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Certezza del diritto e certezza dell’accertamento

Già nella primo capitolo del presente lavoro, quando si è riflettuto sulla necessità di adottare il medesimo standard probatorio (il più elevato possibile!) in ogni caso penale, si è avuto modo di riflettere sullo strettissimo rapporto che intercorre tra la certezza del diritto e la certezza dell’accertamento8. E’ bene riprendere le riflessioni allora svolte.

In generale il concetto sostanziale acquista vita nel giudizio e, pertanto, è da quest’ultimo che dipende l’effettiva tenuta dei principi che guidano la formulazione della norma. In particolare, la correttezza della ricostruzione fattuale è l’altra faccia del garantismo penale promosso dal principio di legalità9. E’ stato giustamente sottolineato che un sistema garantista, attento alla limitazione della potestà punitiva e alla tutela dell’individuo dall’arbitrio, si fonda non solo sul ‘convenzionalismo penale’ ovvero sulla precisione legale e sull’aderenza della legge alla realtà empirica10, ma anche sul ‘cognitivismo processuale’, ovvero sull’effettiva prova delle ipotesi accusatorie secondo ragionamenti controllabili11. Infatti, una ricostruzione debole, ‘incerta’, non conforme alle massime potenzialità dell’ordinamento non può che affievolire la certezza (meglio, la ragionevole prevedibilità) del diritto, garantita sul piano sostanziale dai principi di irreotrattività, di determinatezza, di tassatività12. Questo esito non è dunque dovuto ad un errore di qualificazione, ma ad un errore nell’accertamento: non è carente l’analogia tra il caso

8 Si veda supra capitolo primo, par. 3.1.2.

9 In proposito si veda D. PULITANÒ, Sui rapporti fra diritto penale sostanziale e processo, Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2005, pp. 954, 955.

10 Problema, quest’ultimo, che si affronterà nel prossimo capitolo.

11 Si veda L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Roma, 2008, p. 6 ss.

12 E’ evidente peraltro che, venendo meno la certezza del diritto, la stessa funzione general-preventiva sarebbe compromessa.

paradigmatico e l’enunciato che denota il caso concreto, ma è ingiustificato l’enunciato medesimo, non vi è ‘corrispondenza’ tra questo e la evidence disponibile.

Si è detto che la qualificazione dipende da una componente semantica e da una valoriale (intesa in termini di meritevolezza e di bisogno di pena) e che è l’interazione delle due a determinare la ragionevole prevedibilità dell’operazione qualificativa13. Nel giudizio fattuale è espunta la componente valoriale (come sopra intesa14): la corrispondenza tra enunciato e realtà dipende solo da una corretta percezione e conoscenza del fatto e da una sua corretta classificazione semantica15. Si tratta di due operazioni contigue dal confine alquanto labile, specie in caso di fatti non attuali che, non potendo essere percepiti, sono conoscibili solo mediante narrazioni o, più in generale, prove c. d. ‘indirette’16. Entrambe le operazioni compongono la ricostruzione fattuale: se l’una o l’altra sono errate l’esito della ricostruzione è un enunciato ingiustificato (ma non necessariamente falso). È peraltro ragionevole ritenere che, data l’appartenenza del giudice alla medesima comunità semantica in cui opera, gli errori di classificazione siano rarissimi se non inesistenti, atteso che le regole d’uso del linguaggio comune, adoperato per nominare il fatto conosciuto, sono patrimonio condiviso. Viceversa sono assai frequenti gli errori conoscitivi o epistemologici, sui quali ci si concentrerà nel presente capitolo.

Quanto scritto serve a meglio specificare in che modo l’errata ricostruzione fattuale possa incidere sulla ragionevole prevedibilità. Se nel caso della qualificazione la ragionevole prevedibilità può venir meno per la debolezza della componente semantica (nella classificazione dell’enunciato fattuale in base al caso paradigmatico) o per la debolezza della componente valoriale, nel caso della ricostruzione il criterio rischia di non essere soddisfatto a causa della debolezza della componente semantica (nella classificazione del fatto percepito in base all’enunciato fattuale) o di un errore di percezione (o, in senso più ampio, di conoscenza) del fatto. In definitiva il rischio è sempre che salti il rapporto di corrispondenza tra il fatto e la

13 Si veda supra capitolo terzo, par. 2.1

14 In merito a considerazioni valoriali di altro tipo, incluse nella ricostruzione fattuale si veda supra, capitolo primo, nota n. 53.

