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3. Il significato dello standard

3.2. Teorie della probabilità, fact finding e standard of persuasion

3.2.3. La superfluità della quantificazione

Nei due paragrafi precedenti è stata problematizzata la concettualizzazione pascaliana del fact finding. Dapprima si è affrontato il ‘paradosso’ della

200 In definitiva, è corretto affermare che “there is no such thing as ‘naked statistical evidence’”. Cfr. ALLEN, On the Significance of Batting Averages and Strikeout Totals; a Clarification of the “Naked

Statistical Evidence” Debate, the Meaning of “Evidence”, and the Requirement of Proof Beyond a Reasonable Doubt, op. cit., p. 1098. Allen non concettualizza il problema in termini di valutazione

dell’evidential weight, ma in termini di “interpretazione” della evidence. Tuttavia egli riconosce che la prova statistica non è strutturalmente diversa dall’altra evidence utilizzata nel processo.

201 Cfr. però la letteratura che afferma che sia possibile incorporare una misura della completezza in una probabilità espressa in termini pascaliani. In particolare si vedano D. KAYE, Do We Need a

Calculus of Weight to Understand Proof Beyond a Reasonable Doubt?, in Probability and Inference in the Law of Evidence, TILLERS, GREEN (a cura di), op. cit. e il breve riferimento al problema in ALLEN, A Reconceptualization of Civil Trials, op. cit., p. 436, nota n. 78.

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congiunzione e si è tentato di mostrare che esso non pone un ostacolo insuperabile a detta concettualizzazione. Ma, successivamente, si è cercato di mettere a nudo il vero ‘tallone d’Achille’ dell’approccio pascaliano, ovvero la sua incapacità di fornire una dimensione del peso probatorio. Proprio le considerazioni in merito all’evidential weight inducono chi scrive ad accantonare (fino a prova contraria) la possibilità che un approccio pascaliano costituisca un modello descrittivo e/o prescrittivo del fact finding. La probabilità pascaliana resta pur sempre fondamentale, ma, come si è visto, è solo uno dei tre ingredienti che servono per soddisfare lo standard of persuasion. Non si intende tuttavia prendere alcuna posizione definitiva in merito allo specifico modello elaborato da Cohen (che peraltro qui è stato solo accennato), ritenendo semplicemente che alcune sue caratteristiche lo rendano senz’altro più idoneo a descrivere il funzionamento della ricostruzione del fatto nel processo.

Tuttavia resta ancora da considerare una questione: che ruolo può giocare la quantificazione in termini pascaliani nella ricostruzione fattuale? Si tratta della specificazione di una domanda più vasta relativa all’opportunità dell’uso di modelli formali nel fact finding. Quest’ultima, pur intrigante, non sarà però discussa nel presente lavoro202.

La questione che qui si intende affrontare può essere scissa in due ulteriori questioni principali. La prima riguarda l’opportunità della quantificazione in termini pascaliani del beyond a reasonable doubt standard, mentre la seconda riguarda l’opportunità dell’uso del teorema di Bayes nel ragionamento inferenziale.

Da quanto scritto nel paragrafo precedente si può trarre la risposta alla prima questione. Se per compiere quella fondamentale operazione che è la valutazione dell’evidential weight di una probabilità si devono utilizzare criteri valutativi estranei alle regole del Calcolo, che utilità potrebbe avere esprimere il beyond a reasonable doubt standard quantificandolo in termini pascaliani203, dunque incapaci di riflettere il peso probatorio? Si tratterebbe evidentemente di un’operazione oziosa e superflua.

202 Per alcune interessanti considerazioni sul tema si rinvia a P. TILLERS, Introduction; Visualizing

Evidence and Inference in Legal Settings, 6 Law, Probability and Risk 1, 2007 e al pensiero

precursore di John Henry Wigmore espresso in J. H. WIGMORE, The Principles of Judicial Proof as

Given by Logic, Pychology, and General Experience, Little, Brown, and Company, Boston, 1913, in

particolare p. 747 ss.

