A questo proposito, il caso italiano è estremamente meritevole di attenzione. Infatti, dal 2000 il saldo delle partite correnti (si veda Figura_1) ha iniziato ad assume valori negativi, sebbene fino al 2004 non si sia mai attestato al di sotto del -1.5% del PIL. Successivamente, il deficit di partite correnti è iniziato a crescere (assumendo un valore medio del -2.6% del PIL fino al 2011), per poi tornare positivo nel 2013. Tuttavia, è interessante comprendere da cosa sia stato causato questo disavanzo partendo dalla composizione delle partite correnti (CA), il cui saldo è dato dalla somma della bilancia commerciale (export meno import di beni e servizi), dai redditi netti dall’estero (NY) e dai trasferimenti unilaterali netti (NCT).
A riguardo, nella Figura_2 sono riportati i valori (miliardi di Euro correnti) delle varie componenti del current account dal 2009, mentre nella Figura_3 tali valori sono espressi in percentuale del PIL2.
Figura_2 – Composizione del conto corrente dell’Italia – Fonte: Eurostat
Miliardi € X_G X_S Y(+) CT(+) M_G M_S Y(-) CT(-) TB NY NCT CA 2005 293,1 74,1 67,6 15,8 293,6 76,2 65,1 29,8 -2,6 2,5 -14,0 -14,1 2006 324,7 81,4 81,0 15,3 335,8 84,6 74,6 31,6 -14,3 6,4 -16,3 -24,2 2007 356,6 85,0 88,0 15,8 354,8 93,2 87,2 33,7 -6,4 0,9 -17,8 -23,4 2008 361,3 79,0 75,2 14,3 364,2 89,5 90,4 32,4 -13,4 -15,2 -18,1 -46,8 2009 284,9 69,6 64,8 14,4 285,3 78,6 67,5 32,8 -9,4 -2,7 -18,4 -30,5 2010 328,6 76,2 59,8 12,1 350,4 85,4 64,7 32,1 -30,9 -4,9 -20,0 -55,8 2011 363,9 79,3 64,6 14,0 382,4 85,5 71,0 33,3 -24,7 -6,4 -19,3 -50,4 2012 377,4 84,5 57,7 13,9 360,6 84,7 61,8 33,4 16,7 -4,1 -19,5 -6,9 2013 379,1 84,1 56,5 14,3 343,0 83,9 60,7 32,3 36,3 -4,2 -18,1 14,1 2014 390,4 85,9 60,7 15,2 342,5 86,8 62,2 31,0 47,0 -1,5 -15,8 29,7 2015 405,9 89,1 57,5 15,0 352,1 90,5 59,5 29,6 52,4 -2,0 -14,6 35,8 Figura_3 – Composizione del conto corrente dell’Italia (% del PIL) – Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
% PIL X_G X_S Y(+) CT(+) M_G M_S Y(-) CT(-) TB NY NCT CA 2005 19,7 5,0 4,5 1,1 19,7 5,1 4,4 2,0 -0,2 0,2 -0,9 -0,9 2006 21,0 5,3 5,2 1,0 21,7 5,5 4,8 2,0 -0,9 0,4 -1,1 -1,6 2007 22,2 5,3 5,5 1,0 22,0 5,8 5,4 2,1 -0,4 0,1 -1,1 -1,5 2008 22,1 4,8 4,6 0,9 22,3 5,5 5,5 2,0 -0,8 -0,9 -1,1 -2,9 2009 18,1 4,4 4,1 0,9 18,1 5,0 4,3 2,1 -0,6 -0,2 -1,2 -1,9 2010 20,5 4,8 3,7 0,8 21,8 5,3 4,0 2,0 -1,9 -0,3 -1,2 -3,5 2011 22,2 4,8 3,9 0,9 23,4 5,2 4,3 2,0 -1,5 -0,4 -1,2 -3,1 2012 23,4 5,2 3,6 0,9 22,4 5,2 3,8 2,1 1,0 -0,3 -1,2 -0,4 2013 23,6 5,2 3,5 0,9 21,4 5,2 3,8 2,0 2,3 -0,3 -1,1 0,9 2014 24,2 5,3 3,8 0,9 21,3 5,4 3,9 1,9 2,9 -0,1 -1,0 1,8 2015 24,8 5,4 3,5 0,9 21,5 5,5 3,6 1,8 3,2 -0,1 -0,9 2,2 X_G = export di beni; X_S = export di servizi; Y(+) = redditi (crediti); CT(+) = trasferimenti correnti (crediti);
M_G = import di beni; M_S = import di servizi; Y(-) = redditi (debiti); CT(-) = trasferimenti correnti (debiti); TB = saldo commerciale (X-M); NY = redditi netti dall’estero; NCT = trasferimenti netti; CA = saldo conto corrente
2 Nel calcolo delle quote sul PIL, è opportuno tenere in considerazione l’andamento del reddito (miliardi di € correnti):
2005: 1489.7 – 2006: 1548.5 – 2007: 1609.6 – 2008: 1632.2 – 2009: 1572.9 – 2010: 1604.5 – 2011: 1637.5 – 2012: 1613.3 – 2013: 1604.5 – 2014: 1611.9 – 2015: 1636.4.
Sulla base dei dati appena proposti, è possibile asserire che il rientro del deficit di CA è dipeso principalmente dalla diminuzione dell’import di beni, il cui valore ha registrato un calo del 10% tra il 2011 e il 2013 (nello stesso biennio il PIL è sceso complessivamente di due punti percentuali); parallelamente, l’export di beni - il cui valore è cresciuto del 4% nel periodo in questione - ha contribuito al rientro del deficit di partite correnti in misura minore del crollo delle importazioni. Inoltre, è possibile notare che il solo saldo commerciale (export meno import) era già positivo nel 2012 (1.1% del PIL), mentre il saldo delle partite correnti assumeva valore negativo a causa dei disavanzi registrati nelle altre componenti (redditi e trasferimenti). Infine, nel biennio 2014/15 l’export di beni ha registrato una crescita più sostenuta (3.5% medio annuo) a cui si è affiancata una crescita media annua dell’import di beni dell’1%; questi dati si traducono, anche per effetto delle altre componenti, in una marcata crescita del saldo commerciale e delle partite correnti.