15 Che però, come si è visto (cfr. supra capitolo terzo, par. 2.1, nota n. 20) incorpora essa stessa un ‘momento valoriale’.

16 Si ricordi F. CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 577, 578. L’Autore, recuperando la distinzione carneluttiana tra prova ‘diretta’ e prova ‘indiretta’, afferma che la seconda si ha quando non vi è percezione immediata del fatto da parte del giudicante, verosimilmente configurabile soltanto in caso di commissione di un reato in udienza.

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ricorda, comunque, che un accertamento invalido non determina necessariamente questo scarto, atteso che l’enunciato fattuale risultante potrebbe pur sempre essere vero.

A ben vedere peraltro, lo scarto tra il fatto e la norma non solo implica l’imprevedibilità della risposta ordinamentale, ma può anche comportare la violazione del principio sostanziale di proporzione tra il fatto e la pena17 e, dunque, della libertà dell’imputato. Ciò è evidente nel caso dell’errore interpretativo, atteso che la ragionevole prevedibilità dipende qui anche dalla componente valoriale: se quest’ultima è carente vengono meno e la prevedibilità e la proporzione. Anche nel caso di errore probatorio, tuttavia, può aversi una violazione del principio di proporzione, proprio in ragione dell’eventuale distacco tra fatto e norma. Ricapitolando, e richiamando le riflessioni svolte nel primo capitolo18, si può affermare che un accertamento invalido (ovvero irrispettoso dello standard probatorio), per il solo fatto di essere tale, violi la dignità dell’imputato. Eppure, perché esso possa dirsi violativo anche della ragionevole prevedibilità, della proporzionalità e della libertà personale è altresì necessario che si crei uno scarto tra norma e accadimento reale.

Uno spunto conclusivo. “Noi siamo abituati a separare concetto e prova”19 e poniamo maggiore attenzione all’individuazione di ciò che è concettualmente esatto,

17 Principio che, come ricordano Marinucci e Dolcini, “condiziona la legittimità del ricorso alla pena sia al rango del bene, sia alla gravità dell’offesa da reprimere”. Così G.MARINUCCI, E. DOLCINI,

Corso di diritto penale, Giuffrè, Milano, 2001, p. 519. Più precisamente si potrebbe affermare che:

dalle valutazioni di meritevolezza e di bisogno di pena dipende la legittimità del ricorso allo strumento ‘pena’; il principio di proporzione funge non solo da criterio interno alle valutazioni citate, ma anche da criterio per la successiva valutazione relativa non alla legittimità del ricorso allo strumento indicato (già assodata), ma alla misura del suo uso.

18 Si veda supra capitolo primo, par. 3.1.2.

19 Così K.VOLK, Sistema penale e criminalità economica. I rapporti tra dommatica, politica criminale

e processo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, p. 88. Si vedano anche le riflessioni contenute

in K.VOLK, Diritto penale ed economia, in S. CANESTRARI, a cura di, Il diritto penale alla svolta di

fine millennio. Atti del convegno in ricordo di Franco Bricola ( Bologna 18 – 20 maggio 1995),

Giappichelli Editore, Torino 1998. Una critica analoga a quella di Volk può essere trovata in C. VISCONTI, I reati associativi tra diritto vivente e ruolo della dottrina, in L. PICOTTI, G. FORNASARI, F. VIGANÒ, A. MELCHIONDA, I reati associativi: paradigmi concettuali e materiale probatorio. Un

contributo all’analisi e alla critica del diritto vivente, CEDAM, Padova, 2005. L’Autore afferma che

“un radicato habitus mentale (...) conduce solitamente il penalista sostanziale a ritenere esaurito il suo lavoro laddove egli riesca ad enucleare e mettere in ordine i concetti che fondano e delineano i presupposti della punibilità, lasciando alle dinamiche processuali e in particolare a quelle probatorie la verifica di quanto e come i fatti di volta in volta dedotti in giudizio siano suscettibili di rispecchiare le definizioni sostanziali previamente elaborate di quegli stessi concetti”. Id., pp. 147, 148.

perché rispettoso dei principi sostanziali, piuttosto che al problema dell’accertamento dei suoi referenti fattuali. Come si è cercato e si cercherà di mettere in luce si tratta di una tendenza miope, poiché ignora o dimentica che il garantismo sostanziale si costruisce anche con il procedimento probatorio.