Proprio in considerazione dell’imprescindibile utilizzo dei criteri menzionati, si può affermare con Cohen che il fact finder non è portato a ritenere esistente un ragionevole dubbio sulla responsabilità penale dell’imputato perché la evidence non permette di raggiungere una soglia numerica predefinita, ma semmai egli è portato a ritenere che detta soglia non sia raggiunta proprio perché esiste un ragionevole dubbio204.

Peraltro la quantificazione distoglie l’attenzione dalla formulazione letterale dello standard che, a differenza della prima, ha il merito di sottolineare l’importanza fondamentale del peso probatorio. E’ il concetto di ‘dubbio’ a svolgere questa funzione, chiarendo che la evidence prodotta dall’accusa deve essere in grado di mostrare l’irragionevolezza non solo dell’eventuale ‘storia’ narrata dalla difesa, ma anche di tutte le ‘storie’ che si possano costruire tra le lacune delle argomentazioni delle parti. Il dubbio, infatti, può derivare non soltanto dalle affermazioni, ma altresì dai silenzi. Pertanto il suo superamento comporta anche la considerazione di quell’inevitabile spazio di silenzio che circonda ogni affermazione umana e l’esclusione di un ruolo esplicativo alternativo giocato da questo spazio. Solo una probabilità dotata di forte evidential weight può portare a questo risultato.

Infine, bisogna correggere la tradizionale critica alla quantificazione secondo cui questa va evitata in quanto costituisce l’accettazione esplicita del rischio di

204 Cfr. COHEN, The Probable and the Provable, op. cit., p. 83. Alcuni autori ritengono che la quantificazione del beyond a reasonable doubt standard possa essere utile e benefica: si vedano P. TILLERS, J. GOTTFRIED, United States v. Copeland: A Collateral Attack on the Legal Maxim that

Proof Beyond a Reasonable Doubt Is Unquantifiable?, 5 Law, Probability and Risk 135, 2006 (in

questo lavoro si può trovare un’efficace descrizione dei contenuti del dibattito sulla quantificazione) e J. FRANKLIN, Case comment – United States v. Copeland, 369 F. Supp. 2d 275 (E.D.N.Y. 2005):

quantification of the ‘proof beyond a reasonable doubt’ standard, 5 Law, Probability and Risk 159,

2006, in particolare p. 165 (pur mostrandosi sensibile al problema del peso probatorio Franklin si dice favorevole ad un’istruzione che indichi ai giurati una soglia minima dell’80% e che rammenti agli stessi che la prova beyond a reasonable doubt è comunque ben al di sopra di questa soglia). Entrambi i lavori commentano la sentenza United States v. Copeland, 369 F. Supp. 2d 275 (E. D. N. Y., 2005), in cui la Corte federale dell’Eastern District of New York fa uso della quantificazione per definire l’espressione reasonable probability. Bisogna però notare che proprio il giudice Jack B. Weinstein, autore della sentenza, ha mostrato un atteggiamento piuttosto dubbioso in merito all’opportunità di quantificare il beyond a reasonable doubt standard. Cfr. J. B. WEINSTEIN, I. DEWSBURY, Comment on

the Meaning of ‘Proof Beyond a Reasonable Doubt’, 5 Law, Probability and Risk 167, 2006. Si

potrebbe ritenere che la quantificazione sarebbe necessaria almeno per la sola componente genuinamente pascaliana dell’inferenza, ovvero il secondo ingrediente (si veda il paragrafo precedente). In proposito va però detto che se da un lato questa quantificazione lascerebbe comunque inespressi gli altri due ingredienti, dall’altro è evidente che non è certo questa la proposta avanzata dagli autori qui criticati.

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condannare innocenti205. Anche la formula beyond a reasonable doubt contiene questa accettazione e non la nasconde: l’attributo della ragionevolezza del dubbio indica infatti l’inevitabile margine di errore che un sistema deve accettare se non vuol essere destinato alla stasi totale. La differenza tra la quantificazione e la qualificazione dello standard sta però nel fatto che la seconda mette in luce chiaramente che il rischio è accettato nella sola misura in cui è frutto di un errore inevitabile e non di una scelta deliberata206. I numeri, per quanto siano eloquenti, non riescono a comunicare questo importante messaggio.

