially reduce the unemployment cost of the adjustment

Grafico_3

48 A riguardo, Bagnai [2012a] ha affermato che l’attuale

dell’assenza di un limite minimo. Questa caratteristica ha permesso ad alcuni Paesi di mantenere il proprio tasso di inflazione sistematicamente al di sotto di quello di altre economie dell’EMU, praticando una svalutazione competitiva reale che può essere assimilabile ad una strategi

95 100 105 110 115 120 125 130

Euro AUT BEL

Dinamica della produttività del lavoro

PIL per ora lavorata (2000=100)

un tasso di inflazione più elevato di quello previsto dal target della BCE48, sebbene ciò significhi correggere delle precise direttive o, in via alternativa, promuovere un coordinamento salariale

e permetta di evitare una correzione totalmente asimmetrica degli squilibri.

stando a diverse dichiarazioni di esponenti della BCE le differenti performance in tema di competitività di prezzo risiederebbero quasi esclusivamente nella bassa dinamica della produttività dei Paesi periferici, in quanto i salari nominali avrebbero mostrato una convergenza dopo l’introduzione della moneta unica [Draghi, 2013]. Tuttavia, è possibile osservare che prima la crescita della produttività del lavoro è risultata più elevata in Grecia e Irlanda che in Germania, mentre quella della Spagna era in linea con la dinamica media dell’Eurozona

analizzando tale dato da una prospettiva teorica alternativa a quella dei una tale performance in termini di produttività risulterebbe verosimilmente legata

crescita del reddito registrata nei Paesi periferici fino allo scoppio della crisi globale, in quanto la produttività del lavoro può essere considerata una variabile largamente endogena. Tuttavia, le argomentazioni di impostazione teorica mainstream, che considerano produttività e competitività come strettamente connesse, sostengono che nei Paesi periferici ci sia “a large scope for

che potrebbero essere realizzati attraverso la deregolamentazione dei mercati

decrease in nominal wages sounds exotic, but is the same in essence as a successful devaluation; if it can

be achieved, it can substantially reduce the unemployment cost of the adjustment” [Blanchard, 2006]

Grafico_3 – Fonte: elaborazioni su dati Eurostat

ha affermato che l’attuale inflation target della BCE è affetto da “

Questa caratteristica ha permesso ad alcuni Paesi di mantenere il proprio tasso di inflazione sistematicamente al di sotto di quello di altre economie dell’EMU, praticando una svalutazione competitiva reale che può essere assimilabile ad una strategia beggar-thy-neighbour.

FIN FRA GER NED IRE ITA GRE

Dinamica della produttività del lavoro

PIL per ora lavorata (2000=100)

2001 2004 2010 2012

, sebbene ciò significhi correggere delle precise direttive o, in via alternativa, promuovere un coordinamento salariale

e permetta di evitare una correzione totalmente asimmetrica degli squilibri.

stando a diverse dichiarazioni di esponenti della BCE le differenti performance in tema di competitività di prezzo risiederebbero quasi esclusivamente nella bassa dinamica della ato una convergenza Tuttavia, è possibile osservare che prima la crescita della produttività del lavoro è risultata più elevata in Grecia e Irlanda che in era in linea con la dinamica media dell’Eurozona (si veda analizzando tale dato da una prospettiva teorica alternativa a quella dei policy maker, sulterebbe verosimilmente legata alla sostenuta crescita del reddito registrata nei Paesi periferici fino allo scoppio della crisi globale, in quanto la produttività del lavoro può essere considerata una variabile largamente endogena. Tuttavia, le onsiderano produttività e competitività

a large scope for productivity

che potrebbero essere realizzati attraverso la deregolamentazione dei mercati - e che

decrease in nominal wages sounds exotic, but is the same in essence as a successful devaluation; if it can [Blanchard, 2006].

della BCE è affetto da “asymmetry bias” per via Questa caratteristica ha permesso ad alcuni Paesi di mantenere il proprio tasso di inflazione sistematicamente al di sotto di quello di altre economie dell’EMU, praticando una svalutazione competitiva

POR SPA 2004 2007 2012

Tali considerazioni sono state tuttavia criticate da varie prospettive, tra le quali la più meritevole di attenzione è quella per cui si sostiene che la svalutazione interna risulti essere un processo molto diverso da una svalutazione monetaria [Artus, 2011]: la svalutazione interna può infatti essere un processo piuttosto doloroso - in termini di mancata crescita - e può richiedere un lungo periodo per consentire il ripristino della competitività attraverso la riduzione dei salari, sia per le naturali resistenze al taglio dei compensi ai lavoratori, che per via di presumibili ritardi tra la caduta dei salari e quella dei prezzi (oltreché nell’entità). Infine, i Paesi che per ripristinare la competitività esterna necessiterebbero di una svalutazione interna presentano attualmente un elevato livello di debito: un processo disinflazionistico, che per via del basso inflation target si tradurrebbe verosimilmente in deflazione, accrescerebbe il valore reale dei debiti; di conseguenza, un più elevato rapporto debito pubblico/PIL potrebbe - sempre nell’impostazione

mainstream - incrementare le tensioni sui mercati dei titoli pubblici, mentre un crescente valore

del debito privato potrebbe ridurre ulteriormente consumi ed investimenti, oltre a causare tensioni al credito e al sistema bancario.