Tuttavia, l’andamento dei flussi di import/export presenta delle notevoli differenze qualora lo si studi effettuando un breakdown degli scambi complessivi tra due aggregati di partner commerciali. In particolare, è interessante analizzare la quota di import ed export sul PIL effettuando una scomposizione tra commercio intra- ed extra-Eurozona.
Nella Figura_4 è rappresentato l’andamento della quota dell’export (di beni) sul PIL; tale quota è stata suddivisa tra commercio con Paesi dell’Eurozona (EU_11) ed altri partner (NO_EU)3. Nella Figura_5 una scomposizione analoga è proposta per la quota dell’import (di beni) sul PIL, mentre nella Figura_6 ci si riferisce al saldo della bilancia commerciale - differenza tra export ed import.
Figura_4 – Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
3 All’interno del raggruppamento EU_11 si considerano i dieci Paesi che hanno introdotto l’Euro dal 1999 (Austria,
Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna) più la Grecia (dal 2001).
5% 10% 15% 20% 25%
EXPORT (goods)
to GDP ratios
EU_11 NO_EU TOTALPartendo dalle esportazioni, si può osservare come negli ultimi anni la quota NO_EU mostri un trend a rialzo (supera il 15% del PIL), mentre quella EU_11 stazioni intorno all’8% del PIL. Ne deriva che la quota di export totale sul PIL sia cresciuta nell’ultimo decennio - sebbene si debba tener conto della caduta del reddito dopo il 2007 - principalmente per effetto del commercio fuori dall’area dell’Euro. È altresì opportuno notare come immediatamente dopo il 1992 la quota delle esportazioni NO_EU superi quella EU_11, a testimonianza del fatto che la svalutazione della lira è stata accompagnata da una maggiore apertura al commercio extra-continentale.
Figura_5 – Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
Per quanto riguarda l’import, la quota NO_EU ha superato quella EU_11 solo a ridosso del nuovo millennio: entrambe mostrano un trend a rialzo, sebbene sia più accentuato quello delle importazioni provenienti dall’area NO_EU (presumibilmente, per effetto dell’import di beni energetici). Seppur si tratti di un’analisi del tutto preliminare, questi dati sembrano compatibili con il fatto che l’introduzione della moneta unica possa aver incentivato l’import italiano da Paesi extra-Eurozona per effetto di un tasso di cambio “forte”. Tuttavia, è interessante notare come dal 2011 la quota delle importazioni EU_11 sul PIL sia sostanzialmente stabile, mentre quella NO_EU ceda due punti percentuali di PIL: in breve, queste evidenze indicano che le importazioni extra- EU_11 siano diminuite più di quanto sia diminuito il PIL.
E’ per giunta opportuno valutare come il commercio internazionale abbia risposto alla crisi 2008/2009: le quote dell’import e dell’export sul PIL si sono sensibilmente ridotte (sebbene quella extra-Euro sia scesa maggiormente di quella intra-Euro) a testimonianza del fatto che la caduta degli scambi internazionali sia stata più accentuata della caduta del PIL.
5% 10% 15% 20% 25%
IMPORT (goods)
to GDP ratios
EU_11 NO_EU TOTALInfine, dalla bilancia commerciale - intesa come export meno import con riferimento al solo comparto “beni” - si osserva che l’attuale avanzo (complessivo) dell’Italia è generato da un cospicuo surplus extra-EU_11, mentre all’interno dell’area EU_11 si registra un modesto deficit. Nel complesso, il saldo commerciale intra-EU_11 (positivo dal 1993) è rimasto in attivo fino al 1998, per poi attestarsi stabilmente in territorio negativo a partire dal 1999. Viceversa, il saldo commerciale extra-EU_11 (anche questo, positivo dal 1993) è stato quasi sempre in attivo - fatta eccezione per il periodo 2006/2011 in cui si registra un’alternanza di segno.
Queste evidenze empiriche possono essere coerenti con una lettura del commercio internazionale associata al tema della competitività di prezzo: in questo contesto, l’apprezzamento del cambio reale - causato dall’introduzione della moneta unica europea - sembrerebbe aver penalizzato le esportazioni italiane all’interno dell’area Euro.
Figura_6 – Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
A questo proposito, la principale misura della competitività di prezzo è il tasso di cambio effettivo
reale (REER): in sostanza si tratta di un indicatore che mira a rappresentare l’evoluzione dei prezzi
domestici relativamente ai prezzi dei Paesi “concorrenti”, aggiustando il tasso di cambio nominale per le variazioni dei prezzi nelle due aree (domestica ed estera)4.
4 Più dettagliatamente il REER è costruito come media ponderata dei tassi di cambio tra la valuta domestica e le valute
utilizzate nei Paesi partner/concorrenti. E’ calcolato aggiungendo ai dati sull’evoluzione dei tassi di cambio le informazioni sulle dinamiche dei prezzi nelle aree economiche considerate attraverso l’utilizzo di opportuni indici di prezzo (deflatori). Al fine di da dare maggiore importanza ai prezzi delle aree con le quali si ha un maggiore interscambio commerciale, i pesi utilizzati nella ponderazione della media si basano sull’entità dei flussi commerciali.
-2% -1% 0% 1% 2% 3% 4%