Per la soluzione della seconda questione sopra posta bisogna brevemente introdurre il teorema di Bayes207. Tale teorema, che prende nome dal suo autore, il reverendo Thomas Bayes (1702-1761), serve per calcolare in termini pascaliani la probabilità di un evento A condizionata ad un evento B, ovvero la probabilità che il primo si verifichi data la verificazione del secondo. Il teorema deriva dalle due seguenti formule: la prima è la formula (5) che, come si è visto, esprime la congiunzione di due eventi dipendenti; la seconda formula è

!

P(B) = P(A " B) + P(A " B) (7)

ed esprime la c.d. probabilità totale dell’evento singolo (in questo caso B). Dalle precedenti è possibile ricavare la formula del teorema nella sua versione sintetica

!

P(A/B) =P(B/A)

P(B) " P(A) (8)

205 Cfr. TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit., p. 1372 ss. Si veda anche FROSINI, Le Prove Statistiche nel Processo Civile e nel Processo Penale, op. cit., p. 155.

206 Si veda quanto affermato supra al paragrafo n. 3.1.2.

207 Per un approfondimento sul teorema di Bayes ed il suo utilizzo nel processo si vedano, in particolare: BALL, The Moment of Truth: Probability Theory and Standards of Proof, op. cit.; FINKELSTEIN, FAIRLEY, A Bayesian Approach to Identification Evidence, op. cit.; TRIBE, Trial by

Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit.; D. H. KAYE, The Laws of

Probability and the Laws of the Land, 47 University of Chicago Law Review 34, 1979; KAYE,

Introduction. What is Bayesianism?, in Probability and Inference in the Law of Evidence, op. cit.;

ALLEN, Rationality, Algorithms and Juridical Proof: a Preliminary Inquiry, op. cit.; LEMPERT, The

New Evidence Scholarship: Analyzing the Process of Proof, op. cit.; WIGMORE, Evidence in Trials at

Common Law, op. cit., p. 1046 ss.; EGGLESTON, Evidence, Proof and Probability, op. cit., p. 22 ss. e p. 159 ss.; FROSINI, Le Prove Statistiche nel Processo Civile e nel Processo Penale, op. cit.

e nella sua versione estesa

!

P(A/B) = P(B/A)

P(B/A) " P(A) +P(B/A) " P(A)" P(A). (9)

P(A) è definita ‘probabilità iniziale’ o prior probability di A, mentre P(B/A) è definita ‘verosimiglianza’ o likelihood ed esprime la probabilità che si verifichi l’evento B data la verificazione dell’evento A.

In altri termini il teorema di Bayes permette di calcolare con precisione numerica la probabilità di un’ipotesi A (ad esempio la responsabilità dell’imputato) in base alla disponibilità di un elemento di evidence B (ad esempio la corrispondenza tra un’impronta digitale lasciata sull’arma del delitto e l’impronta digitale dell’imputato208), integrando la probabilità iniziale dell’ipotesi stessa P(A)209. Ovviamente la formula può essere utilizzata sia con probabilità oggettive che con probabilità soggettive210, ma nell’idea di coloro che ne propongono un uso da parte del fact finder, essa non potrebbe che riflettere una probabilità finale frutto delle scommesse di questo211.

La proposta di istruire il fact finder affinché applichi il teorema, in particolare (ma non necessariamente soltanto) nei casi di introduzione di evidence statistica nel processo tramite perizia212, ha trovato subito una forte resistenza213. Le critiche

208 Per riprendere l’esempio fatto in FINKELSTEIN, FAIRLEY, A Bayesian Approach to Identification

Evidence, op. cit., p. 498.

209 Bisogna peraltro precisare che il teorema di Bayes può essere usato per integrare l’approccio di

decision making, servendo così come strumento per il calcolo delle probabilità rilevanti per lo stesso

(si veda supra ai paragrafi 2.2 e 3.1). Cfr. sul punto KAYE, Clarifying the Burden of Persuasion: What

Bayesian Decision Rules Do and Do not Do, op. cit., R. J. ALLEN, Clarifying the Burden of

Persuasion and Bayesian Decision Rules: a Response to Professor Kaye, 4 International Journal of

Evidence and Proof 246, 2000 e GARBOLINO, Il Ragionevole Dubbio e la Teoria Bayesiana della

Decisione, op. cit.