4.2 – Fattori di domanda: differenziali e diversi modelli di crescita

In questo saggio, i fattori di domanda prendono in considerazione i differenziali di crescita reale tra Paesi, talvolta connessi all’adozione di determinati modelli di crescita. In sintesi, considerando questi fattori si ritiene che i Paesi in surplus - principalmente per via dei settori la cui produzione è maggiormente destinata all’export - siano stati capaci di intercettare la crescente domanda proveniente dal canale estero, specialmente dai Paesi in deficit.

Questo scenario appare compatibile con due evidenze empiriche. Da un lato, dall’introduzione dell’Euro, i Paesi in surplus - come la Germania - hanno implementato politiche di restrizione fiscale e salariale, parzialmente “compensated by a relatively loose policy by the European Central Bank,

tailored to the core countries, whose expansionary effects were predominantly felt in the EZ periphery” [Cesaratto & Stirati, 2011]. Dall’altro, per via di un più facile accesso ai mercati finanziari - risultato dell’abbassamento dei tassi di interesse - i Paesi periferici hanno registrato sia una crescita della domanda domestica che del reddito, a cui si è accompagnata una dinamica dei salari, dei prezzi e della produttività più elevata di quella media dell’Eurozona (modello di crescita

credit-led). Tale dinamica salariale - piuttosto che una bassa crescita della produttività - avrebbe

portato le economie periferiche ad una progressiva perdita di competitività, mentre il commercio estero dei Paesi del Nord (modello di crescita export-led) avrebbe beneficiato dell’espansione della domanda aggregata della periferia [Uxó & al., 2011]. Allo stesso tempo, i Paesi del Nord avrebbero registrato una strutturale debolezza della domanda domestica dovuta alla moderazione salariale, che avrebbe frenato la crescita reale: è infatti possibile asserire che senza il contributo alla

crescita fornito dalle esportazioni verso i Paesi del Sud, alcune economi Germania - avrebbero potuto sperimentare una stagnazione

Questi differenti modelli di crescita sottolineano anche delle sostanziali divergenze tra Paesi dell’Eurozona in termini di determinanti della crescita: nelle economie

avrebbero finanziato i consumi e gli investimenti (anche nel settore immobiliare) attraverso il debito, e tale modello avrebbe fornito una grande risorsa, in termini di domanda, ai Paesi

led, i quali non hanno registrato una crescita

politiche - come, sempre nel caso della Germania, l’adozione di un comportamento spiccatamente mercantilista. La mutua azione di questi diversi modelli di crescita avrebbe portato all’attuale situazione di squilibri reali e finanziari nel contesto dell’

Grafico_4

In realtà, anche la European Commission determinanti degli squilibri di partite correnti

ufficiali continui ad insistere sul canale della competitività dell’aggiustamento dovrebbe gravare sulla periferia,

vuole sostenere che entrambi i fattori abbiano avuto un ruolo rilevante nella causazione degli squilibri, in quanto sia i differenziali di domanda (che influenzano l’import) che

competitività (che influenzano l’expor

49 In questo passaggio di fa principalmente riferimento a delle re

qualche dato: nel 2006, le esportazioni nette della Germania erano per il della Grecia risultava dal commercio con stati membri dell’EMU

50 A riguardo, in un report istituzionale la

of exports but price competitiveness was key for explaining differences in export performance across Euro

dalle esportazioni verso i Paesi del Sud, alcune economie del Nord avrebbero potuto sperimentare una stagnazione.

Questi differenti modelli di crescita sottolineano anche delle sostanziali divergenze tra Paesi dell’Eurozona in termini di determinanti della crescita: nelle economie credit

avrebbero finanziato i consumi e gli investimenti (anche nel settore immobiliare) attraverso il debito, e tale modello avrebbe fornito una grande risorsa, in termini di domanda, ai Paesi

i quali non hanno registrato una crescita del debito privato per via di determinate scelte come, sempre nel caso della Germania, l’adozione di un comportamento spiccatamente mercantilista. La mutua azione di questi diversi modelli di crescita avrebbe portato all’attuale