210 Si ricordino le definizioni riportate supra, nota n. 144.

211 E’ pur vero che dette scommesse potrebbero comunque basarsi su un approccio frequentista adottato dal singolo scommettitore. Cfr. KAYE, The Laws of Probability and the Laws of the Land, op. cit., p. 52.

212 E’ questa la proposta formulata in FINKELSTEIN, FAIRLEY, A Bayesian Approach to Identification

Evidence, op. cit., p. 502 ss. con riferimento al problema dell’identificazione tramite impronte digitali.

Secondo gli Autori un perito dovrebbe presentare ai giurati una tabella contenente uno spettro di probabilità iniziali dell’ipotesi alle quali sono associate le rispettive probabilità finali, calcolate sulla base della evidence statistica introdotta dal perito stesso. I giurati dovrebbero essere invitati a scegliere la probabilità iniziale che più rispecchia la loro scommessa sull’ipotesi. Da ciò deriverebbe automaticamente la probabilità finale. La riflessione propositiva dei due Autori prende le mosse, in particolare, da due casi giudiziari. Il primo in ordine di tempo è People v. Risley (214 N. Y. 75, 1915)

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mosse a questa proposta sono molteplici e, ad avviso di chi scrive, colgono nel segno. Non si intende riprodurle compiutamente (preferendo rinviare alla lettura di riferimento214), ma solo svolgere una breve riflessione generale di carattere epistemico sulla questione oggetto di studio.

La quantificazione del ragionamento inferenziale in termini pascaliani pone dei problemi apparentemente insormontabili. In primo luogo, non tutta la evidence può essere agevolmente tradotta in numeri e ciò comporta il rischio che il fact finder trascuri gli elementi di prova di difficile quantificazione ed esprima così probabilità inaffidabili215; in secondo luogo spesso gli elementi di prova che vengono considerati per provare un singolo fatto sono molteplici e tra loro dipendenti, pertanto, in applicazione delle regole pascaliane, l’uso del teorema di Bayes comporterebbe un diseconomico appesantimento del ragionamento216; in terzo luogo sarebbe difficile evitare, come richiesto da una corretta applicazione del teorema, che un elemento di prova oltre ad essere considerato per ‘aggiornare’ la probabilità iniziale venga anche utilizzato per determinare quest’ultima217. Anche laddove queste difficoltà non fossero insormontabili (e probabilmente lo sono), bisognerebbe peraltro chiedersi che cosa potrebbe giustificare un eventuale impegno volto al loro superamento.

in cui la Corte dichiara inammissibile la perizia di un matematico (che, come sottolineano gli Autori, non aveva utilizzato il teorema di Bayes) in merito alla probabilità che la contraffazione di un certo documento giudiziario fosse stata effettuata con la macchina da scrivere appartenente all’imputato. Il secondo caso giudiziario è il noto People v. Collins (68 Cal. 2d 319, 1968) in cui la Corte Suprema della California ha dichiarato inammissibile la perizia di un matematico (neanche questo facente uso del teorema di Bayes) la quale affermava che fosse bassissima la probabilità che soggetti selezionati a caso presentassero le medesime caratteristiche degli autori di una rapina (ricostruite tramite testimonianze), caratteristiche che invece erano proprie degli imputati.

213 Peter Tillers, riferendosi alla new evidence scholarship, ha parlato di una corrente quasi stroncata sul nascere. Cfr. TILLERS, Introduction; Visualizing Evidence and Inference in Legal Settings, op. cit., p. 1.

214 In proposito si vedano TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit. e ALLEN, Rationality, Algorithms and Juridical Proof: a Preliminary Inquiry, op. cit., p. 263 ss. Nella letteratura italiana si vedano TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, op. cit., p. 168 ss. e FROSINI,

Le Prove Statistiche nel Processo Civile e nel Processo Penale, op. cit., p. 98 ss.

215 Cfr. TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit., pp. 1361 ss.

216 Perché se gli elementi di prova sono tra loro dipendenti non è possibile fare un’applicazione sequenziale del teorema (la quale porterebbe ad un doppio conteggio delle probabilità), ma è necessario considerare le probabilità di tutti gli elementi in una singola complessa operazione. Cfr. TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit., pp. 1367, 1368; ALLEN, Rationality, Algorithms and Juridical Proof: a Preliminary Inquiry, op. cit., p. 263 ss.; FROSINI, Le Prove Statistiche nel Processo Civile e nel Processo Penale, op. cit., p. 103.

217 Anche in questo caso si crea un indebito doppio conteggio. Cfr. TRIBE, Trial by Mathematics:

Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit., pp. 1367; FROSINI, Le Prove Statistiche nel

Considerando quanto si è precedentemente affermato in tema di peso probatorio, non si può non rispondere che non vi sarebbero sufficienti giustificazioni per questo sforzo. Infatti, ridurre il ragionamento inferenziale all’utilizzo di probabilità pascaliane comporta privare lo stesso della dimensione fondamentale dell’evidential weight. E’ senz’altro vero che il fact finder calcolerebbe le probabilità in funzione della evidence disponibile (e che pertanto il valore del numero relativo alla sua scommessa dovrebbe dipendere dal peso della stessa, senza tuttavia poterne esprimere l’entità) ma è altrettanto vero, da un lato, che le eventuali statistiche introdotte nel processo rischierebbero di essere trasposte nella formula senza una valutazione del loro peso218 e, dall’altro, che l’intera argomentazione perderebbe capacità comunicativa ed esplicativa, (proprio perché le probabilità pascaliane non possono veicolare alcuna informazione sulla evidence che le sostiene219) e che sarebbe così ostacolato qualsivoglia controllo sull’inferenza220. In altre parole, il teorema potrebbe anche essere adottato (e non è escluso che possa risultare assai utile per ragionare su dati numerici pascaliani disponibili), ma non sarebbe mai sufficiente a prescrivere una corretta inferenza: per ottenere ciò sarebbe sempre necessario accostare all’uso dello stesso un’argomentazione relativa al peso.

In conclusione si ritiene che la ricerca di una precisione numerica in termini pascaliani nel ragionamento inferenziale produca un rigore solo apparente e, dunque, fuorviante. Come si è visto essa costituisce un’operazione superflua e, talvolta, persino dannosa.

È peraltro vero che il processo si occupa con sempre maggiore frequenza di probabilità pascaliane introdotte attraverso la prova scientifica. Esse sono elementi importanti per il fact finding che devono essere attentamente interpretati e che necessitano in ogni caso di un’apposita valutazione che ne disveli la fondatezza. In ragione di ciò, una conoscenza elementare del Calcolo delle probabilità e, in

218 Cfr. TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, op. cit., p. 1359. Pur non concettualizzando il problema in termini di peso probatorio, l’Autore afferma che la trasposizione delle statistiche nella formula al fine di modificare la probabilità iniziale non può essere automatica proprio perché esse costituiscono generalizzazioni e non si riferiscono direttamente al caso oggetto di studio.

219 Cfr. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, op. cit., p. 181.

220 Questa obiezione finale potrebbe sembrare inadeguata se riferita ad un ordinamento come quello statunitense. Tuttavia, come si è visto supra al paragrafo 2.3 anche il verdetto della giuria è talvolta soggetto ad un controllo da parte delle corti superiori (e taluno peraltro auspica che questo controllo diventi più incisivo).

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particolare, del teorema di Bayes, può senz’altro aiutare il fact finder ad evitare di essere impressionato e intimorito dai numeri forniti e dalle operazioni impiegate dagli esperti (così da scongiurare odiosi errori come la c.d. ‘fallacia del condizionale trasposto’221). Il numero, come ogni segno, necessita di un’interpretazione e questa richiede esperienza e padronanza di strumenti, specialmente se il segno deve essere poi tradotto in un linguaggio diverso.